Gaza: il sintomo di una causa non sufficientemente riconosciuta
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- 25 Gennaio 2009
di Iain Chalmers
Sebbene Israele abbia proibito ai giornalisti stranieri di entrare in Gaza, le immagini della carneficina in atto sono sotto gli occhi di tutti in televisione e provocano sdegno. Dal momento dell’inizio dell’attacco, sono stato frequentemente in contatto telefonico con alcuni amici, cristiani e musulmani, che vivono a Gaza City e in altri paesi della Striscia. Le loro testimonianze spezzano il cuore.
Nel terzo giorno successivo all’invasione di terra da parte di Israele, uno dei miei amici – una donna nel mezzo dei propri settant’anni – è crollata nel mezzo della nostra conversazione. Terrorizzata dai ripetuti bombardamenti su uno degli edifici governativi di Gaza, poco distante da casa sua. A causa dell’attacco, la sua casa aveva subito scosse e successive esplosioni così che gran parte dei vetri restanti alle finestre era andata in frantumi. L’interruzione di elettricità e di fornitura d’acqua rende la vita ancora più difficile in inverno che nei mesi precedenti, durante i quali Israele ha esercitato il blocco della Striscia, una forma di punizione collettiva della popolazione civile appoggiata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea[1].
I miei amici sottolineavano quanto lei si sentisse fortunata a confronto di tanti dei cittadini stipati in un territorio diventato una prigione per gli abitanti di Gaza (un milione e cinquecentomila persone). Altri amici nella Striscia – in Jabalia, Maghazi, e Khan Younis – mi hanno detto di famiglie sepolte sotto le macerie delle loro case, alcune delle quali demolite con armi che riducono gli edifici in poltiglia. Altri ancora hanno parlato di bombe che esplodono lanciando in giro materiale infuocato che colpisce le vittime[2]. Dalle immagini trasmesse e da quello che ho saputo direttamente, la situazione nella Striscia di Gaza è così orribilmente sconfortante come ne riferisce la gente del posto e i pochi stranieri che là lavorano.
A differenza della maggior parte dei commentatori ai quali un pubblico male informato è esposto, conosco la Striscia di Gaza per averci vissuto e lavorato. Le mie esperienze mi dicono quanto sia velleitario (o tendenzioso) esortare la popolazione civile ad abbandonare le case per il fatto di essere vicine a edifici che possono rappresentare cosiddetti “obiettivi militari”: le immagini dal satellite mostrano che la Striscia è così densamente popolata che non esistono rifugi sicuri. Il disinteresse dei politici più influenti nei confronti della vita reale a Gaza è testimoniato dalla mancata visita della Striscia da parte di Tony Blair, rappresentante del Quartetto (USA, Unione Europea, Nazioni Uniti e Russia)[3].
Il mio interesse per le storie e il futuro dei popoli palestinese e israeliano non è accademico. Ho amici in entrambe le comunità (l’unico bambino che si chiama come me è un ebreo israeliano). Mi preoccupa, ad ogni modo, che concentrarsi sul sangue versato in questi giorni sposti di nuovo l’attenzione dal cuore del problema, mai affrontato, che dobbiamo spettarci che continuerà ad alimentare ulteriori fasi di conflitto.
Contrariamente alla percezione diffusa, le basi del dramma di Gaza e degli altri conflitti tra le genti di Israele e Palestina è semplice: la Gran Bretagna imperiale promise la terra di Palestina a entrambi. Queste incompatibili promesse erano contenute in una singola frase di una lettera inviata al comando Anglo-Jewry dal British Foreign Secretary nel 1917: “His Majesty’s Government view with favour the establishment in Palestine of a national home for the Jewish people, and will use their best endeavours to facilitate the achievement of this object, it being clearly understood that nothing shall be done which may prejudice the civil and religious rights of existing non-Jewish communities in Palestine”[4].
Nessuna delle genti alle quali questa terra era promessa si augurava di lasciarla. La ferita che ne è risultata è che il conflitto tra Israele e Palestina spaventa di più che il futuro degli arabi palestinesi e degli ebrei d’Israele. Il conflitto, e il percorso nel quale la comunità internazionale si è adagiata, alimenta il fondamentalismo e l’estremismo e per questo minaccia la pace nella regione e, più in generale, nel mondo.
Alcuni ebrei, in Israele[5] e altrove[6], credono che dalle politiche israeliane nei confronti dei palestinesi non ebrei non scaturirà un futuro sicuro per gli ebrei d’Israele e che incentiveranno l’antisemitismo fuori dal paese. Le immagini da Gaza ci ricordano che a queste voci israeliane si dovrebbe prestare maggiore attenzione. Israele definisce se stesso “the Jewish State”[7]; ancora, dentro il territorio che controlla e continua a colonizzare c’è ora una sostanziale parità tra ebrei e non ebrei, arabi palestinesi (dei quali 3,7 milioni vivono nei territori occupati e 1,2 milioni in Israele). Da molti, Israele continua a essere giudicato dai suoi comportamenti e azioni nei confronti dei non ebrei le vite dei quali esso controlla.
Ho conosciuto il ruolo chiave della Gran Bretagna nel determinare il conflitto tra Israele e Palestina durante la mia prima visita in Palestina nel 1963. Successivamente, ho lavorato due anni come medico delle Nazioni Unite in un ambulatorio assistendo 40 mila rifugiati in Khan Younis. La mia visita più recente a Gaza è stata nel Giugno 2008, in coincidenza con la mia partecipazione allo steering group di una serie di articoli in programma sul Lancet, dedicati alla salute e ai servizi sanitari nei territori palestinesi occupati. Ho fatto donazioni economiche a diverse organizzazioni e fondazioni per i diritti umani israeliane e palestinesi.
Nota
Iain Chalmers (James Lind Library, James Lind Initiative, Oxford OX2 7LG, UK). Ha vissuto per anni in Palestina e la sua è una testimonianza importante che ci ha autorizzato a tradurre per SaluteInternazionale il Gaza-a symptom of an insufficiently acknowledged cause. The Lancet 2009; 373 (9659): 197-8
Approfondimenti
Il Muro dell’apartheid. Intervista a Paola Canarutto, internista, Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, coordinatrice di Rete Ebrei contro l’Occupazione. Pubblicata su Va’ Pensiero n° 374
- Steele J, Freedland J, Carter urges ‘supine’ Europe to break with US over Gaza blockade. Guardian, (May 26, 2008), (accessed Jan 8, 2009).
- Evans M, Frenkel S, Victims’ strange burns increase concern over phosphorous shells, Times, (Jan 8, 2009), p. 6
- Black I, Borger J, McCarthy R, Scepticism hangs over Blair’s appointment as quartet envoy. Guardian, (June 28, 2007), (accessed Jan 8, 2009).
- Stein L, The Balfour Declaration, (1961), Vallentine Mitchell, London.
- Hass A, Drinking the sea at Gaza: days and nights in a land under siege, (2000), Owl Books, New York.
- Chomsky N, The fateful triangle: the United States, Israel and the Palestinians, (2000), Pluto Press, London.
- Shavit A, Burg: defining Israel as a Jewish state is key to its end. Ha’aretz, (June 7, 2007), (accessed Jan 8, 2009).