La globalizzazione come determinante di salute
- 2
- 7.7K
- 5 Min
- |
- 25 Gennaio 2009
di Adriano Cattaneo
La globalizzazione, intesa come l’emergere ed il consolidarsi di un mercato globale, ha effetti negativi sulla salute degli individui e delle popolazioni attraverso meccanismi che portano all’aumento delle disuguaglianze tra paesi e, soprattutto, all’interno dei paesi. Queste le premesse di un rapporto per la Commissione dell’OMS sui Determinanti Sociali della Salute che portano gli autori a raccomandare, per invertire questa tendenza, politiche di ridistribuzione, regole e salvaguardia dei diritti che agiscano sulla riorganizzazione della produzione e del mercato del lavoro, sugli accordi commerciali tra paesi ed i procedimenti per risolvere le dispute, sui mercati finanziari e la mobilità dei capitali, e sul debito estero dei paesi a reddito medio e basso.
La globalizzazione, intesa come l’emergere ed il consolidarsi di un mercato globale, fa bene o fa male alla salute? A questa difficile domanda ha tentato di rispondere un gruppo di ricercatori, coordinato da Ronald Labonté e Ted Schrecker, in un rapporto consegnato alla Commissione sui Determinanti Sociali della Salute dell’OMS.
Come illustrato in slide 1, la globalizzazione può agire sulla salute attraverso i suoi effetti:
- sul contesto sociale e politico, comprese le politiche di salute;
- sulla stratificazione sociale e sugli spostamenti della popolazione tra i vari strati;
- sull’esposizione, diversa a seconda dello strato sociale, ai determinanti di malattia;
- sulla diversa suscettibilità alle malattie nei diversi strati sociali;
- sulle caratteristiche fisiche e funzionali del sistema sanitario.
Tutto ciò comporta differenze negli esiti di malattia e salute, con le conseguenti disuguaglianze; comporta anche conseguenze diverse di queste stesse malattie, che a loro volta possono avere dei riflessi sulla stratificazione sociale.
La globalizzazione potrebbe avere, e in parte ha, effetti positivi sulla salute. Per esempio, politiche globali per il controllo delle malattie infettive, e dell’AIDS in particolare, potrebbero permettere lo sviluppo e la distribuzione di vaccini e farmaci in maniera differenziata per favorire quei settori della popolazione che hanno maggiormente bisogno di avere accesso a tali risorse. In realtà la globalizzazione agisce spesso più a monte fino ad annullare, o addirittura ribaltare, questi potenziali benefici. Aumenta, per esempio, la vulnerabilità all’AIDS di donne e bambini attraverso meccanismi quali la svalutazione delle monete nazionali, la privatizzazione dei servizi, la liberalizzazione del commercio e della finanza, l’imposizione del pagamento per le prestazioni sanitarie e per i servizi scolastici. Il meccanismo attraverso il quale la globalizzazione agisce negativamente sulla salute è sostanzialmente legato all’aumento delle disuguaglianze.
Considerando il prodotto interno lordo (PIL) per abitante ed aggiustando i risultati in base alle dimensioni dei paesi, gli economisti affermano che le disuguaglianze internazionali sono diminuite, se misurate con l’indice di Gini, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Ma questa diminuzione è dovuta principalmente all’aumento del PIL per abitante della Cina e, più tardi, di altre “tigri” asiatiche, fino ai recenti progressi dell’India. Da notare come la crescita economica di questi paesi sia avvenuta soprattutto prima che gli stessi si aprissero al mercato globale, in regime di protezionismo. Inoltre, la diminuzione delle disuguaglianze internazionali è stata accompagnata da un aumento delle disuguaglianze tra paesi (si pensi per esempio alla stagnazione di molte economie africane) e, soprattutto, delle disuguaglianze all’interno dei paesi. La slide 2 mostra il risultato finale di questa enorme concentrazione della ricchezza in alcuni paesi, e in pochi gruppi di popolazione all’interno di tutti i paesi.

Questa dinamica si riflette, per quanto riguarda la salute, sulle variazioni della speranza di vita alla nascita. Gli autori del rapporto affermano che negli ultimi 25 anni, all’apice cioè della globalizzazione dei mercati, questo indicatore abbia perso, rispetto alle potenzialità stimabili con i dati del periodo tra il 1960 ed il 1980, 1,52 anni (0,59 in Cina, 3,57 nei paesi dell’ex Unione Sovietica, 8,95 nell’Africa sub-Sahariana). Questa perdita è attribuibile soprattutto, secondo uno studio commissionato per l’estensione di questo rapporto, all’aumento delle disuguaglianze di reddito nei paesi, all’instabilità economica ed alla mancanza di miglioramenti nella fornitura di servizi sanitari. Il problema è che la globalizzazione non agisce in maniera uniforme. Favorisce quei paesi, e quei gruppi di popolazione all’interno dei paesi, che hanno già abbondanti risorse (materie prime, industrie, solide istituzioni sociali, capitale umano), ma lascia indietro quei paesi che non le hanno. Colpisce poi duramente questi ultimi, e i loro gruppi di popolazione più poveri, quando il mercato non funziona, come nel caso delle crisi finanziarie che hanno colpito singoli paesi e, più recentemente, gli USA e le altre economie avanzate. Favorisce cioè i ricchi, siano essi paesi o persone all’interno dei paesi, grazie anche al potere che questi hanno nello stabilire le regole ed in particolare le regole del mercato e del lavoro.
La globalizzazione dei mercati quindi, secondo gli autori, non porta benefici per la salute, né li può portare se il principio che la regola è “la mano invisibile del mercato”. Nemmeno l’aiuto allo sviluppo può invertire la tendenza all’aumento delle disuguaglianze, e quindi al peggioramento della salute per vasti strati della popolazione. Non solo perché la maggioranza dei paesi ricchi danno in aiuti allo sviluppo molto meno di quanto potrebbero o dovrebbero dare: hanno più volte promesso di arrivare alle 0,7% del PIL, nella maggior parte dei casi non arrivano allo 0,4%. Ma anche perché questi aiuti sono usati in maniera inefficiente ed inefficace, e sicuramente non per affrontare alla radice i determinanti di salute e nemmeno per rafforzare in maniera sostenibile i sistemi sanitari. E soprattutto perché, come mostra la slide 3, il flusso di denaro in aiuti allo sviluppo è in generale molto minore di quello che va dai paesi poveri a quelli ricchi per ripagare il debito estero ed i relativi interessi.

Come se ne esce? Dato che i meccanismi che favoriscono le disuguaglianze possono essere raggruppati in quattro categorie, è su queste che bisognerebbe agire, con quelle che gli autori etichettano come politiche delle 3 R: in inglese, redistribution (ridistribuzione), regulation (regole), e rights (diritti).
- La riorganizzazione della produzione e del mercato del lavoro. Bisogna far sì che la flessibilità della produzione e del lavoro, caratterizzata da un’enorme mobilità tra paesi e nei paesi, oltre che tra tipi di produzione e di lavoro, sia accompagnata da stabilità e sicurezza del reddito, in modo da assicurare a tutti i lavoratori e alle loro famiglie una vita dignitosa, soprattutto nei momenti di crisi del mercato. Ciò vale specialmente per il lavoro femminile e per quello della cosiddetta economia informale, particolarmente colpiti dalla globalizzazione dei mercati.
- Gli accordi commerciali tra paesi ed i procedimenti per risolvere le dispute. Le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, soprattutto quelle riguardanti i brevetti ed il commercio dei servizi sanitari, vanno riviste per proteggere il diritto alla salute dei paesi e dei gruppi di popolazione più poveri. In particolare, bisogna regolare il commercio (ed il marketing) degli alimenti, degli alcolici, del tabacco, dei farmaci ed altri prodotti sanitari, ed impedire la privatizzazione dei servizi per l’acqua, gli escreti e i rifiuti.
- I mercati finanziari e la mobilità dei capitali. La facilità e la velocità con cui gli investitori possono muovere enormi capitali tra diverse piazze finanziarie, con le conseguenti bolle speculative e crisi finanziarie, riduce il controllo dei governi sulle tasse e quindi sulle politiche. Nessuna seria ridistribuzione della ricchezza è possibile senza un controllo e una tassazione delle transazioni finanziarie.
- Il debito estero dei paesi a reddito medio e basso. Il primo rimedio è la cancellazione, senza condizioni, del debito dei paesi più poveri; processo già in atto, ma a ritmi talmente lenti da non averne ancora scalfito lo zoccolo duro. Bisogna poi rinegoziare su tempi lunghi ed a tassi favorevoli il debito degli altri paesi. Bisogna infine aumentare il flusso di aiuti “veri”, non condizionati, e mirati a controllare l’effetto dei determinanti sociali della salute sulle disuguaglianze.
Risorse
Globalization and health knowledge network. Towards health-equitable globalisation: rights, regulation and redistribution. Final report to the Commission on Social Determinants of Health. Institute of Population Health, University of Ottawa, 2008 (130 pagine) [PDF: 4.8 Mb]
buongiorno,la globalizzazione:GIA’ IL TERMINE STESSO IDENTIFICA UNA DISCRIMINANTE,COME SI PUO’ PENSARE AD “UNIFORMARE” IL SISTEMA MONDIALE SENZA ANDARE A LEDERE I DIRITTI DELL’INDIVIDUO POVERO. E’ SOLO UN TERMINE USATO DALLE POTENZE FINANZIARIE PER POTER RENDERE ANCORA PIU’ CONFUSA LA DISTRIBUZIONE DELLE RICCHEZZE CON UNA CONSEGUENTE STRATIFICAZIONE ANCOR PIU’ MARCATA ATTA A RENDERE L’INDIVIDUO ANCOR PIU’ VULNERABILE…DOVREBBERO CAMBIARE I PERSONAGGI POLITICI PIU’ CHE LA FINANZIARIA MONDIALE,PERSONE CHE FOCALIZZINO IL LORO OPERATO SU UNA VERA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELLA COLLETTIVITA COME OBBIETTIVO E NON SUL CONTINIUM DI QUESTA FARSA CHE IO CHIAMEREI SPECULAZIONE …ALLORA ANCHE LA GLOBALIZZAZIONE POTREBBE AVERE UN SENSO…SE NO CAMBIAMOGLI PURE IL NOME POTENZAGLOBALIZZATA…SUONA MEGLIO VERO?spero qualcuno apprezzi il mio commento ,distinti saluti