OMS: le disuguaglianze uccidono su larga scala

di Sara Barsanti

a87ad0d1a8Il report finale della Commissione sui determinanti sociali di salute: “I nostri bambini hanno differenti possibilità di vivere a secondo del luogo in cui sono nati. In Giappone o in Svezia l’aspettativa di vita è di più di 80 anni; in Brasile di 72; in India di 63; in alcuni paesi africani di meno di 50 anni”.

Esistono disuguaglianze sistematiche nello stato di salute della popolazione giudicate inique perché non giustificate dal punto di vista biologico, ingiuste ed evitabili attraverso politiche e strategie adeguate. I fattori che causano tali condizioni sono chiamati determinanti sociali di salute; ne sono un esempio la mancanza di risorse, un’istruzione carente, un lavoro precario o poco sicuro. I determinanti sociali hanno un impatto diretto ed immediato sulla salute: la riduzione di tali disuguaglianze e l’agire sui determinanti sociali al fine di eliminare il divario di salute tra popolazioni più o meno ricche, costituiscono per tutti i decisori un imperativo etico.

Introduzione
Nel 2003 l’allora Direttore Generale Lee Jong-Wook dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in un articolo apparso sulla rivista Lancet, dichiarò che soltanto quegli interventi che si sarebbero occupati dei determinanti sociali di salute avrebbero ridotto le malattie e migliorato la salute della popolazione. Nel 2005, l’OMS costituì la Commissione sui Determinanti Sociali di Salute composta da 20 membri di accademici, ex ministri della salute ed ex capi di stato, tra cui Sir Michael Marmot, il premio nobel per l’economia Amartyia Sen e l’italiano Giovanni Berlinguer, al fine di raccogliere informazioni ed evidenze sull’impatto dei determinanti sociali sulla salute e soprattutto di trasformare il patrimonio di conoscenza e di esperienza acquisito in possibili interventi efficaci e politiche per i governi di tutto il mondo. A distanza di 3 anni, nell’agosto del 2008, la Commissione ha pubblicato il report finale del lavoro, intitolato Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health. Al centro del rapporto l’imperativo per tutti i governi di agire sui determinanti sociali di salute al fine di eliminare le disuguaglianze di salute tra paesi e all’interno dei paesi stessi: come afferma il rapporto “la giustizia sociale sta diventando una questione di vita o di morte. Sta influenzando i modo di vivere della gente, la probabilità di ammalarsi ed il rischio di morire prematuramente. (…) La giustizia sociale sta finendo insieme alla vita di moltissime persone.”

Le disuguaglianze all’interno dei paesi, anche quelli più ricchi
Le disuguaglianze, studiate da tempo e documentate tra paesi diversi, si stanno facendo sempre più evidenti anche all’interno degli stessi paesi, come sottolinea la Commissione: c’è un legame diretto fra reddito e salute, chiamato gradiente sociale, presente non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche nei più ricchi. Il gradiente sociale può essere più o meno marcato, ma è un fenomeno universale: in Indonesia, ad esempio, la mortalità materna nelle fasce povere della popolazione è 3-4 volte maggiore rispetto alle fasce ricche; la mortalità infantile negli slum di Nairobi è 2,5 volte superiore rispetto ad altre zone della città.

E nei paesi più ricchi? L’aspettativa di vita di un aborigeno maschio australiano è minore di 17 anni rispetto a un maschio australiano non aborigeno; ancora negli Stati Uniti, fra il 1991 e il 2000, 886.202 morti si sarebbero potute evitare se gli afroamericani avessero avuto lo stesso tasso di mortalità dei bianchi (nello stesso periodo, le vite salvate negli Stati Uniti grazie ai progressi della medicina sono state in tutto 176.633). Vari studi hanno dimostrato come la precarietà nei contratti di lavoro sia un causa di una più alta probabilità di malattie e disturbi. In Spagna ad esempio, nel 2005 la percentuale di operai con problemi di salute mentale variava sensibilmente a seconda della tipologia di contratto: se tra coloro che avevano un contratto a tempo indeterminato la prevalenza di disturbi mentali era di circa il 5% nei maschi e il 12% nelle femmine, tra coloro che avevano un contratto occasionale la prevalenza era di circa il 17% nei maschi e 27% nelle femmine e la percentuale toccava il 27% nei maschi e il 33% nelle femmine tra coloro che non avevano nessun tipo di contratto.

Le disuguaglianze si stanno facendo sempre più evidenti anche all’interno degli stessi paesi. Le persone che si trovano negli strati inferiori della piramide sociale di solito hanno un rischio almeno doppio di essere colpiti da malattie e morte prematura rispetto a chi si trova vicino al vertice. Tali effetti non sono confinati solo alla classe dei poveri: confrontare infatti i due estremi, poveri versus ricchi, può essere limitativo e offre una risposta parziale al fenomeno.

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Se si guarda la slide 1 relativa alla mortalità infantile entro i 5 anni per quintili di reddito familiare, si nota come la relazione tra ricchezza e salute sia proporzionale. I bambini del secondo quintile hanno una più alta probabilità di morire rispetto a quelli del terzo; quelli del terzo quintile a loro volta hanno una probabilità di morire più alta di quelli del quarto e così via. Tale effetto viene chiamato “gradiente sociale di salute”: esso può essere un fenomeno più o meno marcato, ma è un fenomeno universale che non coinvolge solo i paesi più poveri, ma anche i paesi più ricchi. Come sottolinea la Commissione: c’è un legame diretto fra reddito e salute.

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La slide 2 mostra i tassi di mortalità secondo l’indice di deprivazione di Inghilterra e Galles: al diminuire della deprivazione diminuisce in maniera lineare il tasso di mortalità.

I sistemi sanitari costituiscono anch’essi determinanti di salute: l’istruzione, il lavoro, il sesso, il reddito sono fortemente correlati con l’accesso e l’utilizzo dei servizi sanitari stessi.

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La slide 3 evidenzia l’utilizzo di servizi sanitari nel percorso materno infantile in 50 paesi poveri per quintili di reddito: le percentuali di utilizzo dei ogni servizio, percorso o trattamento sono sempre molto più alte nelle famiglie con redditi più alti.

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Ancora: la slide 4 sottolinea come politiche sociali per le famiglie più generose siano associate con minori tassi di mortalità infantile.

I determinanti di salute: una questione globale, al di là della sanità
Le cattive condizioni di salute dei più poveri, il gradiente sociale che accompagna il benessere della popolazione all’interno dei paesi e le differenze nell’assistenza sanitaria sono il risultato di una distribuzione ingiusta, a livello mondiale e nazionale, del potere, delle risorse economiche e di ogni altro tipo di risorsa che influisce in maniera immediata e visibile sulle condizioni di vita e sul benessere. La causa di molte malattie non è la mancanza di antibiotici, ma di acqua pulita, e le malattie cardiache non dipendono tanto dalla scarsità di unità coronariche, quanto dagli stili e dagli ambienti di vita. Di conseguenza, il settore sanitario deve attirare l’attenzione sulle cause alla radice delle disuguaglianze.
La sola crescita economica non necessariamente porta ad un miglioramento anche nelle condizioni di salute. Alcuni Paesi a basso reddito hanno raggiunto buoni livelli sanitari:ne sono un esempio Cuba, Costa Rica, Cina, Sri Lanka e lo Stato indiano del Kerala. Come commenta Amartya Sen, premio nobel per l’economia nel 1998 e membro della Commissione, lo sviluppo deve essere, innanzitutto e soprattutto, un alleato dei poveri, non dei ricchi e degli opulenti, il cui obiettivo primario “per ogni singolo paesi e per il mondo in generale, sia l’eliminazione delle limitazioni che impoveriscono la vita delle persone e ne riducono la durata. La causa fondamentale della deprivazione umana è l’impossibilità di vivere a lungo ed in salute e questo è molto di più di un problema medico: è legato agli svantaggi che hanno profonde radici sociali.”

Le raccomandazioni della Commissione
La Commissione ha istituito 9 gruppi di lavoro al fine di proporre possibili azioni da implementare nelle aree chiavi di riferimento: più di 350 ricercatori, professionisti, politici, tecnici, rappresentanti delle società civili e rappresentanti delle istituzioni di 100 paesi di ogni profilo hanno elaborato una serie di potenziali azioni da implementare non solo da attraverso diversi attori, ma anche a livelli differenti, dalle Nazioni Unite, ai governi nazionali, fino al settore privato e al organizzazioni dei cittadini.
Sono state formulate tre raccomandazioni generali per contrastare gli effetti delle disuguaglianze:

  • migliorare le condizioni della vita quotidiana; in particolare, la commissione richiama gli Stati ad agire e collaborare per l’infanzia, i rifornimenti di acqua pulita e la copertura universale dei sistemi sanitari.
  • Contrastare, a livello globale, nazionale e locale, la distribuzione ingiusta del potere, del denaro e delle risorse, che sono i determinanti strutturali delle condizioni di vita. Ai Paesi più ricchi la commissione chiede di onorare l’impegno di dedicare lo 0,7% del PNL agli aiuti. A livello globale, raccomanda l’adozione dell’equità sanitaria come obiettivo centrale dello sviluppo e dei determinanti sociali della salute come indice del progresso.
  • Misurare e analizzare il problema e verificare l’impatto dell’azione, investendo innanzitutto in sistemi di registrazione e nella formazione di decisori e professionisti sanitari.

I progressi in atto
In 30 anni l’Egitto ha ridotto la mortalità infantile dal 235 per mille al 33 per mille e la Grecia e il Portogallo dal 50 per mille sono arrivati quasi ai livelli di Svezia, Islanda e Giappone, come si evince dalla slide 5. Nel 2000, Cuba ha raggiunto una copertura del 99% dei servizi per l’infanzia.

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La Commissione ha già messo in moto azioni concrete in diverse parti del mondo: Brasile, Canada, Svezia, Regno Unito, Kenya, Iran, Mozambico, Cile e Sri Lanka sono diventati “Paesi partner” della Commissione impegnandosi a far progredire l’equità sanitaria e stanno già sviluppando politiche in proposito.
Questi esempi dimostrano che se c’è la volontà politica il cambiamento è possibile. La strada da fare è ancora lunga ma, secondo la Commissione, la direzione è stata fissata e il percorso è chiaro.

È possibile quindi ridurre tale disuguaglianze in una sola generazione? Come commenta Michael Marmot in un articolo apparso su Lancet nel novembre 2008 in un  mondo in cui non a tutti sono date le stesse possibilità di salute, di vita e sviluppo, due sono le opzioni che ci spettano: o rimaniamo inermi senza possibilità di cambiare le cose, oppure possiamo, con la forza ed il desiderio di cambiare, con la volontà di creare un mondo più giusto e migliore dove la salute di ogni persona non sia più influenzata dal posto in cui nasce, cresce e vive, dal colore della loro pelle o dalla mancate opportunità per i genitori, andare lontano e cambiare”. L’Oms metterà ora il rapporto a disposizione degli Stati membri, che decideranno come le rispettive agenzie sanitarie dovranno rispondere. Intanto il direttore generale dell’OMS, Margaret Chan ha commentato: “le disuguaglianze di salute sono una questione di vita o di morte, ma i sistemi sanitari non tendono per loro natura all’uguaglianza. L’assistenza primaria è la cornice ideale in cui agire per fare in modo che tutti gli attori, anche al di fuori del sistema sanitario, esaminino il loro impatto sulla salute”.

Risorse
CSDH (2008). Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. Final Report of the Commission on Social Determinants of Health. Geneva, World Health Organization, 2008. [PDF: 7.28Mb]