La medicina è una scienza sociale e la politica…

di Gavino Maciocco

virchow
Rudolf Virchow

“La medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala”. Rudolf Virchow ha fatto scuola nell’America della crisi, dove su JAMA – la rivista ufficiale dei medici americani – compare un articolo dal titolo “Social Policy as Health Policy”. Leggere per credere.

Nel 1848 il governo prussiano inviò Rudolf Virchow – professore di anatomia patologica all’Università di Berlino in Slesia per combattere un’epidemia di tifo nella popolazione polacca. Egli costatò subito che la vera causa del male era la povertà, le pessime condizioni d’igiene e la presenza di uno stato autoritario e repressivo. Tra le ipotesi sull’origine dell’epidemia in questa regione, abitata prevalentemente da minatori, si trovava l’ipotesi climatica. Virchow sostenne invece che il clima non avrebbe potuto causare l’epidemia se la popolazione avesse avuto un’alimentazione adeguata e fosse stata meno oppressa. La terapia proposta prevedeva quindi tre ingredienti principali: “Istruzione con i suoi figli: libertà e prosperità”.

Virchow, dopo tal esperienza, sviluppò la tesi dell’origine multifattoriale delle malattie, sostenendo che erano le condizioni materiali della vita quotidiana delle persone la principale causa di malattia e di morte. Perciò – secondo Virchow – un efficace sistema sanitario non poteva limitarsi a trattare i disturbi clinici dei pazienti, doveva affrontare le radici profonde delle malattie e delle epidemie. Per fare ciò erano necessari cambiamenti sociali, tanto importanti quanto gli interventi medici, forse anche di più, infatti: “Il miglioramento della medicina potrà alla fine prolungare la vita umana, ma il miglioramento delle condizioni sociali può raggiungere questo risultato più in fretta e con maggiore successo“.

Virchow – di fronte alla condizione di miseria in cui versava la maggioranza della popolazione – criticava l’indifferenza e l’apatia dei governanti, e nel 1849, quando un’epidemia di colera imperversava a Berlino, così espresse tutta la sua indignazione: “Non è chiaro che la nostra battaglia deve essere sociale? Che il nostro compito non è quello di scrivere le istruzioni per proteggere i consumatori di meloni e di salmoni, di dolci e gelati, cioè la borghesia benestante, ma quello di creare istituzioni che proteggano i poveri, coloro che non possono permettersi pane fresco, carne e caldi vestiti? Potrebbero i ricchi durante l’inverno – davanti alle calde stufe e alle torte di mele – ricordarsi che gli equipaggi delle navi che portano carbone e mele muoiono di colera? È triste costatare che migliaia devono sempre morire in miseria per consentire a poche centinaia di vivere bene“[1] ( in Risorse).

Le idee di Virchow influenzarono profondamente la politica tedesca al tempo di Bismarck (vedi riforme dell’assistenza sanitaria e della previdenza attuate tra il 1883 e il 1889), e formarono le basi concettuali dello sviluppo della “medicina sociale” in tutta Europa. In Italia molti medici seguirono i suoi insegnamenti. Tullio Rossi Doria, ginecologo, autore di un volume dal titolo “Medicina sociale e socialismo”, così scriveva all’inizio del ‘900: “Come si può credere di poter riuscire a redimere il nostro paese dal triplice flagello (malaria, pellagra, tubercolosi, ndr), quando queste tre malattie hanno tutte la loro causa nella miseria, se non si combatte questa di fronte? […] Ed è con gli anemici progetti di riforme presentati paurosamente, timidamente difesi, badando a non ledere alcun interesse, a non urtare nessuna suscettibilità, a non fare rumore, a scivolare quietamente nell’addormentato campo nemico che voi credete di giungere alla vittoria?”[2].

Venendo ai giorni nostri, Virchow avrebbe volentieri benedetto i documenti prodotti dalla Commissione sui determinanti sociali di salute dell’OMS (vedi i post associati al tag Determinanti sociali e diseguaglianze) e mostrato tutta la sua compiaciuta sorpresa nel veder pubblicate su JAMA affermazioni così vicine alle sue tesi. Proprio su JAMA, la rivista ufficiale dell’American Medical Association (AMA), l’associazione dei medici americani che fino a ieri ha ostruito la strada ad ogni seria riforma del sistema sanitario, con la sua ostinata, sorda opposizione ad ogni forma di assistenza sanitaria pubblica, di socialized medicine.

JAMA nel numero del 18 marzo 2009 ha pubblicato due articoli sul tema dei determinanti sociali della salute applicati alla situazione americana, uno di Michael Marmot[3] e l’altro di Steven Woolf[4].

Di seguito riportiamo alcuni brani dell’articolo di S. Woolf, dell’Università della Virginia.

Com’è dimostrato dall’attuale recessione, la pressione socio-economica può influire sulla salute molto più profondamente di quanto possano fare i dottori. Accanto alle restrizioni nell’accesso alle cure (perché le assicurazioni e le cure sono diventate meno abbordabili per i pazienti, le imprese e per il governo), l’economia introduce delle priorità nella vita quotidiana che competono con il conseguimento della buona salute. L’attenzione alla dieta, alla regolarità nell’assunzione dei farmaci, agli appuntamenti per gli screening viene meno quando sono a rischio lo stipendio, i risparmi, la casa. Molte persone sostituiscono gli abituali esercizi fisici con un secondo lavoro. I bassi stipendi costringono altri a scelte non salutari: le famiglie sostituiscono le verdure fresche con i fast food, gli anziani caricano i freezer di surgelati per abbassare il costo della spesa. Lo stress, insieme ai suoi fisiologici effetti, induce l’uso di sigarette, alcol e droghe e fomenta comportamenti abusivi. Persone disperate commettono atti violenti e omicidi per rubare ciò di cui hanno bisogno; altre si tolgono la vita. Migliorare l’assistenza sanitaria è una risposta a metà se le malattie sono provocate dalle condizioni quotidiane di vita“.

Il grado con cui le condizioni sociali influenzano la salute è illustrato dall’associazione tra livello d’istruzione e tassi di mortalità. Nel 2005 il tasso di mortalità tra gli adulti di età 25-64 anni con livello d’istruzione superiore alle scuole secondarie era di 206,3 x 100.000; esso fu due volte più alto (477,6 x 100.000) tra coloro in possesso del diploma di scuola secondaria e tre volte più alto (650,4 x 100.000) tra coloro con livello d’istruzione inferiore (Vedi sito web in Risorse). Analoghe drammatiche diseguaglianze affliggono le minoranze povere (neri e ispanici) che registrano condizioni di salute peggiori e muoiono più precocemente rispetto ai soggetti bianchi ricchi. Colpisce l’ordine di grandezza di queste diseguaglianze. Più del 30% di chi vive in povertà riferisce di avere condizioni di salute insoddisfacenti, una percentuale cinque volte superiore rispetto a quella riferita dai gruppi più ricchi. I neonati neri hanno tassi di mortalità infantile doppi rispetto alla popolazione bianca: la loro speranza di vita è inoltre più bassa dei neonati in Bosnia e Croazia. È stato possibile stimare il numero di morti che potrebbe essere evitato se i neri avessero gli stessi tassi di mortalità dei bianchi, un risultato plausibile se fossero rettificate le differenti cause delle diseguaglianze. Un cambiamento sociale di questa scala sarebbe in grado di produrre immensi guadagni in termini di salute, notevolmente superiori a quelli conseguibili con i miglioramenti dell’assistenza medica. Se i neri avessero gli stessi tassi di mortalità dei bianchi, cinque vite potrebbero essere salvate per ogni vita salvata dai progressi biomedici“.

Tutto ciò in teoria, S. Woolf si affretta a precisare. La realtà è diversa perché i cambiamenti sociali sono immensely difficult. Tuttavia, times have changed, afferma l’autore. La recessione ha creato una emergenza sociale nei confronti della quale la società americana sta reagendo con investimenti in common good: per aiutare le famiglie ad andare incontro alle spese, a mantenere il posto di lavoro, a conservare la casa, a mandare i figli a scuola, come pure per salvaguardare i servizi essenziali e il commercio da cui dipendono le comunità.

La salute – prosegue S. Woolf – deve essere aggiunta alla lista dei beni comuni, non solo per il suo valore intrinseco ma anche per gli effetti sull’economia che la salute produce: se continua il diffuso distress socio-economico, il conseguente deterioramento della salute della popolazione potrebbe avere conseguenze negative sulla produttività della forza lavoro, sulla domanda di assistenza sanitaria, e sui costi: uno scenario che né le imprese, né il governo possono permettersi. Il reddito familiare e l’istruzione sono importanti determinanti della salute, ma lo stesso vale per i trasporti, la casa, l’agricoltura e altre politiche non sanitarie. Studi conosciuti come health impact assessment documentano bene le conseguenze sulla salute delle politiche non sanitarie. Programmi che sembrano non avere connessioni con la salute, come i lavori stradali, possono essere trasformati in strategie sanitarie, quando chi li dirige pianifica piste ciclabili e tracciati per i pedoni per promuovere l’attività fisica”.

Il cambiamento sociale è uno strumento legittimo per migliorare la salute.

Se la salute riguarda chi disegna le politiche sociali, l’ovvio corollario per i leader sanitari è quello di usare le politiche sociali per gli obiettivi di salute. Sebbene gran parte dei medici abbiano limitati interessi in campo sociale, chi ha ruoli di responsabilità nella definizione delle strategie sanitarie dovrebbe avere uno sguardo più ampio. Se la missione della professione medica è quella di ottimizzare la salute, allora tutte le opzioni più efficaci devono essere prese in considerazione, non solo gli strumenti clinici (come farmaci e test diagnostici), specialmente quando altri strumenti funzionano meglio. Per esempio, nessun farmaco contro il diabete è associato con una differenza di 3 volte nei tassi di mortalità, come avviene con il livello d’istruzione: tra gli adulti di età tra 40 e 64 anni i tassi di mortalità per diabete sono 21,42 per 100.000 per i laureati (college graduates) e 67,30 per 100.000 per coloro che hanno frequentato solo le scuole superiori (only a high school education). Di conseguenza, organizzazioni e società scientifiche di endocrinologia dedicate a migliorare i risultati di salute dei diabetici dovrebbero promuovere le riforme dell’istruzione con la stessa forza con cui sostengono il disease management“.

Il sistema deve cambiare in modo che le questioni sociali siano incorporate nelle politiche sanitarie. Il primo ostacolo è attitudinale: i sanitari a tutti i livelli devono accettare il principio che il cambiamento sociale è uno strumento legittimo per migliorare la salute. Tale impegno comporta cambiamenti nei compiti dei responsabili delle politiche sanitarie, dei medici curanti e dei ricercatori. […] Per i medici curanti integrare il cambiamento sociale nell’attività assistenziale richiede qualcosa di più della richiesta di consulenza dei servizi sociali. Questo significa individuare obiettivi sociali per i propri pazienti (es, trovare un lavoro, un titolo di studio) e coordinarsi con altre discipline e partner comunitari (es, scuole, agenzie per l’impiego, imprese) per trovare le soluzioni. Sebbene per fare ciò siano necessari finanziamenti e infrastrutture ad hoc, molto potrebbe essere fatto con gli strumenti esistenti. Per esempio, il modello di raccolta elettronica dei dati dei pazienti potrebbe essere ridisegnato per monitorare le condizioni sociali del soggetto al pari di altri “segni vitali”. I sistemi sanitari e le agenzie di protezione sociale potrebbero lavorare insieme per sviluppare un sistema informativo integrato”.

“Le conseguenze sulla salute delle politiche sociali meritano maggiore attenzione da parte di coloro che si occupano di politiche sanitarie., soprattutto in un momento come quello attuale in cui la nazione si sta riconfigurando per superare una prova senza precedenti. Gravi decisioni stanno per essere prese e queste influenzeranno le condizioni di vita e quindi lo stato di salute della popolazione, per gli anni a venire. Per le professioni sanitarie questo non è il momento di tenere le distanze da questi problemi. Non riconoscere l’influenza delle condizioni sociali sulla salute è problematico sempre – ma soprattutto adesso“.

Not recognizing the imprint of social condition on health is problematic at any time – but especially now.

Risorse

Waitzkin H. One and a half centuries of forgetting and rediscovering: Virchow’s lasting contributions to Social Medicine. Social Medicine 2006; 1(1): 5-10 [PDF: 96 Kb]
Nello stesso numero di Social Medicine è pubblicato il Report on the Typhus Epidemic in Upper Silesia di R. Virchow

Il sito della Robert Wood Johnson Foundation Commission to Build a Healthier America contiene un calcolatore online ideato da S. Woolf per valutare l’impatto del titolo di studio sulla salute nei vari stati degli USA.

Bibliografia

  1. Waitzkin H. One and a half centuries of forgetting and rediscovering: Virchow’s lasting contributions to Social Medicine. Social Medicine 2006; 1(1): 5-10 [PDF: 96 Kb]
  2. G. Cosmacini. Storia della medicina e della sanità in Italia. Roma-Bari: Editori Laterza, 1987, p. 398.
  3. Marmot M, Bell R. Action on Health Disparities in the United States, Commission on Social Determinants of Health. JAMA 2009; 301: 1169-71
  4. Woolf SH. Social Policy as Health Policy [abstract]. JAMA 2009; 301: 1166-9

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