La deprivazione cognitiva nell’infanzia. Una perdita inestimabile
- 1
- 6.3K
- 5 Min
- |
- 27 Aprile 2009
di Valeria Confalonieri
Nei Paesi poveri oltre 200 milioni di bambini con meno di 5 anni sono destinati a non raggiungere il loro potenziale sviluppo cognitivo. Le condizioni ambientali in cui vengono al mondo ostacolano la loro crescita e maturazione. Uno sviluppo cognitivo ridotto porta conseguenze nella vita adulta, non solo del singolo ma anche della società, con riflessi sull’economia e la crescita di nazioni già in crisi.
Quando si affrontano le questioni “globali” della tutela dell’infanzia si tende a evidenziare gli aspetti legati alla deprivazione materiale e alle malattie, a denunciare gli insopportabili livelli di mortalità (evitabile) che affliggono vaste aree del pianeta (vedi post Salute materno-infantile: il rapporto “Countdown to 2015” di Tamburlini e Maciocco). Meno risalto viene, viceversa, riservato ai problemi dello sviluppo cognitivo nell’infanzia che sempre si accompagnano alle situazioni di povertà; problemi che sono destinati a incidere sulle prospettive future di intere generazioni, nelle cui mani può essere la possibilità di cambiare, o quanto meno migliorare, il destino di nazioni in difficoltà.
L’argomento è stato oggetto di un Rapporto prodotto dalla Commissione sui Determinanti Sociali di Salute dal titolo “Early Child Development : A Powerful Equalizer” (in Risorse). Già nel 2007 la rivista medica The Lancet aveva dedicato a questo fondamentale tema una serie di tre articoli, preceduti da un editoriale[1][2][3][4]. Il primo contributo si concentra sull’analisi del tema, la sua rilevanza e le sue dimensioni nell’ambito dei Paesi poveri[1]; definiti i contorni e il contenuto della questione, il secondo lavoro esamina più a fondo le cause alla base di un ridotto sviluppo del potenziale cognitivo dei bimbi[2]; infine, il terzo articolo porta concretezza all’analisi, concentrandosi sulle possibilità di intervento per interrompere questa perdita di possibilità delle generazioni future[3].
I termini della questione
Nei Paesi poveri 99 milioni di bambini non sono iscritti alle scuole primarie, peraltro completate da tre quarti degli studenti[1]. Le zone dove si concentra la maggior parte dei piccoli che non terminano nemmeno le scuole primarie sono l’Africa Sub-Sahariana e il Sudest dell’Asia; se si passa a considerare le scuole secondarie, vi si iscrive solo la metà dei bimbi.
Per capire in quanti non riescono a raggiungere le loro capacità potenziali, e con esse il percorso scolastico, il primo articolo di The Lancet riporta due indicatori collegabili a uno sviluppo cognitivo insoddisfacente: il ritardo nella crescita e la povertà.
Dall’analisi di ricerche svolte in numerosi Paesi, gli autori mostrano un’associazione fra questi due elementi e ridotte capacità cognitive e scolastiche dei bambini. Data la disponibilità di informazioni sul numero di piccoli con ritardo nella crescita (ricavate dall’Organizzazione mondiale della sanità, Oms) e di quelli che vivono in condizioni di povertà (ricavate dal Fondo della Nazioni Unite per l’infanzia, Unicef), diventa possibile valutare il numero di bambini con inadeguato sviluppo cognitivo rispetto alle loro possibilità.
Su 559 milioni di bambini con meno di 5 anni nei Paesi poveri, 156 milioni presentano ritardo nella crescita e 126 milioni vivono nella povertà. Per non contare due volte lo stesso soggetto, gli autori hanno riportato la prevalenza di ritardo nella crescita fra i poveri, valutata intorno al 50 per cento. Considerando dunque 63 milioni di poveri (la metà), la cifra complessiva dei bimbi svantaggiati dal punto di vista dello sviluppo cognitivo in base a questi due elementi arriva a 219 milioni, pari al 39 per cento dei minori di 5 anni nelle nazioni povere. Un’ulteriore analisi ha mostrato come la maggior parte di questi bambini viva nel Sud dell’Asia (89 milioni), anche se la prevalenza più alta è nell’Africa Sub sahariana (61 per cento, rispetto al 52 per cento del Sud dell’Asia).
Questo ridotto sviluppo cognitivo nell’infanzia ha un successivo impatto sul versante lavorativo e produttivo nella vita adulta, che consegue sia al minor numero di anni passati a scuola sia a un apprendimento più scarso durante gli anni di frequenza. E’ stato calcolato che, in media, ogni anno di scuola aumenti il possibile salario del 9 per cento circa, da cui se ne ricava la perdita economica collegata alla minore istruzione. Su queste basi, tornando ai 219 milioni di bambini che non raggiungono il loro potenziale cognitivo, viene calcolata una riduzione di reddito nell’età adulta intorno al 20 per cento.
I punti critici che aumentano il rischio
Il secondo articolo della serie ha valutato, con l’analisi anche in questo caso di un vasto numero di studi, quali siano i maggiori fattori di rischio associati alla scarso sviluppo cognitivo, sui quali siano realizzabili interventi efficaci[2]. In particolare, data l’importanza dell’ingresso a scuola e dei progressi nell’istruzione sottolineati dal primo articolo, questo secondo lavoro si è soffermato su numerosi elementi che possono ostacolare il rendimento scolastico: nutrizionali, infettivi, ambientali, psicosociali.
Vengono esaminati diversi fattori di rischio e sottolineati alcuni in base alla solidità delle prove, al numero di bambini coinvolti e alla dimensione dell’effetto sullo sviluppo. In questo gruppo ve ne sono quattro principali, che richiedono interventi urgenti e per le quali vi sono studi randomizzati controllati sugli effetti sullo sviluppo: ritardo nella crescita, stimolazione cognitiva inadeguata, carenza di iodio e anemia da carenza di ferro. Ciascuno di questi fattori coinvolge il 20-25 per cento dei piccoli nei Paesi poveri. A questi si aggiungono altre condizioni, per le quali vi sono prove sufficienti da richiedere interventi, in alcuni casi differenziati in base al contesto geografico ove sono presenti o meno: malaria, ridotta crescita intrauterina, depressione materna, ambiente violento (per conflitti o violenza nelle comunità), esposizione a metalli (come piombo e arsenico).
Vi sono poi altre possibili situazioni di rischio, sulle quali sono necessarie ulteriori ricerche.
Dalle parole alle possibilità
Da ultimo, le strategie possibili per prevenire la perdita di sviluppo cognitivo potenziale, o quanto meno ridurla[3]. La valutazione delle diverse ricerche disponibili porta alla segnalazione degli elementi cruciali, maggiormente collegati a programmi efficaci: interventi che coinvolgano direttamente i bambini e le famiglie, verso i più piccoli e in condizioni di maggiore svantaggio, di lunga durata, qualità e intensità alta, integrati con il supporto familiare e con servizi e sistemi rivolti anche ai diversi aspetti di salute, alimentazione e istruzione.
Viene sottolineato anche come, nonostante vi siano prove dell’efficacia dei programmi sulle future possibilità di successo dei bimbi, i governi ancora investano poco in questa direzione. Le ragioni di tali scelte possono essere diverse, fra cui: l’assenza di specifici settori della società dedicati allo sviluppo precoce nell’infanzia, una mancanza di consapevolezza della questione e degli effetti sulle prospettive future e di indicatori che aiutino nel seguire la condizione infantile, o ancora la difficoltà da parte dei governi, impegnati in progetti con risultati a breve termine, a investire in programmi a lungo termine sullo sviluppo umano. Un invito da parte degli autori a rimboccarsi le maniche, ad avere ricerche sull’approccio migliore per portare avanti con successo programmi di sviluppo per i bambini; un invito ai governi e alla società civile a dare più spazio a interventi di sviluppo nella prima infanzia con caratteristiche di qualità e costo-efficacia.
Irwin LG, Siddiqi A, Hertzman C. Early Child Development: A Powerful Equalizer. Final Report, Commission on the Social Determinants of Health. Geveva: WHO, 2007. [PDF: 7,53 Mb]
- Grantham-McGregor S, et al. Developmental potential in the first 5 years for children in developing countries. Lancet 2007; 369: 60-70.
- Walker SP, et al. Child development: risk factors for adverse outcomes in developing countries. Lancet 2007; 369; 145-157.
- Engle PL, et al. Strategies to avoid the loss of delopmental potential in more than 200 million children in the developing world. Lancet 2007; 369: 229-242.
- Jolly R. Early childhood development: the global challenge. Lancet 2007; 369: 8-9.
I dati fanno sempre impressione, ma ancora di più l’incapacità di Governi e Istituzioni di realizzare significativi progressi. Certo, non resta che “rimboccarci le maniche”, anche se a volte si ha l’impressione di essere come una goccia rispetto al mare. Ciao. Franco Toniolo