Una finestra sulla Palestina. Ancora sull'operazione "Piombo fuso"
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- 30 Aprile 2009
di Angelo Stefanini
Le violazioni sistematiche dei principi di proporzionalità e di distinzione, previsti dalla Legislazione Umanitaria Internazionale, durante l’Operazione Piombo Fuso a Gaza si configurano come veri e propri crimini di guerra. Varie iniziative internazionali sono state attivate allo scopo di definirne la gravità, le responsabilità e le conseguenti sanzioni.
Al termine dell’Operazione Piombo Fuso a Gaza, il quotidiano israeliano Haaretz riportava le dichiarazioni di un ministro israeliano secondo cui: ”Quando l’entità del danno a Gaza apparirà chiaro, non potrò più passare le vacanze ad Amsterdam ma soltanto alla corte internazionale dell’Aia. Commentava il giornalista: “Non è chiaro se stesse scherzando o no.” Quello che è ormai certo è che a Gaza (e non soltanto durante i 22 giorni di guerra) da entrambi le parti sono state commessi crimini la cui gravità va attentamente valutata e le cui responsabilità denunciate e colpite senza ambiguità.
Mentre Hamas viene chiamato in causa soprattutto per il lancio di razzi sulla popolazione civile israeliana circostante la striscia di Gaza e l’uso dei civili come scudo umano, a Israele viene contestata una lunga serie di violazioni del diritto umanitario internazionale. La sua risposta è di avere agito per legittima difesa (e non per rappresaglia o punizione) e di avere colpito bersagli militari legittimi o comunque giustificabili dalle circostanze.
Il Diritto o Legislazione Umanitaria Internazionale, di cui fanno parte le Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i loro tre protocolli aggiuntivi, ha lo scopo di regolamentare la condotta delle operazioni militari in situazioni di guerra. Il concetto fondamentale che ne sta alla base è che l’unico obiettivo legittimo durante un conflitto è di indebolire le forze militari nemiche. Due importanti principi contenuti nel Diritto Umanitario Internazionale sono il principio di proporzionalità e quello di distinzione.
Secondo il canale televisivo israeliano Channel 10, durante le tre settimane di attacco alla striscia di Gaza le forze aeree israeliane avrebbero dispiegato circa la metà della loro intera potenza militare conducendo 2500 missioni aeree (una media di oltre 100 al giorno) e sganciando oltre mille tonnellate di esplosivo. Questo computo, che non tiene tuttavia conto delle bombe lanciate da artiglieria di terra, carri armati, fanteria e flotta navale, offre un’idea della stupefacente forza distruttiva concentrata su di un milione e mezzo di persone stipate in un’area inferiore alla provincia di Prato. L’assoluta assenza di proporzioni in questo impari scontro è anche evidente considerando l’entità decisamente esigua della controparte nemica. Hamas è un’organizzazione socio-politica islamico-palestinese comprendente tra l’altro una forza paramilitare, le Brigate Al Qassam che è paragonabile all’Irish Republican Army – IRA, il braccio armato del movimento Synn Fein (ora vero e proprio partito che partecipa al processo democratico nel Regno Unito). La forza militare di Hamas viene stimata dai servizi segreti israeliani in meno di 20.000 unità la cui arma più temibile (la ragione dichiarata dell’offensiva del 27 dicembre 2008) è costituta dai razzi Qassam, prodotti in loco in modo alquanto artigianale e privi di sistema di guida elettronica.
Il principio di proporzionalità, ossia l’entità delle vittime civili e del danno causato alle proprietà paragonata al vantaggio diretto atteso dall’azione militare, è uno dei criteri su cui i comandi israeliani saranno chiamati a rispondere. Secondo l’associazione israeliana B’Tselem, l’1 gennaio 2009 le forze aeree israeliane bombardarono l’abitazione di Nizar Rayan, importante membro di Hamas del campo di rifugiati di Jabalya. L’esplosione uccise lui, le sue quattro mogli e i loro 11 figli di età tra 1 e 12 anni. Anche se, come sostiene Israele, la casa serviva da deposito di armi, il bombardamento di un edificio civile non può essere giustificato alla luce del prevedibile numero di vittime civili. Nonostante la violazione del principio di proporzionalità sia un crimine di guerra, alcuni mesi fa il generale Gadi Eisenkot, parlando di possibili futuri conflitti, affermava candidamente: “Useremo una forza sproporzionata contro ogni centro abitato da cui si spari contro Israele e causeremo immensi danni e distruzioni”.
Un secondo principio chiamato in causa dalla condotta dei contendenti nella guerra di Gaza è quello di distinzione. Esso proibisce qualsiasi mezzo o modalità che non faccia distinzione tra coloro che prendono parte alle ostilità – e sono quindi considerati come combattenti – e coloro che non partecipano – e vanno quindi protetti. I malati e i feriti, il personale medico, i civili e i prigionieri di guerra sono da considerarsi persone protette. Chiaramente la popolazione di Gaza è costituita nella stragrande maggioranza da civili anche se si trovano nelle vicinanze di un deposito di munizioni o di combattenti di Hamas. Vista l’alta densità della popolazione di Gaza è ragionevole attendersi che ogni operazione militare che avvenga nei pressi della popolazione civile aumenti la probabilità di vittime innocenti. È necessario quindi da parte dei contendenti prendere tutte le precauzioni necessarie nel scegliere i mezzi e le armi più adatti a limitare i cosiddetti “danni collaterali”. Risulta ovvio che il considerare tutti gli abitanti di Gaza e le loro proprietà come parte di Hamas equivale a sottoporre l’intera popolazione a punizione collettiva, anch’essa severamente proibita dalla IV Convenzione di Ginevra (Art.33).
Il generale Dan Harel, vice-capo delle forze armate israeliane, non ha avuto scrupolo ad affermare il 29 dicembre 2008: “Stiamo colpendo non soltanto i terroristi e chi lancia i razzi, ma l’intero governo di Hamas e tutte le sue diramazioni”. A lui si è unito il portavoce militare israeliano: “Chiunque sia affiliato ad Hamas è un bersaglio legittimo”. Il primo giorno dei bombardamenti uno dei bersagli è stata l’accademia di polizia dove dozzine di giovani aspiranti sono stati massacrati. La polizia civile che non partecipa alle ostilità in un territorio occupato non può essere considerato un bersaglio legittimo. Secondo il Centro per i Diritti Umani Al Mezan, il 4 gennaio 2009 alle 9:30 un aereo militare israeliano sparò un missile contro un uomo e i suoi figli mentre stavano raccogliendo legna per scaldarsi e cucinare. Cinque persone furono uccise. Mirare intenzionalmente a civili, come ha fatto anche Hamas lanciando razzi sulla popolazione israeliana, costituisce crimine di guerra.
Colpire intenzionalmente obiettivi civili non ha a che fare con la proporzionalità nè col principio di distinzione: vigili della strada, impiegati del tribunale e poliziotti non sono classificabili come forza combattente soltanto perchè Israele considera il partito al governo come una organizzazione terrorista. Secondo Richard Falk, Special Rapporteur delle Nazioni Unite, dei 1434 palestinesi uccisi nell’invasione di Gaza, 960 erano civili di cui 288 donne e 121 bambini. È difficilmente sostenibile che i civili che rimangono nelle proprie case nonostante siano stati avvertiti del rischio di bombardamenti, in una situazione in cui non esistono possibilità di fuga nè di riparo, debbano essere considerati, come ha affermato il governo israeliano, “scudi umani volontari”, e quindi combattenti.
Il fuoco israeliano ha distrutto o danneggiate moschee, ospedali, fabbriche, scuole, centrali fognarie, luoghi istituzionali come Parlamento, università, prigioni e stazioni di polizia. Una granata ha colpito la parete dell’ospedale Al Wafa proprio al centro della lettera “H” di HOSPITAL. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, durante l’operazione Piombo Fuso 16 paramedici palestinesi sono stati uccisi e 25 feriti dal fuoco israeliano mentre svolgevano il loro lavoro. L’associazione israeliana Physicians for Human Rights e la Croce Rossa Internazionale hanno denunciato casi in cui i militari israeliani hanno impedito ai soccorritori di mettere in salvo feriti e raccogliere cadaveri, sparando contro personale medico e ambulanze.
Va inoltre sottolineato che, a partire almeno dal giugno 2007, quando Hamas riprese con la forza il potere che gli era stato tolto (pur avendolo ottenuto con elezioni democratiche), la striscia di Gaza è stata sottoposta a continua punizione collettiva sotto forma di blocco quasi totale del commercio e del movimento. Questo blocco, considerato dal diritto internazionale consuetudinario come un vero e proprio atto di guerra, aveva da tempo gettato la popolazione nella miseria più abietta, privandola del diritto di soddisfare i bisogni umani più fondamentali. L’intensificarsi del lancio dei razzi Qassam, contro cui è poi esplosa la feroce ritorsione israeliana, era stata una prevedibile reazione ad un simile stato di cose.
Nonostante la posizione intransigente assunta di fronte a tutte le accuse, in alcuni casi i leader politico-militari di Israele hanno dovuto apertamente riconoscere fatti come l’uso illegale di armi o le raccapriccianti testimonianze di soldati israeliani riportate dai media locali. Le bombe al fosforo bianco, sostanza chimica che s’infiamma e brucia a contatto con l’ossigeno, dovrebbero servire come “oscurante” per coprire le operazioni di terra. Come tali non sono bandite dai trattati internazionali, ma ne è vietato l’utilizzo in aree densamente popolate. Oltre a causare profonde ustioni, questa sostanza può penetrare all’interno dell’organismo avvelenandolo.
Secondo un rapporto delle stesse forze armate israeliane, il fosforo bianco, “se viene a contatto con la pelle, inalato o deglutito, può causare serie lesioni e morte.” Quest’arma probabilmente non ha ucciso molte persone a Gaza, ma il suo uso in affollati centri abitati viola il diritto internazionale. Tale uso a Gaza, secondo Human Rights Watch, “non è stato né casuale né accidentale. È stato ripetuto, a lungo e in diverse località, … in aree densamente popolate fino agli ultimi giorni dell’operazione militare. Anche se intesa come “oscurante” anzichè come vera arma, il suo lancio ripetuto da parte dell’esercito…fu indiscriminato ed equivale a crimine di guerra. I pericoli posti ai civili dal fosforo bianco erano ben conosciuti dai comandanti israeliani che lo stanno utilizzando da molti anni.”
L’esercito israeliano ha anche dovuto ammettere di aver fatto uso di flechettes, freccette di 4 cm che, attraverso l’esplosione di granate sparate da carri armati, vengono scagliate a migliaia in un raggio di 100 m. Il DIME (Dense Inert Metal Esplosive), che produce un’esplosione estremamente potente ma a raggio limitato e quindi classificata come LCD (“low collateral damage”) è un’altra arma di fabbricazione statunitense che, secondo RAINews24, Israele avrebbe utilizzato.
Naturalmente, come qualsiasi altro stato, Israele ha il diritto di difendersi da aggressioni e da ogni tipo di violenza. Ma tale diritto deve essere esercitato entro le regole fissate dalla legislazione internazionale. Israele non può giustificare il suo operato a Gaza come legittima difesa contro attacco armato proveniente da altro paese (come previsto dalla carta delle NU) essendo Gaza territorio occupato a tutti gli effetti da Israele anche dopo il ritiro nel 2005 delle sue forze di terra e dei coloni laggiù insediati illegalmente. L’ermetico controllo israeliano su confini e servizi pubblici essenziali di Gaza (acqua, elettricità, comunicazioni, e addirittura il registro di popolazione) equivale ad una vera e propria occupazione. Lo ha confermato la Corte Internazionale di Giustizia nell’Advisory Opinion sul Muro del 2004. Né può Israele accampare lo stato di necessità per giustificare il suo attacco massiccio a Gaza in quanto è chiaro che i pesantissimi bombardamenti effettuati non costituivano certamente l’unico mezzo a disposizione per far fronte alla minaccia dei razzi Qassam.
In quanto potenza che da oltre quarant’anni sta occupando illegalmente terre non sue (e per questo condannata da innumerevoli risoluzioni delle Nazioni Unite), Israele inoltre è soggetto all’obbligo specifico di proteggere e prendersi cura della popolazione civile e dei beni che sono sotto il suo controllo. Compito che evidentemente anche nella Cisgiordania non sta assolvendo lasciandone invece la responsabilità (e i costi) alla comunità internazionale. In effetti, di fronte ai doveri che Israele ha come potenza occupante, è perlomeno singolare che la comunità internazionale non soltanto non intervenga, come richiesto dal diritto internazionale agli stati terzi, a mettere fine alla illegalità della occupazione, ma si sostituisca allo stesso Israele nel ruolo di finanziatrice dei bisogni della popolazione occupata finendo addirittura per sostenere essa stessa il costo delle devastazioni causate dalle violenze del potere occupante. In pratica tutti noi contribuenti stiamo pagando e continueremo a pagare il conto per Israele.
All’imbarazzante inazione e al silenzio della comunità internazionale durante le tre settimane di aggressione fa seguito un atteggiamento altrettanto tiepido di fronte a queste accuse di violazioni del diritto umanitario. Ciò che più rattrista è la mancanza di consapevolezza da parte dei nostri governanti che il prestigio del diritto internazionale e delle istituzioni globali che dovrebbero promuoverlo è seriamente danneggiato quando una nazione lo viola impunemente. Un segno di questa debole volontà delle istituzioni mondiali e dei governi è dato dalla difficoltà a persuadere esperti ed accademici a far parte della Commissione d’inchiesta istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. È di questi giorni la notizia che il governo israeliano ne proibirà l’ingresso nel paese.
Fra le iniziative che hanno sollecitato la nascita di questa Commissione vanno comunque ricordati il rapporto congiunto del Consiglio per i Diritti Umani e dello Special Rapporteur dell’ONU, la relazione sull’uso di fosforo bianco di Human Rights Watch, quelle di Amnesty International, della Croce Rossa Internazionale e dei parlamentari britannici, la lettera di 11 organizzazioni israeliane per i diritti umani inviata all’Avvocatura Generale di Israele, i rapporti di organizzazioni palestinesi (Palestinian Centre for Human Rights, Al Mezan e Al Haq) e israeliane; infine, la nomina del Gaza Board of Inquiry da parte del Segretario Generale dell’ONU col compito di investigare su incidenti occorsi a personale e strutture delle Nazioni Unite durante l’Operazione Piombo Fuso. Anche il Tribunale Criminale Internazionale e il Tribunale Russel contro i crimini di guerra hanno deciso di intraprendere una loro indagine indipendente. È tuttavia dal rinato attivismo della società civile che sembrano provenire le maggiori speranze, in particolare da iniziative che, come il BDS (Boycott, Divestment and Sanctions), iniziano a mostrare un’opinione pubblica più attenta e attiva. Come spesso succede, è soprattutto dal basso che può nascere un vero cambiamento.
Vanno sostenuti ed incoraggiati quanti, di qualsiasi tendenza politica o religiosa, sono per “due popoli, due stati”. In questa fase l’Italia non sta certo facendo molto per la pace e per condannare senza se e senza ma obbrobi come “piombo fuso”. Franco Toniolo