La professione infermieristica di fronte alla sfida della medicina d’iniziativa
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- 11 Maggio 2009
di Paola Di Giulio
Infermieri di territorio, di distretto, di famiglia, di comunità …, sono termini che vengono usati ad indicare un infermiere che assiste, con modelli di presa in carico diversi, pazienti sul territorio. Come si sta evolvendo quest’ area in Inghilterra e le implicazioni sul ruolo degli infermieri.
Un recente articolo[1] descrive l’impatto sugli infermieri dei recenti cambiamenti del contratto dei medici di medicina generale in Gran Bretagna.
Una breve premessa
Nel 1990 nel Contratto del Servizio Sanitario nazionale con i Servizi di Medicina Generale si chiedeva ai medici di istituire ambulatori per le malattie croniche, proprio per rispondere ai bisogni di queste popolazioni di pazienti, assieme a servizi per le vaccinazioni e gli screening cervicali. I medici hanno quindi assunto direttamente infermieri per erogare questo tipo di assistenza, e questo ha portato ad una rapida espansione del numero di infermieri, che venivano (vengono) direttamente assunti dal medico. Il contratto del 2004 ha portato importanti cambiamenti: il contratto non è stato più stipulato con il singolo medico (General Practitioner – GP) ma con l’associazione di GP che fa riferimento ad un territorio e ad una popolazione di pazienti (practice). Sono stati definiti 146 obiettivi di qualità il cui raggiungimento fa ottenere un punteggio, che si traduce in guadagni: il 25% degli introiti della practice è legato al raggiungimento degli obiettivi di qualità, prevalentemente incentrati sulle malattie croniche (vedi anche post Medici di famiglia, Pay for Performance e equità) .
Quali cambiamenti ha comportato questa nuova modalità di contratto?
Innanzitutto, il raggiungimento degli obiettivi di qualità nell’ambito della medicina d’iniziativa – data la loro complessità e il riferimento a processi di presa in carico – non è più legato alle decisioni del singolo medico ma richiede sforzi organizzativi collettivi: ad esempio, l’istituzione di registri di pazienti con una data diagnosi (BPCO, scompenso cardiaco, etc…), di sistemi di reminder telefonici, di attività di monitoraggio e di sistemi per dare informazioni.
La maggior parte di questo lavoro viene portato avanti dagli infermieri.
Questo cambiamento però ha necessariamente comportato altri cambiamenti. Gli infermieri, ad esempio, devono occuparsi di nuove attività, prima svolte dai medici – dello screening dei pazienti, dell’informazione, della valutazione del rischio, del controllo delle terapie -, quindi non possono più occuparsi come prima dell’assistenza a domicilio, o di attività più tecniche, quali l’esecuzione di prelievi. La risposta inevitabile a questa situazione è stata l’introduzione di figure con una qualifica inferiore (Health Care Assistants) cui delegare questi compiti.
L’assunzione di nuove attività (prima svolte dal medico) ha creato diversi ordini di problemi, tra i quali:
- una necessaria riflessione sul ruolo degli infermieri: dove sta andando la professione? Si considera un progresso professionale l’espansione del ruolo – cioè assumere attività che prima venivano svolte dai medici? O, piuttosto, si dovrebbe parlare di estensione, con l’assunzione di attività che riflettano un progetto di sviluppo professionale, non determinato da contingenze legate ai bisogni del servizio, ma della popolazione?
- Questo processo di professionalizzazione, con delega di compiti ad altri, assunzione di un maggiore status, lavoro autonomo, viene considerato molto “maschile” con il rischio di marginalizzare alcuni aspetti femminili (presa in carico, caring), tipici della professione infermieristica.
- L’acquisizione di nuovi compiti-attività, mette gli infermieri in una posizione di costante apprendimento, nella condizione di dover “certificare” le nuove competenze, facendo corsi su corsi e perpetuando il modello di perenni “novizi” e non di esperti. Mentre il nuovo modello professionale portato avanti dalle elite della professione riconosce sempre più importanza dell’apprendimento dall’esperienza e del giudizio professionale, sulla possibilità di assumere o meno un nuovo compito in base ad un’autovalutazione della propria competenza.
- La definizione meno rigida di alcuni confini rispetto alla professione medica (sono gli infermieri ad occuparsi dei piccoli problemi clinici dei pazienti, a ripetere le prescrizioni o a farne per alcuni farmaci) viene vista come potenzialmente pericolosa per lo sviluppo di un progetto professionale, con il rischio di venire considerati come un’espansione del medico, e non come una professione autonoma.
Le interviste fatte a 20 infermieri che operano in 20 diverse practice hanno cercato di raccogliere come percepisce questi cambiamenti chi lavora “in prima linea”: la maggioranza degli intervistati aveva più di 5 anni di esperienza nell’attuale ruolo.
I nodi del dibattito delle infermiere inglesi non sono molto dissimili da quanto viene discusso, anche se forse con una minore visibilità, nello sviluppo della professione infermieristica in Italia.
Gli infermieri riferiscono una certa diversità di ruolo e funzioni effettivamente ricoperte, ad esempio, le infermiere delle practice più grosse hanno acquisito più competenze rispetto a quelle di practice di minore grandezza (ma questa variabilità esiste anche da noi tra reparto e reparto).
Sostengono di non essere preparati a svolgere alcune attività. Da qui la corsa a certificare le nuove competenze con corsi (svalutando l’apprendimento dall’esperienza), a dover seguire protocolli, percorsi clinici standardizzati, che limitano in un certo senso la possibilità di esercitare appieno il giudizio clinico, ma proteggono perché non sempre hanno tutte ricevuto la formazione sufficiente per svolgere alcune funzioni.
La grossa opportunità, e allo stesso tempo sfida, offerta da un contratto che costringe a definire priorità e orientamenti di sviluppo non legati alle attività, ma alla risposta a bisogni di popolazioni, sta in alcuni aspetti che, se ben governati, potrebbero portare a una reale espansione del ruolo. Gli infermieri (anche se con opinioni non sempre univoche) non vedono l’assunzione di attività prima svolte dal medico, come usurpazione del ruolo medico ma un modo per demarcare meglio alcuni confini. La promozione della salute (in ambito di prevenzione primaria o secondaria) costituisce l’occasione di essere il primo contatto con il paziente. E, quindi, impostare un modello di assistenza orientato alla promozione, al rinforzo della abilità del paziente, allo sviluppo di reti, e non solo alla risposta ai bisogni. Questo richiede inevitabilmente l’acquisizione di alcune abilità che sono funzionali a questo modello.
Il nodo, che deve costituire l’oggetto di riflessione anche per noi, è il come arrivare a questi obiettivi: se con un modello di sviluppo professionale, come viene definito nell’articolo di McDonald et al. “maschile”, che riflette lo sviluppo di altre professioni, compresa quella medica: specializzazione tecnica ed erogazione di attività specifiche, cessione di abilità considerate “inferiori” ad altre professioni, gerarchie; o un modello più “femminile”, di presa in carico di gruppo, con competenze diverse, ed una visione più generale della persona nel suo contesto.
La capacità del cogliere e governare questo cambiamento sta proprio nel centrare l’attenzione sulla gestione del paziente cronico, e non sulle “nuove” competenze (ad esempio la prescrizione) che devono essere considerate non un fine ma strumentali ad un progetto di presa in carico.
Con sano realismo i colleghi inglesi ci ricordano anche che un progetto professionale, che comporta inevitabilmente anche l’assunzione di nuove responsabilità, non può essere portato avanti a parità di risorse (e senza aumentare la retribuzione).
- McDonald R, Campbell S, Lester H. Practice nurses and the effects of the new general practitioner contract in the English National Health service: the extension of a professional project? Soc Sci Med 2009; 68: 1206-12.
credo molti sono i temi che richiederebbero un più ampio e approfondito dibattito nella professione infrmieristica
Ma uno dei nodi cebtrali sta nella condivisione di un concetto di responsabilità assistenziale e ciò che questo significa nella pratica quotidiana.
la realizzazione di un approccio decisionale decentralizzao rappresenta la sfida principale. a questo è legata l’evoluzione degli infermieri e non solo e dell’organizzazione, questo vuol dire un continuo miglioramento qualitativo e di sviluppo delle competenze infermieristiche sia come singoli professionisti che come appartenti ad un team assistenzale.E’ su questo concetto di autorità decisionale ( al quale, va detto, una parte non trascurabile della professione non è particolarmente interessata) che si deve discutere, e su cosa significhi concretamente per l’assistenza ai pazienti in uno specifico contesto. il diritto/dovee di prendere decisioni assistenziali nella prassi quotidiana che è non c’entra con l’assunzione di attività prima svolte dal medico, è oggi facilmente contestabile soprattutto in relazione alla collaborazione interprofessionale. i confitti che attualmente ci troviamo a vivere nei cambiamenti che ci vengono richesti non dipendono tanto dal modello che si sceglie di adottare ma dalla difficoltà ad un lavoro interdisciplinare tipica di sistemi centralizzati e dal non riconoscimento di questo diritto di decidere in ambito assistenziale.L’unicità del ruolo dell’assistenza inf.ca nel SS è data dalla conoscenza che gli infermieri hanno del paziente e della loro famiglia secondi i vari setting assistenziali,derivante dalla continuità e trasversalità della loro presenza e credo sia una semplice constatazione dire che non vedo altre disclipline sanitarie che abbiano un così largo spettro di conoscenze su “quella persona e sui suoi bisogni”
Se la conoscenza è potere questa lo è…ha avuto ed ha una considerazione scarsa, ma i nuovi bisogni (v. malattie croniche- oncologia ecc.) la rendono sempre più necessaria e visibile..e il lento aumento della consapevolezza del loro valore porta nonostante tutto ad una ridefinizione di un’unica base di conoscenze su cui l’assistenza inf.a potrà raggiungere un maggiore grado di autonomia.
buongiorno,
sono una assistente sanitaria svolgo la mia attivita’ all’interno di un presidio ASL,la mia domanda è una:A CHI COMPETTE VACCINARE ?MEDICO O ASSISTENTE SANITARIA O INFERMIERE?
Credo che ci siano troppe cose da sistemare in Italia per i servizi infermieristici prima di parlare di chi deve…iniziando dalla separazione di ambiti tra medico e infermiere.
In Svizzera, ad esempio, non potrei richiedere ad un infermiere nulla di di diverso tranne di considerare una prescrizione medica, tutto il resto non deve riguardare il medico. Sappiamo bene tutti che i medici ricoprono posizioni manageriali pur non avendo la minima idea di cosa significhi il management, soprattutto quello sanitario.
Quando gli infermieri prenderanno posizione e consapevolezza che non sono una professione al servizio di pavoni, non piu’ in auge, probabilmente potrete iniziare a ricostruire il disastro che avete permesso fino ad ora.
Tornando alla domanda : cosa ne sarà del SSN – dipende da voi, se continuate soltanto a sperare… un disastro.
Scusate il tono ma siete troppo adeguati allo studio di come la sanità non deve essere gestita.
P.S. L’Italia detiene il primato di essere, assieme alla Grecia, uno dei pochi paesi dove il numero di medici supera quello degli infermieri…. in sanità é la domanda che determina l’offerta.