La qualità nelle cure primarie. Attenzione alla “tirannia di ciò che può essere misurato”

di Alessandro Bussotti

1205233150028_26260_medico_famiglia1La maggior parte dei pazienti che si presentano dal medico di famiglia ha problemi multipli, complessi e interagenti – fisici, psicologici e sociali, non sempre misurabili. Il ruolo “chiave” delle cure primarie è quello di integrare gli apporti di differenti professionisti in modo da rendere l’assistenza coerente e sostenibile, personalizzandola in funzione del ambiente e delle capacità del singolo paziente.

In Inghilterra, dal 2003, è stato  introdotto un sistema di remunerazione dei medici di famiglia (General Practitioners – GPs) ispirato al principio del Pay for Performance, basato sul raggiungimento di obiettivi di appropriatezza ed efficacia clinica, capacità organizzativa e di soddisfazione degli assistiti, denominato Quality and Outcomes Framework (QOF)vedi post di Lorenzo Roti. Il sistema è centrato sulla valutazione dei risultati clinici relativi a una serie di malattie croniche tra cui diabete, scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica, ictus, ipertensione, asma, epilessia, BPCO. La scelta delle malattie incluse nel QOF discende dalla misurabilità e dai benefici attesi in termini di salute sulla base delle evidenze scientifiche. La remunerazione è legata alla proporzione di pazienti, arruolati all’interno dei differenti registri di patologia, per i quali sia stato raggiunto un determinato obiettivo di processo (es: assidua e regolare misurazione della pressione arteriosa) o di risultato (es: pressione arteriosa all’interno di determinati parametri). L’iniziativa ha registrato un indiscusso successo giacché gli obiettivi sono stati largamente raggiunti; inoltre questa strategia ha consentito di ridurre i livelli di diseguaglianza – dovuta alla condizione socio-economica – nell’accesso alle cure e nel controllo delle malattie, come testimoniano due paper pubblicati su Lancet e BMJ.  Il post di L. Roti riporta anche il commento di Barbara Starfield, critico sul fatto che il QOF sia concentrato massimamente sugli interventi medici (diagnostici, terapeutici e in misura minore di follow up) senza provare a misurare e premiare quello che nelle cure primarie è un aspetto fondamentale della relazione terapeutica, ossia la capacità di lavorare sui problemi del paziente, sulla personalizzazione e sulla continuità delle cure.

Su questo specifico punto torna il BMJ con un articolo di Iona Heath (Gp) e altri tre autori (professori di General Practice e Family Medicine), intitolato “Qualità nelle cure primarie: un approccio multidimensionale alla complessità” [1].

La qualità delle cure primarie – premettono gli autori – dipende dall’integrazione dell’assistenza verticale e di quella orizzontale.  La “vertically oriented care” riguarda la gestione di specifiche malattie dall’assistenza primaria a quella terziaria, mentre la “horizontally oriented care” si basa sull’integrazione dell’assistenza intorno ai bisogni dell’individuo e su una strategia  che dà priorità ai bisogni più ampi della comunità e della popolazione. In questo modo le misure della qualità delle cure primarie devono riflettere entrambe le dimensioni. Un’eccessiva enfasi  sull’assistenza verticale può migliorare specifici outcome, ma può anche avere delle involontarie e negative conseguenze, come la frammentazione dell’assistenza e il peggioramento della qualità complessiva delle cure.

La maggior parte dei pazienti che si presentano dal medico di famiglia ha problemi multipli,  complessi e interagenti – fisici, psicologici e sociali. Tuttavia – si legge nel paper – gran parte delle evidenze scientifiche su cui si basano le misure di qualità della gestione delle singole malattie  escludono esplicitamente i soggetti con comorbilità. Quando questi pazienti sono visitati da molteplici specialisti, ciascuno dei quali ha competenze specifiche in una singola patologia, la somma delle raccomandazioni può essere o contraddittoria o eccessivamente pesante per il paziente.  Il ruolo “chiave” delle cure primarie è quello di integrare gli apporti di differenti professionisti  in modo da rendere l’assistenza coerente e sostenibile, personalizzandola in funzione del contesto e delle capacità del singolo paziente.
Valutare la qualità nelle cure primarie è anche più complesso perché queste si basano sul lavoro di un team multidisciplinare, dove ogni membro contribuisce al risultato finale e dove l’interazione tra i diversi membri produce il successo, o anche l’insuccesso, del processo assistenziale. Va aggiunto che il lavoro di questo team avviene in un contesto dove operano molteplici discipline, specialità e agenzie esterne. La qualità delle interazioni con queste diverse realtà, con le organizzazioni della comunità, è un importante aspetto del successo delle cure primarie.

Riferendosi al sistema d’incentivazione QOF recentemente introdotto in Inghilterra, gli autori affermano: “Non sappiamo se il sistema migliorerà la salute della popolazione inglese, ma appare probabile che la gestione di pazienti con patologie come diabete e scompenso cardiaco migliorerà.  Tuttavia sono da aspettarsi effetti perversi, importanti e difficili da quantificare.  Ciò include il sovratrattamento delle condizioni monitorizzabili e la ridotta attenzione a problemi non monitorizzabili, ma non per questo meno importanti per il paziente”.

Questo punto va sottolineato. Nonostante si continui a pubblicizzare il gran numero di malati cronici non seguiti o comunque non adeguatamente trattati, in realtà si tende a sottovalutare il problema del sovratrattamento di una sempre maggior quantità d’individui, che sono in genere quelli più facilmente raggiungibili e più sensibili agli inviti a un corretto stile di vita e a una buona compliance farmacologica. Tutto questo non sempre comporta un miglioramento dello stato di salute e della qualità della vita: basti pensare alla vicenda del PSA (indicatore del tumore della prostata), che, nonostante le ormai numerose prove che ne sconsigliano l’uso come screening, continua a essere prescritto e a provocare prostatectomie spesso superflue [2,3].

La qualità delle cure primarie – sostengono gli autori – deve essere valutata e calibrata a molti, differenti livelli: il livello dell’implementazione di linee guida basate sull’evidenza; il livello dei bisogni, dei valori e delle priorità del singolo paziente; il livello della famiglia e della comunità coinvolta nell’assistenza e nel supporto di quel paziente; differenti livelli di popolazione; e, infine, il livello complessivo del sistema sanitario, dove l’accessibilità e l’equità diventano i criteri fondamentali. Un’eccessiva attenzione a un solo livello può impedire il raggiungimento della qualità ad altri livelli e della qualità complessiva.

Queste riflessioni sono attuali anche in Italia, dove si stanno introducendo sistemi di remunerazione dei medici di medicina generale (MMG) basati sul Pay for Performance. È necessario individuare un sistema di indicatori che valorizzi la relazione col paziente e tenga conto del lavoro multidisciplinare.

Tutto questo potrebbe far diminuire il rischio che sta correndo la Medicina Generale italiana di finire in quella “hamster health care” citata da Roti: in effetti già ora molti MMG sicuramente si sentono come il famoso criceto che gira sempre più veloce nella ruota, producendo pochi risultati per la fatica spesa: l’uscita dalla gabbia ed il conseguente abbandono dell’attività insulsa della ruota (origine probabilmente di molto del burn out che affligge i MMG) potrebbero forse essere favoriti proprio da un ripensamento della loro attività.

D’altra parte una riduzione e una ridistribuzione del carico di lavoro attuale è indispensabile in vista della modifica radicale dell’approccio alle malattie croniche, che, anche se con l’aiuto indispensabile di altre figure professionali, impegnerà moltissimo i MMG nei prossimi anni.

La critica del QOF e, più in generale, dei parametri di valutazione “verticali” non deve far però dimenticare che una valutazione analitica e quantitativa dei risultati del lavoro dei MMG in Italia è ancora in una fase assolutamente preliminare ed è sicuramente indispensabile. Solo dopo avere avuto a disposizione i risultati che ora iniziano ad avere i GP inglesi e dopo aver ridotto le eccessive variabilità di comportamento che affliggono la Medicina Generale italiana, potremo cominciare ad avventurarci nello studio e nella valutazione degli aspetti più caratteristici delle Cure Primarie, iniziando a costruire una cultura ed una ricerca che non sia idealmente dipendente da quella specialistico-ospedaliera.

Bibliografia

  1. I. Heath, A. Rubinstein, K. C Stange, and M.L van Driel. Quality in primary health care: a multidimensional approach to complexity. BMJ 2009;338, 911.
  2. Fritz H. Schröder et al. Screening and Prostate-Cancer Mortality in a Randomized European Study. N Engl J Med 2009;360:1320-8.
  3. Gerald L. Andriole, et al. Mortality Results from a Randomized Prostate-Cancer Screening Trial. N Engl J Med 2009;360:1310-9.

Un commento

  1. Purtroppo le cure primarie e in particolare la medicina generale avendo a che fare con un crescente numero di anziani con bisogni molto diversi e mutevoli, mancano in questo rilevante settore della necessaria qualità; non si valutano per esempio i risultati (probabilmente potrebbero essere migliorati) e i ricoveri ospedalieri di tipo geriatrico , non sempre appropriati e congrui, aumentano. Anche i “consumatori” si sono accorti che l’Italia non ha un buon servizio sanitario nonostante alcuni proclami. Si pensi che il medico prescrive senza segnalare la diagnosi possibile (codice ICD-9-CM) e che la continuità delle cure si identifica (anche nel più recente contratto di lavoro) nella disponibilità del medico 24 ore su 24! : questa ultima è una lacuna culturale.

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