La ratifica dei trattati sui diritti umani fa bene alla salute?
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- 17 Giugno 2009
di Gavino Maciocco
La ratifica da parte di uno Stato di un trattato internazionale sui diritti umani, ed in particolare sul diritto alla salute, non fa crescere la probabilità che gli abitanti di quello Stato godano di una migliore salute e abbiano un accesso più facile, possibilmente gratuito e senza discriminazioni, a servizi sanitari di qualità.
Lancet dedicò buona parte del numero 9655, uscito il 13 dicembre 2008, al sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: un editoriale, molti commenti (tra cui quello di Amartya Sen, ampiamente citato nel documento di apertura del nostro blog Perché salute internazionale) e un monumentale paper in cui venivano proposti (e analizzati per 194 paesi) 72 indicatori che riflettono – secondo gli autori – il livello di realizzazione del diritto alla salute[1].
“Il diritto alla salute – si legge nell’editoriale del 13 dicembre 2008[2] – è molto più che una comoda frase che gli operatori sanitari, le organizzazioni non governative, i gruppi della società civile brandiscono nella vaga speranza che ciò possa cambiare il mondo. Il diritto alla salute è uno strumento legale – un cruciale e costruttivo strumento a disposizione del settore sanitario per fornire le migliori cure ai pazienti e per rendere responsabili i governi nazionali e la comunità internazionale.”
A distanza di 6 mesi Lancet torna sull’argomento con un articolo [3] che mette implicitamente in discussione la suddetta affermazione. Il titolo dell’articolo infatti è: “La ratifica dei trattati sui diritti umani ha qualche influenza sulla salute della popolazione?”.
L’articolo ripercorre brevemente (ma molto utilmente per i lettori) la storia dei trattati sui diritti umani, in particolare quelli che contengono precisi riferimenti alla tutela della salute. Il più rilevante di questi è l’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights[4] (Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali) del 1966. Il Patto esige che i governi garantiscano il diritto di accesso ai beni essenziali della vita umana, come il lavoro, il cibo, la salute, l’educazione, la casa. Il Patto si occupa di salute all’art. 12, che così recita. “Gli Stati che aderiscono al Patto riconoscono il diritto di ciascuno di poter godere dello standard più elevato possibile di salute fisica e mentale. I passi necessari per raggiungere la piena realizzazione di questo diritto includono quelli per ottenere:
- La riduzione della natimortalità e della mortalità infantile e lo sviluppo sano del bambino.
- Il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale e industriale.
- La prevenzione, il trattamento e il controllo delle malattie epidemiche, endemiche e occupazionali.
- La creazione delle condizioni per assicurare a tutti i servizi sanitari e le cure mediche in caso di malattia.
Il Comitato delle Nazioni Unite (Committee on economic, social and cultural rights) incaricato di monitorare la realizzazione del trattato nel rapporto del 2000 – vedi Commento Generale n. 14 – 11 Maggio 2000[5] – rileva che, per milioni di persone nel mondo, il pieno godimento del diritto alla salute rimane ancora un obiettivo lontano. In molti casi, specialmente per quelli che vivono in povertà, questo obiettivo sta diventando sempre più remoto. Il Comitato è inoltre consapevole dei formidabili ostacoli strutturali che impediscono la piena realizzazione dell’art. 12 del Patto in molti Stati. Il Comitato, pur constatando che la limitatezza delle risorse finanziarie dei paesi più poveri rappresenta un ostacolo insuperabile nell’attuazione del Patto, sottolinea due fondamentali concetti:
- l’obbligo degli Stati di erogare a tutti i cittadini un livello essenziale di assistenza sanitaria (da cui alcuni obblighi fondamentali – core obligations: garantire l’accesso alle strutture sanitarie, ai beni e servizi senza alcuna discriminazione, specialmente nei riguardi dei gruppi più vulnerabili della popolazione; erogare i farmaci essenziali in accordo con le linee-guida dell’OMS; assicurare un’equa distribuzione delle strutture sanitarie, dei beni e servizi);
- l’obbligo degli Stati più ricchi di collaborare con i paesi più poveri nella realizzazione dei diritti riconosciuti dal Patto. Per entrambi i punti si fa riferimento alla Dichiarazione di Alma Ata del 1978.
L’articolo di Lancet individua altri 5 trattati internazionali, destinati ad essere ratificati dagli Stati, che si occupano di diritti umani e ritenuti in grado di influenzare la salute della popolazione:
- Trattato sui diritti dei bambini (1989);
- Trattato sull’eliminazione della discriminazione contro le donne (1979);
- Trattato contro la tortura (1984);
- Trattato sull’eliminazione della discriminazione razziale (1965);
- Trattato sui diritti civili e politici (1966).
I 170 Stati a cui si riferisce lo studio hanno ratificato almeno uno dei sei trattati e una parte di essi li ha ratificati tutti e sei. I quesiti sono:
- vi sono differenze nello stato di salute della popolazione (mortalità infantile e materna, prevalenza Hiv, speranza di vita alla nascita) e nei principali determinanti sociali di salute (tra cui: indice di sviluppo umano, diritti politici, libertà civili) tra i paesi che hanno ratificato tutti e sei i trattati e gli altri che ne hanno ratificati meno di sei?
- Vi sono state differenze nello stato di salute della popolazione (indicatori di cui sopra) negli Stati che hanno ratificato i trattati, tra la situazione prima della ratifica e quella dopo 10 anni?
La risposta è doppiamente negativa: non sono emerse differenze significative nello stato di salute né tra gli Stati che hanno avuto tenuto comportamenti diversi nella ratifica dei trattati, né all’interno di uno Stato tra il prima e il dopo la ratifica.
La conclusione, deludente e amara, è che la ratifica da parte di uno Stato di un trattato internazionale sui diritti umani, ed in particolare sul diritto alla salute, non fa crescere la probabilità che gli abitanti di quello Stato godano di una migliore salute e abbiano un accesso più facile, possibilmente gratuito e senza discriminazioni, a servizi sanitari di qualità.
Peraltro neanche l’emanazione da parte di uno Stato di costituzioni e leggi che riconoscono il diritto alla salute garantisce l’effettivo godimento di questo diritto da parte dei cittadini di quello Stato. Esemplare è il caso del Burundi, Stato africano di circa 8 milioni di abitanti, la cui spesa sanitaria pubblica assomma a 1 solo $ pro-capite all’anno e i cui indicatori di salute sono tra i peggiori dell’Africa. Il sistema sanitario del Burundi ha avuto il suo momento di notorietà quando la rivista Health Policy and Planning ha pubblicato un articolo[6] dal titolo “Detention of insolvent patients in Burundian hospitals”, ovvero chi non paga la retta ospedaliera finisce nelle prigioni appositamente allestite all’interno dei nosocomi (uno può anche morire per questo, ma la salma viene restituita ai familiari solo dopo il pagamento dovuto). Ebbene il Burundi è tra gli Stati maggiormente in regola con la ratifica dei trattati sui diritti umani e compare anche tra i Paesi che hanno emanato proprie leggi a tutela del diritto alla salute, come risulta dal citato paper sui 72 indicatori[1].
Concludiamo questo post con tre brevi considerazioni:
Il principale trattato sul diritto alla salute (il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, emanato del 1966) è politicamente figlio della stagione della “salute per tutti” che troverà il suo apogeo nella Conferenza di Alma Ata del 1978. La stagione che è seguita, dagli anni 80 in poi, è stata quella dell’“health for some”: degli aggiustamenti strutturali imposti dalla Banca Mondiale, delle privatizzazioni, della demolizione sistematica dei servizi sanitari pubblici nei paesi a medio e basso livello di sviluppo. La schizofrenia nel comportamento di molti paesi che prima ratificano un trattato e poi lo rinnegano (o sono costretti a rinnegarlo), è in larga parte spiegata dai due diversi cicli della storia della seconda metà del secolo XX. Speriamo che l’inizio del XXI secolo sia portatore di un nuovo e più favorevole ciclo per il diritto alla salute.
Singolare la storia di questi trattati. Una volta emanati – spesso dopo una lunga gestazione – , le istituzioni internazionali li dimenticano. Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, ripetiamo, è stato emanato del 1966, ma solo nel 2000 le Nazioni Unite decidono di fare una seria verifica, scoprendo che “per milioni [era più esatto dire: miliardi] di persone nel mondo, il pieno godimento del diritto alla salute rimane ancora un obiettivo lontano”. E’ noto che il mancato rispetto dei trattati sui diritti umani non comporta alcuna sanzione, se inoltre le istituzioni internazionali non svolgono neppure un’azione di costante monitoraggio, di richiamo, di moral persuasion, e alla fine di denuncia, ci si chiede che valore effettivo possano avere questi strumenti.
Questi trattati possiedono comunque grandi potenzialità, come nota il più recente articolo di Lancet. Possono rappresentare un potente strumento di advocacy e di azione legale in mano a individui e gruppi che si battono a favore del diritto alla salute, com’è avvenuto nel caso dell’accesso ai farmaci antiretrovirali. La mobilitazione a favore del diritto alla salute rimane un punto centrale del mantenimento di questo diritto all’interno di una società. Afferma Amartya Sen: “Ci sono azioni politiche, sociali, economiche, scientifiche e culturali che noi possiamo prendere per fare avanzare la causa della buona salute per tutti. Nel considerare la salute come un diritto, noi riconosciamo la necessità di un forte impegno sociale per la buona salute” [7]. Se non c’è questo impegno potrebbero essere guai. L’universalismo “selettivo”[8] è dietro l’angolo.
Risorse
Stessi diritti, diversa salute: intervista a Gavino Maciocco
“All’istruzione, alle cure, al voto, a trascorrere un’infanzia serena, a non essere discriminati. I paesi che ratificano i trattati dell’Onu si impegnano a rispettare questi diritti. Ma, secondo la rivista Lancet, la sottoscrizione non sempre ha effetti sulle condizioni di salute di una popolazione”…
Pietro Greco (Radio3Scienza) intervista Gavino Maciocco,16 giugno 2009.
- Backman G, Hunt P, Khosla R, et al. Health systems and the right to health: an assessment of 194 countries. Lancet 2008; 372: 2047-85. doi:10.1016/S0140-6736(08)61781-X
- Editorial. The right to health: from rhetoric to reality. Lancet 2008; 372: 2001.
- PalmerA, et al. Does ratification of human-rights treaties have effects on population health? Lancet 2009; 373:1987-92
- United Nation Human rights. High Commissioner for Human Rights. International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights. [Adopted and opened for signature, ratification and accession by General Assembly resolution 2200A (XXI) of 16 December 1966, entry into force 3 January 1976, in accordance with article 27].
- United Nation Human rights. High Commissioner for Human Rights. The right to adequate housing (Art.11 (1)) : . 13/12/91. CESCR General comment 4. (General Comments)
- Kippenberg J, Sahokwasama JB, Amon JJ. Detention of insolvent patients in Burundian hospitals. Health Policy Plan2008; 23: 14 – 23.
- Amartya Sen. Why and how is health a human right? Lancet 2008; 372:210. doi:10.1016/S0140-6736(08)61784-5
- Geddes M. Libro bianco sul futuro del modello sociale. Saluteinternazionale.info, postato il 11.06.2009
Bravo Gavino, ti leggiamo sempre con grande interesse: i figli di Angal (AFRICA) sono ben cresciuti! Giannino e Sonia Busato