Libro Bianco sul futuro del modello sociale

di Marco Geddes

libro_bianco1L’universalismo selettivo è la parola d’ordine che pervade il documento del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Famiglia e terzo settore risultano le leve che permetteranno – rispettando un quadro di sostenibilità – la promozione della salute e dei servizi socio-sanitari, in collaborazione, e in larga parte in sostituzione, dell’intervento pubblico.

Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha reso disponibile il Libro Bianco[1], con il quale il Ministro Maurizio Sacconi intende dare un indirizzo politico in materia di lavoro, salute e inclusione sociale, in modo tale da “[…] ricondurre a una visione integrata l’insieme di prestazioni e servizi – pubblici e privati – che devono concorrere alla vita buona dei cittadini nel contesto necessario di una società attiva”. Tale premessa, che introduce il documento, seconda tappa di una elaborazione avviata con il Libro Verde presentato nel luglio dello scorso anno, si riconnette con le conclusioni del testo, che esplicitano l’impegno di predisporre, a seguito del Libro Bianco, piani d’azione per i diversi ambiti della riforma. Ci dovremmo pertanto attendere, da parte del Governo e dei diversi Ministeri competenti, una serie di azioni e provvedimenti legislativi che condividono l’impianto generale della elaborazione presentata in queste pagine.

Quali possano essere tali provvedimenti non è facile desumerlo dal Libro Bianco, non perché questo non sia ricco di indicazioni ideologiche ed etiche, ma per una scarsezza di riferimenti puntuali al contesto attuale, di impegni e scadenze anche di lunga durata, di indicazione su possibili azioni o provvedimenti legislativi, anche a mero titolo esemplificativo.

Si tratta tuttavia di un testo che pone, in modo esplicito, alcune problematiche, dopo averle valutate e discusse nel corso di molti mesi e che meriterebbe una riflessione attenta ed eventuali controproposte da parte di forze politiche e culturali che in esso non si riconoscono.

Il Libro Bianco sottolinea come il sistema del Welfare si articoli in Lavoro, Salute e Politiche sociali e a questi diversi ambiti viene dedicata l’analisi e le proposte, anche se l’approccio a queste tematiche, se non fosse condizionato da un filo conduttore fortemente ideologico, comporta – pur nel quadro di una riflessione unitaria – indirizzi e soluzioni anche fortemente differenziati.

La riflessione che qui esponiamo è prevalentemente finalizzata alle tematiche socio-sanitarie. La salute è un diritto fondamentale; come tale – ricorda il Libro Bianco a pagina 25 – viene qualificato dalla Costituzione. Il percorso che viene proposto è tuttavia invertito, sia in termini di individuazione dei determinanti che di cronologia storico-ideologica, quasi “À rebours” verso i primordi dell’intervento pubblico, finalizzato ai primi dell’ottocento a rendere sane, perché fossero capaci di produrre e di combattere, le classi subalterne. “Promuovere la salute – afferma infatti il Libro Bianco fin dalla sua prima pagina – consente di ridurre la povertà, l’emarginazione e il disagio sociale e anche di incrementare la produttività del lavoro, i tassi di occupazione, la crescita complessiva dell’economia”. Se è pur vero che esiste un rapporto consequenziale fra salute e povertà/marginalità, vi è una messe di studi, ricerche, documenti di governi e organizzazioni internazionali volte a evidenziare e dimensionare il rapporto inverso fra povertà/emarginazione e salute, e a proporre politiche volte ad intervenire sui determinanti di salute. Lascia pertanto perplessi che il Ministero della Salute appaia non essere neppure avvertito della problematica e delle strategie da attuare proprio per tali vie, agendo quindi su eguaglianza e inclusione sociale , la promozione della salute.

Il tema che persegue il Ministro Sacconi è quello della sostenibilità. Una problematica alla quale nessuno può sottrarsi. Le vie che vengono suggerite sono molteplici e coesistenti.

Il principio a cui il documento si ricollega è quello dell’universalismo selettivo; vi è poi una razionalizzazione dei servizi sanitari che si articola in una serie di enunciati, quali il potenziamento del territorio, la razionalizzazione della rete ospedaliera, forme integrative di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, un welfare delle responsabilità condivise, un ruolo centrale del terzo settore e della famiglia, un uso delle tecnologie che permetta la presa in carico attraverso un passaggio di informazioni (il fascicolo elettronico) comprensivo sia dei parametri sanitari e sociali che dei percorsi lavorativi e formativi. Tutto ciò nell’ambito di un passaggio dalla spesa storica (che finanzia i servizi e l’inefficienza) a quello del costo standard, in un quadro di federalismo fiscale.

Tanta carne al fuoco meriterebbe una cottura differenziata, anche perché alcuni dei provvedimenti sono sui fornelli ormai da tempo!

Limitiamoci tuttavia ad una riflessione su quelli che appaiono i temi conduttori, anche quale indicazione strategica e ideale, del Libo Bianco.

L’universalismo selettivo è una parola d’ordine che pervade il documento, e anche le tematiche sanitarie, seppure non se ne esplicita bene la sua applicazione. Con tale termine si intende – nell’ambito della trattatistica di questo decennio – una scelta equilibrata tra universalismo, quanto a beneficiari, e selettività nella erogazione delle prestazioni[2]. L’universalismo selettivo è tuttavia un criterio che veniva proposto sostanzialmente per i trasferimenti economici (assegni sociali, familiari) e per forme di sostegno allo studio (accesso gratuito agli asili nido, esenzione alle tasse universitarie etc). In tale contesto si intende non differenziare in base ad assetti categoriali, ma selezionando le prestazioni economiche da erogare, affinché queste siano più efficaci e contrastino, in particolare, la povertà (ad esempio con la istituzione del minimo vitale). Uno degli strumenti, peraltro sperimentato in modo assai travagliato, è l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), a cui il testo, omettendo ogni riferimento a contesti e percorsi normativi in atto o da tempo attesi (il decreto attuativo), non fa riferimento.

Altra cosa è la potenziale applicazione di un universalismo selettivo in ambito sanitario. In tale settore vi sono proposte di politiche sanitarie volte a una selettività positiva, caratterizzata da misure mirate a fasce di popolazione povera e svantaggiata (ad esempio gli immigrati) all’interno di servizi universali, proprio per mettere in discussione una mera uguaglianza di risorse a fronte di bisogni e capacità di accesso ai servizi diversificata[3]. Su tale linea riflettono i documenti di diversi Paesi e del WHO, ma a tale dibattito il nostro Ministero appare evidentemente estraneo.

Famiglia e terzo settore risultano le leve che permetteranno – rispettando un quadro di sostenibilità – la promozione della salute e dei servizi socio-sanitari, in collaborazione, e in larga parte in sostituzione, dell’intervento pubblico. Non schierarsi per le politiche che mettono al centro la famiglia è, nel nostro Paese, una posizione ereticale, e nessuno è così masochista da perseguirla. Quella che qui emerge è tuttavia una visione fortemente ideologica della famiglia “società naturale fondata sul matrimonio[…] che connette in modo unico generi e generazioni attraverso al dimensione dell’amore come dono reciproco”.
Da questa, un po’ sdolcinata definizione, non è chiaro quale strumento si intenda attivare; così nel Libro Bianco non trovano spazio diritti di “autonomia” dal nucleo familiare, che andrebbero incoraggiati attraverso politiche di sostegno (allo studio in sede diversa da quella del nucleo familiare o all’estero, alla abitazione per gli studenti fuori sede o le giovani coppie etc.), in una società, quale quella italiana, che appare sempre più immobile rispetto agli altri Paesi europei e che dalla famiglia deriva certo forza e protezione ma anche immobilismo e scarsa capacità di confrontarsi con altre realtà culturali e economiche.

Il terzo settore è richiamato più volte a contribuire alla “vita buona” poiché risulta “[…] essenziale il ruolo responsabile delle organizzazioni caritatevoli come dei servizi socio-sanitari territoriali […] e delle autonomie locali”; l’ordine in cui sono enunciati i differenti attori esplicita peraltro la diversa valenza che il testo attribuisce loro.

Infine, il territorio, una entità in cui si colloca “famiglia, comunità e lavoro”, connessi fra loro da un sistema informatico (il fascicolo elettronico) assai irrealistico quanto potenzialmente oppressivo. Il concetto di territorio è fondamentale, anche in riferimento alla distribuzione di risorse fra l’ospedale, la prevenzione e la medicina di comunità, proprio per assicurare una continuità assistenziale e presa in carico del paziente. Si tratta tuttavia di un luogo, una entità, in cui persona, famiglia e comunità vivono e agiscono se infrastrutture, abitazioni, servizi pubblici, traffico, aree verdi, spazi comunitari sono adeguati e accessibili, anche quali determinanti di una vita buona. Non risulta, nel Libro Bianco, alcuna traccia, alcun appello, a politiche intersettoriali, che si rivolgano – queste sì – alla comunità locale, sulla base di un federalismo – non solo fiscale – per condividere responsabilità di governo del territorio, che è l’elemento centrale per la promozione della salute.

Il Libro Bianco enfatizza la libertà di scelta delle persone, che dovrebbe esercitarsi fra i diversi attori del sistema sanitario: strutture caritatevoli, soggetti privati, servizi sanitari dei sistemi regionali. Al pubblico il ruolo di determinare linee guida e quello di assicurare un controllo sulla qualità dei servizi. Ci troviamo quindi di fronte a una ipotesi di mercato della salute regolato sulla qualità dei prodotti, ma privo di qualsiasi ipotesi di pianificazione (il termine non appare nel testo), e pertanto non facilmente contenibile in termini di spesa. Il limite invalicabile è forse attuato attraverso una serie di “proibizioni” di carattere prevalentemente confessionale, la dove si definisce “il diritto al figlio sano” e “il diritto a morire” un mercato dei desideri!

Queste considerazioni non sminuiscono la rilevanza del Libro Bianco. Intendono anzi richiamare l’attenzione su di un documento che nasce da un indirizzo politico esplicitato (in ciò è a mio modo di vedere meritorio) e da un processo di elaborazione non breve, attraverso tappe intermedie attuate nel corso del 2008 e del 2009.

Pare tuttavia che l’attenzione del mondo politico italiano sia orientato, per ora, a tematiche forse rilevanti e che occupano la prima pagina di molti quotidiani, ma che difficilmente possono costituire una base di eventuali programmi e proposte alternative!

Risorse

Ministero del lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Libro Bianco sul futuro del modello sociale. La vita buona nella società attiva. Maggio 2009 [PDF: 597 Kb].

Bibliografia

  1. Ministero del lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Libro Bianco sul futuro del modello sociale. La vita buona nella società attiva. Maggio 2009 [PDF: 597 Kb].
  2. La riforma del welfare – Dieci anni dalla Commissione Onofri , a cura di Luciano Guerzoni. Fondazione Astrid – Il Mulino, 2008, (in particolare il contributo di Elena Granaglia, pag. 125).
  3. Sen A.K.: La disuguaglianza. Un riesame critico, Bologna, Il Mulino, 1994.

3 commenti

  1. Caro Marco
    leggerò con più attenzione il libro bianco di Sacconi. Sicuramente ad una lettura attenta le critiche contenute nel tuo commento risalteranno. Un fatto però è certo: la sostenibilità di un sistema universalistico deve essere ripensata e con i piedi per terra.
    Ormai anche gli Stati Uniti vanno alla ricerca di un Sistema Sanitario Universalistico, ormai è chiaro che non si possono lasciare milioni di persone senza copertura sanitaria.
    Ma , si domandono gli esperti statunitensi, come fare ad impedire le storture osservate nei sistemi sanitari nazionali in special modo europei e canadese? Le storture osservate sono evidenziare da un buon grado di inefficienza ( con notevole spreco di denaro pubblico). Una delle soluzioni proposte è si costruire un servizio pubblico ma un servizio pubblico che si muova sulla competizione e per muoversi sulla competizione è necessario misurare nel modo più oggetivo possibile la PERFORMANCE ed in base alla performance sviluppare o tagliare o se non si può tagliare migliorare ma se non si migliora tagliare. Lo sviluppo di un sistema di scorecards bilanciate è ormai OBBLIGATORIO in tutti gli ospedali della Toscana ad esempio , che in tal senso deve diventare un laboratrio , almeno per gli ospedali. Per il territorio la storia è più complessa, la Regione Toscana deve premere a livello nazionale e sulle altre regioni perchè i medici di famiglia abbiano un contratto e non una convenzione, nell’attesa deve favorire quei medici di famiglia che vogliono partecipare all’OUTPATIENT DEPARTMENTE che ha sede nell’ospedale di riferimento o nei presidi territoriali di riferimento ( con l’appoggio del Volontariato) che debbono però essere certificati. In questo modo si potrà costruire un progetto straordinati di Chronic model, partendo magari da uno sperimentale per poi diffonderlo via via con le dovute correzioni. La famiglia, le associazioni del volontariato, i cittadini in generali parteciperanno, attraverso una partecipazione attiva la PROGETTO. E’ chiaro che in tutto questo debbono restare fuori dalla porta le FORZATURE POLITICHE, SINDACALI , DI CLUBS DI VARIA NATURA ALLA LUCE DEL SOLE OD OCCULTI. Come fare? Attraverso la PARTECIPAZIONE ATTIVA E DEMOCRATICA ED IL FEDERALISMO FISCALE COME RIFLESSIONE ATTENTA SULLE RISORSE E SULLE RE-PRIORITIZZAZIONE. Non più dunque tutto a tutti senza riflessione su capacità , performance e risorse, non più diritti e basta, ma prima di tutto DOVERI e poi discussione sui diritti e come REALMENTE ED EFFICACENTE soddisfarli
    Scusami, Marco, nella brevità del commento ovviamente le idee sono state sintetizzate, ma come ben sai sono disponibile per ogni approfondimento e sopratutto disponibilissimo a RESISTRE NELLA NOSTRA TOSCANA agli assalti del privato contro il pubblico
    con affetto
    GIORGIO TULLI

  2. Caro Marco,
    grazie per questo tuo lucido, colto ed intelligente contributo. Anche il mio commento, come e più di quello di Giorgio Tulli, è breve, come penso si convenga al mezzo che stiamo utilizzando.
    Breve, invece, non potrà essere il cammino che ci attende, per mettere in evidenza quello che il libro bianco in questione, e non solo, rappresenta: un preciso disegno politico che, sotto le vesti anche pregevoli di alcune analisi, sottende la volontà di sancire il primato dell’economia, o meglio del mercato, sulle scelte in sanità (come in altri ambiti). Il nocciolo è sempre questo: le logiche economiche, o meglio, quelle contabili, invece che essere vincoli, strumenti doverosi per lavorare bene, diventano obiettivi, diventano il fine cui ispirare le poltiche della salute, come dell’istruzione, ecc…Non ti è sfuggito, in fondo, che con questo libro bianco si ribalta completamente il senso di una linea di connessione: non più le condizioni sociali come determinanti della salute, ma la salute come determinante sociale. Ci vedo molto di simile alle politiche dell’attuale governo sull’immigrazione: non si tratta di persone in sé, e dunque di per sé meritevli di tutela e portatrici di diritti, ma solo se e in quanto “servono” a qualche fine produttivo.
    Ecco che il maledetto PIL torna a governare tutto: le persone, la salute hanno un “valore” solo se aumentano il PIL, altrimenti no…Ma quando la smetteremo di considerare la sanità solo in termini di consumi, di prestazioni “fatte” (dunque di movimento del PIL…) senza guardare mai A CHI le facciamo (l’appropriatezza) e COME le facciamo (l’efficacia?)
    Dietro l’edulcorata facciata del librobianco si nasconde un progetto che non esiterei a dire cinico, con Oscar Wilde, perché sa esattamente definire il prezzo della salute, ma se ne dimenica del valore.

  3. Dr.Geddes
    molto stimolante la discussione….
    La facciata del libro bianco + davverp molto edulcorata… ma ad un’analidi più profonda le perplessità sono molte…
    mi pare che questo documento abbia pienamente assunto tra i riferimenti fondamentali quelli dell’enciclica di Benedetto XVI sulla dottrina sociale della Chiesa a partire dai concetti di liberta’ responsabile della persona, di ruolo della comunita’ familiare e territoriale, di sussidiarieta’, di relazione tra sostenibilita’ sociale e sviluppo economico, di utilita’ del dono e della carita’”. Ora se in termini generali si tratta di argomentazioni meritevoli e difficilmente contestabili, c’è invece da preoccuparsi molto per l’approccio ideologico che le sostiene…visto i recenti e pesanti interventi del Vaticano su molte questioni “etico-sociali”
    Una cosa che non può saltare all’occhio è l’assoluta mancanza di risposta ” alle nuove aree di poverta’ che ”riguardano le famiglie, ma soprattutto persone singole, anche divorziate, gay, estracomunitari…, in particolare molti anziani, uomini e donne”.
    Un tema complesso come quello della famiglia viene affrontato in modo ideologico e restrittivo ciò di cui si parla è solo la famiglia tradizionale trascurando qualsiasi altra dimensione peraltro molto e sempre più presenti nella società.. ignorate le forme di convivenza che di fatto sono nuclei familiari. Anche rispetto alla famiglia tradizionale poi il modello di intervento che traspare è quello che la vede come entità abbandonata alle dinamiche di mercato dove si annulla il valore della persona. Per la famiglia si prevedono agevolazioni fiscali, facilitazioni all’acquisto della casa in una logica del tutto assistenziale, non in quanto persone titolari di diritti individuali esigibili.
    Anche le considerazioni sul calo demografico, e l’analisi parzialissima sulle cause ( non si parla del precariato, del clima sociale , della cirsi produttiva, del costo della vita, dei servizi scarsi…) francamente sono apertamente strumentali per proporre di nuovo solo interventi di sostegno economico per le famiglie “in regola” e di cittadinanza italiana.
    Nell’insieme delle proposte si vede anche molto bene la dichiarata volontà di rimodellare il diritto del lavoro italiano, attorno alla dimensione individuale del rapporto di lavoro, cosa del resto richiesta a gran voce dalla Confindustria…non da demonizzare in assoluto, ma certamente da affrontare in maniera attenta e in una dimensione collettiva.
    Non vorrei che ancora fosse l’economia e la confessionalità a regolare la vita sociale..

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