Cambiamenti climatici e salute
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- 8 Settembre 2009
di Roberto Romizi
Gli effetti dei cambiamenti climatici influenzeranno lo stato di salute di gran parte della popolazione del pianeta nei prossimi decenni e metteranno a rischio la vita e il benessere di miliardi di persone.
E’ ben noto che le recenti attività umane – e soprattutto quelle legate all’industria – hanno prodotto un incremento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra, particolarmente CO2, metano e ossido di carbonio, a un livello talmente critico da determinare un significativo riscaldamento del pianeta, i cui effetti sono già ampiamente visibili: cambiamenti della stagionalità e dell’intensità delle precipitazioni con alcune aree che stanno diventando inusualmente più umide e con altre, come le regioni sub-tropicali, inusualmente più secche; aumento della frequenza e della severità degli eventi climatici estremi (uragani, inondazioni, siccità, ondate di calore); scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare.
Le conseguenze sull’ambiente e sulla salute dei cambiamenti climatici colpiscono inegualmente regioni e popolazioni. Nel 2000 i cambiamenti climatici hanno prodotto – secondo una stima prudente[1] – almeno 150.000 morti; e sebbene il miliardo più povero della popolazione mondiale produca circa il 3% di tutto il gas serra del mondo, quei morti sono quasi esclusivamente confinati nella parte più povera del pianeta, come dimostra la Figura 1, dove la parte superiore (A) mette in evidenza i paesi con i più alti livelli di produzione di CO2 e quella inferiore (B) la distribuzione della mortalità per malattie sensibili ai cambiamenti climatici (malaria, malnutrizione, diarrea e decessi provocati da inondazioni).
Figura 1. Mappa del pianeta in relazione alla densità delle emissioni di gas serra e alla mortalità correlata ai cambiamenti climatici. Fonte: [2]

Lancet, in collaborazione con l’University College London Institute for Global Health Commission (UCL), ha recentemente pubblicato un ampio e dettagliato Rapporto su come affrontare le conseguenze sulla salute provocate dai cambiamenti climatici[2]. “I cambiamenti climatici sono la più grande minaccia globale nei confronti della salute del 21° secolo”. Questa affermazione apre e riassume la monografia, frutto del lavoro congiunto di scienziati provenienti da molteplici discipline (medicina, legge, ingegneria, economia, antropologia, etc). Sono cinque – secondo il Rapporto – le sfide decisive che devono essere affrontate se non si vuole che i cambiamenti climatici diventino una catastrofe così grande da minacciare la stessa sopravvivenza umana[3].
Per prima cosa c’è un terribile vuoto d’informazione, una sorprendente mancanza di conoscenza su come rispondere agli effetti negativi sulla salute prodotti dai cambiamenti climatici.
Secondo, poiché gli effetti dei cambiamenti climatici colpiranno più duramente i poveri, noi abbiamo di fronte un compito immenso – sostiene il Rapporto -, quello di rafforzare i sistemi sanitari dei paesi più fragili in modo da proteggere le popolazioni a più alto rischio.
Terzo, c’è in ballo una sfida tecnologica. Le tecnologie hanno la potenzialità di aiutare ad adattarci ai cambiamenti del clima, ma per ottenere questo sono necessari grandi investimenti in ricerca.
La quarta sfida è politica: creare le condizioni per una vita con bassi livelli di gas serra.
E, infine, c’è la questione di come convincere le nostre istituzioni a fare dei cambiamenti climatici la priorità, com’è necessario che sia.
Gli attuali cambiamenti climatici (i 12 anni più caldi degli ultimi 150 anni si sono verificati negli ultimi 13 anni) sono stati provocati dal riscaldamento globale di + 0,76°C rispetto all’era pre-industriale. Se non saranno adottate le necessarie contromisure (es: ridurre il livello di CO2 dall’attuale valore di 387 ppm a un realistico 350 ppm, era 316 ppm nel 1958) è da attendersi per la fine del 21° secolo un incremento della temperatura media globale oscillante tra 1,8°C e 4.0°C, a cui corrisponderebbe un’amplificazione degli effetti del riscaldamento, tra cui – secondo le stime prudenti riportate dal Rapporto della Commissione Lancet-UCL – un innalzamento del livello del mare di 28-79 cm.
Al tema delle scelte politiche per contrastare il riscaldamento del pianeta e i suoi effetti sulla salute è dedicato un altro articolo (già citato[1]) di Lancet, che esamina l’interfaccia tra cambiamenti climatici, condizioni sociali e iniquità nella salute. La tesi dell’articolo (che ha come riferimento le conclusioni della Commissione sui determinanti sociali della salute dell’OMS) è che le politiche che negli ultimi decenni sono state la causa dell’aggravamento delle condizioni dell’ambiente sono le stesse che hanno prodotto un aumento della povertà in vaste aree del mondo e una dilatazione delle diseguaglianze nella salute (Figura 2).
Figura 2. Relazioni tra cambiamenti climatici, determinanti sociali e
diseguaglianze nella salute. Fonte: [1]
L’articolo in particolare si sofferma su tre differenti aree che influiscono sia sull’equità globale nella salute, sia sui cambiamenti climatici: lo sviluppo economico, l’urbanizzazione e il sistema alimentare.
Sviluppo economico a ogni costo
Dagli anni 80 le istituzioni finanziarie internazionali hanno abbracciato una strategia economica nota come Washington Consensus. Una strategia che mette in primo piano il ruolo del mercato nel conseguire una più grande integrazione economica globale – deregulation, privatizzazione dei servizi pubblici, stabilizzazione delle monete, migliori opportunità per le compagnie multinazionali. La traiettoria economica dagli anni Ottanta ha aumentato interconnessioni e interdipendenza, e ha facilitato una maggiore mobilità dei capitali, delle tecnologie, della conoscenza e delle persone; tuttavia i vantaggi conseguiti in termini di potere, reddito, beni e servizi sono stati diseguali. Lo sviluppo economico ha contribuito a allungare la speranza di vita nella maggior parte dei paesi. Tuttavia circa tre miliardi di persone – inclusi 1,3 miliardi di lavoratori – ancora vivono con meno di 2 dollari al giorno. Le politiche di aggiustamento strutturale introdotte nei primi anni Ottanta dal Fondo Monetario Internazionale per garantire i pagamento dei debiti ha costretto i governi dei paesi poveri a dirottare i finanziamenti pubblici dalla sanità, dall’istruzione e dallo sviluppo sostenibile. Le recenti regole del commercio internazionale hanno inoltre ridotto la capacità dei governi di proteggere la salute pubblica, di regolare l’ambiente, di approvvigionarsi di farmaci a basso costo – con serie implicazioni per l’equità nella salute tra e all’interno dei paesi.
Avendo creato un mercato globale che dipende dalla produzione, dal trasporto a lunga distanza e dal consumo di volumi sempre crescenti di beni, la stessa traiettoria economica ha portato a un crescente sfruttamento delle risorse naturali, alla scarsità di energia e a un sovraccarico del sistema ambientale naturale. Tutto ciò nel contesto di una crescita costante della popolazione globale che si accompagna a flussi migratori interni e internazionali, particolarmente verso le aree urbane, e che genera disgregazione sociale e conflitti quando la terra e le risorse vitali, come cibo e acqua, cominciano a scarseggiare.
Urbanizzazione, salute e ambiente
Noi viviamo in un ambiente in gran parte urbanizzato. La percezione che le città offrono migliori opportunità di studio e di lavoro, i sempre minori investimenti in infrastrutture e servizi nelle aree rurali hanno prodotto la migrazione verso le città. Questa migrazione, combinata con la naturale crescita della popolazione delle aree urbane, ha creato un’enorme domanda, per lo più insoddisfatta, di case, servizi, trasporti e lavoro.
Questo processo ha imposto significativi costi sia sulla popolazione che sull’ambiente. Sebbene la vita nelle città possa offrire notevoli benefici, l’urbanizzazione è stata accompagnata da un aumento nella prevalenza di diabete, malattie cardiocircolatorie, obesità, malattie mentali, abuso di alcol e sostanze, violenza, che sono tipicamente più comuni tra le popolazioni di basso status sociale. Incidenti stradali e inquinamento dell’aria dovuto al traffico sono causa di migliaia di morti e di invalidità, con le aree urbane di gran lunga le più colpite. Inoltre circa il miliardo di persone che vivono negli slums delle grandi città rappresentano un ideale terreno di coltura per le malattie infettive.
L’inarrestabile processo di urbanizzazione ha sostanziali conseguenze per l’ambiente. L’inquinamento dell’aria prodotto dal traffico, dalle industrie e dal riscaldamento domestico è uno dei problemi maggiori, anche se attualmente in diminuzione nei paesi a più alto reddito. La combinazione del rapido sviluppo economico e della concomitante urbanizzazione nelle aree più povere significa che i paesi in via di sviluppo saranno sia i più colpiti dai danni del cambiamento climatico e insieme i principali contributori al problema.
Alimentazione, cambiamenti climatici e equità nella salute
La fame interessa oltre 850 milioni di persone nel mondo, soprattutto nelle aree più povere e nelle comunità più vulnerabili. Contemporaneamente l’eccesso di consumi di cibi ad alto contenuto calorico – causa della crescente prevalenza dell’obesità – si verifica particolarmente proprio nei gruppi più poveri della popolazione. La natura del sistema alimentare – dalla produzione alla distribuzione – contribuisce alle iniquità nell’accesso al cibo. Poiché il costo dei generi alimentari è in continua crescita tutti, tranne i più ricchi, ne risentono gli effetti. Qualcuno è in grado di acquistare cibi sani; altri sono in grado di acquistare soltanto i cibi più economici, ad alta densità di calorie, prodotti industrialmente, che aumentano il rischio di obesità e diabete; altri ancora non si possono permettere neanche questi.
Il sistema alimentare è causa dei cambiamenti climatici (vedi le deforestazioni amazzoniche per creare aree a pascolo) e insieme ne subisce gli effetti (maggiore frequenza di siccità e inondazioni che riducono la quantità, la qualità e la disponibilità di cibo).
Se è vero – affermano gli autori del paper – che le politiche nazionali e internazionali dominanti hanno prodotto negli ultimi decenni una serie di effetti negativi di inaudita portata sul benessere e sulla salute degli esseri umani e sulle condizioni del pianeta, c’è la necessità di riorientare queste politiche alla luce delle nuove conoscenze sulle cause sociali delle diseguaglianze nella salute e dei cambiamenti climatici. E ci sarà un effetto sinergico nel porre nella stessa agenda queste tre grandi battaglie a favore del genere umano: conseguire l’equità nella salute globale, eradicare la povertà, stabilizzare il clima.
Gli appelli per relegare nella storia la povertà a favore dell’equità nella salute a livello mondiale e per stabilizzare il clima sono in sintonia con le attività di un numero sempre crescente di organizzazioni della società civile ed esiste una crescente consapevolezza pubblica, necessaria per cambiamenti di grande importanza (vedi in Risorse anche appello per il controllo dei cambiamenti climatici che sarà presentato in occasione della Conferenza OMS di Copenaghen del Dicembre 2009). Riunire queste voci potrebbe essere il successivo passo per creare il nuovo modello di sviluppo che si sta rivelando necessario.
Nota
Roberto Romizi è medico, presidente dell’International Society Doctors for Environment (ISDE) Italia.
Risorse
APPELLO DEI MEDICI, RICERCATORI E SCIENZIATI ITALIANI PER IL CONTROLLO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI. Appello alla 15° Conferenza delle Parti – COP15, Copenaghen Dicembre 2009 [PDF: 88 Kb]
WHO – Social determinants of Health
- Friel S, Marmot M, Michael A, Kjellstrom T, Vagero D. Global health equity and climate stabilization: a common agenda. Lancet 2008; 372: 1677-1683.
- Lancet and University College London Institute for Global Health Commission. Costello A, et al. Managing the health effects of climate change. Lancet 2009; 373:1693-1733.
- Editorial. A Commission on climate change. Lancet 2009; 373:1659.
Se penso che nella storia dell’evoluzione l’uomo è l’essere più sviluppato e con le maggiori capacità di adattamento all’ambiente, una ferita profonda si incide su di me all’evidenza del paradossale utilizzo che egli fa di tale opportunità: contro se stesso, la sua stessa specie e la misteriosa bellezza del “creato”.
Un commento ad Antonella. Comincio a pensare che l’essere più sviluppato utilizzi queste sue capacità superiori per contrapporsi ai meccanismi e i cicli naturali. Il grande genetista Ernest Mayr scrisse: “L’intelligenza superiore è un errore dell’evoluzione, incapace di sopravvivere per più di un breve attimo nella storia evolutiva”. Naturalmente noi, appartenenti alla specie umana, siamo abituati ad ammirare la magnificenza delle cose che l’uomo ha fatto, è naturale – il leone non può che essere fiero della sua capacità di cacciare la gazzella – ma è giunto il momento di andare un po’ più in là. L’uomo ha modificato il corso dell’evoluzione biologica fin dalla sua comparsa, per le sue capacità (ad esempio, la quasi estinzione dei grandi mammiferi, oltre alla domesticazione di piante e animali), e oggi lo sta facendo in modo sempre più profondo (come ci ricorda Ernesto Burgio) creando ceppi di virus mai esistiti in miliardi di anni, trasferendo materiale genetico da una specie all’altra, oltre che agire sulle risorse e i cicli naturali in modo assolutamente distruttivo, e così via (anche senza bisogno di scomodare le guerre). L’uomo sa (dovrebbe sapere) che tutte le specie viventi sono destinate prima o poi all’estinzione, ma si comporta con incomparabile presunzione (e ignoranza!) come se la sua specie fosse eterna. Credo che sia giunto il momento di porsi seriamente il problema stesso della sopravvivenza della specie, oltre che ovviamente dell’ambiente, che a questa sopravvivenza è strettamente legato.