Che ne sarà del nostro SSN?
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- 29 Settembre 2009
di Marco Geddes
Il “Patto per la salute” presentato dal Governo alle Regioni mette a rischio il funzionamento dei servizi e la garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha inoltrato alle Regioni lo Schema concernente il “Patto per la salute” per il biennio 2010 – 2011. La riunione della Conferenza, prevista per Giovedì 17 Settembre, è stata rinviata a data da destinarsi, ma dovrebbe tenersi a breve scadenza.
Cosa è che, oltre a preoccupare, sconcerta, nella lettura della proposta? La contraddizione di fondo fra il titolo “Un patto per la salute” e il contenuto: il peggioramento dei servizi e la non garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Sotto il profilo economico il finanziamento, che era stato pattuito precedentemente, prevedeva un incremento annuo del 3,7%. Sulla base delle attuali proposte la differenza rispetto a quanto previsto dal Patto in vigore è rilevantissima: si tratta di una diminuzione di oltre 8 miliardi di euro in due anni, come evidenziato nella Figura 1.
Figura 1. Variazioni del finanziamento del SSN per gli anni 2010-2001 previste dal Patto per la salute. In milioni di euro.
A ciò si aggiunge la cancellazione del fondo nazionale per la non autosufficienza, pari a 400.000 Euro.
La proposta prevede una serie di indicatori, a cui le regioni si devono attenere. Indicatori di ordine finanziario (finanziamento pro capite per livello di assistenza: 5% prevenzione, 55% distrettuale, 45% ospedaliero; spesa pro capite, etc.); indicatori sui costi medi per l’assistenza domiciliare e per l’assistenza ospedaliera, da valutare in riferimento a gold standard nazionali.
Quali sono i provvedimenti che una regione deve assumere in caso di “squilibrio di bilancio del settore sanitario”? Semplice:
A. […] la definizione di misure di riduzione stabile della consistenza organica del personale in servizio. Questa è, come si suol dire, un’ottima idea! Dato l’eccesso di personale infermieristico, che affolla le nostre corsie, invece che un piano di formazione e incentivazione in questo settore, come hanno fatto altri Paesi, e in particolare la Gran Bretagna, si sollecita una ulteriore decurtazione. Basterebbe porre attenzione agli ultimi dati, riferiti al 2006 o 2007, dell’Oecd, che abbiamo rielaborato per un gruppo di Paesi, per vedere quale sia la situazione italiana (Figura 2).

B. Forme di partecipazione al costo delle prestazioni, consistenti in: 1. contributo o quota fissa su ricette relative all’assistenza farmaceutica, e specialistica ambulatoriale, 2. quote di partecipazione per prestazioni mediche-chirurgiche in day hospital, 3. contributo spese alberghiere per ricoveri ospedalieri.
La “perla” poi è la seguente: la partecipazione alla spesa deve essere imposta a tutti i “… cittadini, compresi i cittadini a qualsiasi titolo esenti ai senti della vigente normativa“. In altri termini si dovrebbe far partecipare il malato di tumore alle spese del day hospital!
C. Infine un’ultima indicazione: l’incremento delle tariffe per prestazioni rese in attività libero-professionalie intramuraria.
Qualche considerazione:
- In una situazione di crisi economica avevamo capito che i governi si adoperavano per rafforzare i sistemi di welfare, quale meccanismo di ammortizzamento degli effetti socio-economici della tempesta finanziaria. Qui invece si percorre una strada opposta, con l’intenzione di ridimensionare il Servizio sanitario nazionale e comprometterne l’universalità.
- La crisi sarà, secondo ogni previsione ragionevole, assai lunga, in particolare in termini di occupazione. Il settore sanitario dovrebbe rappresentare un ambito di crescita occupazionale, che necessita di riequilibri territoriali e, in particolare, categoriali, non di un generale ridimensionamento.
- Eventuali squilibri di bilancio non sono affidati a piani di rientro o a incremento della tassazione regionale, forse onerosa ma con alcuni criteri di proporzionalità e progressione, ma a una decisione centralistica (non si andava verso il federalismo fiscale?) che prevede la tassazione dei malati.
- Si prevede infine un incremento delle tariffe di libera professione intramoenia, provvedimento da definire ridicolo. Il totale delle entrate intramoenia assomma a 1.147 milioni1, di cui solo il 13.5% entra nelle casse delle Aziende! Quindi tutto si tradurrebbe in un incremento del reddito per i liberi professionisti, con una minimale manovra finanziaria per l’ente pubblico.
E’ stato lanciato un SOS (sossanita@gmail.com), ma le forze politiche e l’opinione pubblica appaiono, su tale problema, fino ad oggi assai… distratte!
Risorsa
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Patto per la salute per il biennio 2010-2011 [PDF: 1,03 Mb]
per chi ancora non l’ha capito, questo governo tende ad affossare l’assistenza pubblica a favore di quella privata, così come fa per l’educazione ed anche per il controllo della legalità.
Se è ragionevole ipotizzare una spesa per interventi (diagnostici, terapeutici e preventivi) inappropriati o inefficaci o di scarso impatto di sanità pubblica pari al 30% della spesa totale (trascurando i costi delle patologie iatrocene connesse), ci si deve chiedere dove sta l’impegno delle forze politiche (tutte, senza eccezioni) e delle società scientifiche e professionali per ridurre tale spesa? La prospettiva per il futuro è l’aumento della spesa per interventi inappropriati magnificando le meraviglie dello sviluppo biotecnologico. L’esempio del “disease mongering” è illuminante. Questo aumento di spesa è insostenibile da qualsiasi sistema sanitario pubblico e, pertanto, quest’ultimo deve essere smantellato o ridotto ai minimi termini per dare spazio alla spesa privata. Ricordo che l’inappropriatezza è non solo danno per la salute ma anche tomba della professionalità. Infine, si può dimostrare che la qualità aumenta se si riducono le disuguaglianze.
Il “Patto per la salute 2010-2011” potrebbe risultare vantaggioso per le Regioni se…..le Regioni arrivassero al Tavolo con proposte innovative condivise, economicamente sostenibili per lo Stato, eque per la popolazione, appropriate ai bisogni di cittadini sempre più anziani e meno autosufficienti.
Le Regioni dovrebbero concordare un modello assistenziale centrato prevalentemente sui pazienti e le loro famiglie (e non come è ora solo sui servizi), basato sull’approccio bio-psico-sociale e globale alla salute (e non sul prevalente approccio bio-medico e diagnostico-terapeutico),orientato a focalizzare l’attenzione sui bisogni che scaturiscono dalla malattia e sulle capacità residue della persona ammalata (e non solo sulla malattia), impostato su attività di equipe multiprofessionale che coinvolgono anche il paziente e la famiglia (e non solo su attività professionali settoriali). Da questo modello possono scaturire piani di cura e assistenza integrati (e non solo prestazioni professionali), finalizzati alla presa in carico globale del paziente nella rete dei servizi (e non sull’accesso ai servizi, frammentato e scoordinato).
Il WHO da più di 50 anni ci dice che questo modello potrebbe svilupparsi se i Paesi arrivassero a considerare come fulcro del Sistema Sanitario la Assistenza Sanitaria Primaria (piuttosto della Assistenza Ospedaliera), e vedessero quest’ultima come supporto alla prima, in caso di problematiche sanitarie ad alta tecnologia, alto rischio ed alto costo.
Per fare questo però serve una rilettura dei modelli culturali, assistenziali, organizzativi ancora prevalentemente centrati sulla Assistenza Ospedaliera. Uno stimolo a questo cambiamento potrebbe scaturire dalla lettura della ripartizione dei finanziamenti (5% per prevenzione, 45% per assistenza ospedaliera, 55% per assistenza distrettuale), se tale fosse rispettata nella realtà.
Servirebbe una semplificazione dei percorsi assistenziali alla persona, soprattutto per i pazienti cronici (responsabilità unica di governo clinico dei piani di cura e assistenza individuali, per non frammentare il percorso). Servirebbe innovazione (es. “Distretti Clinicizzati” per la presa in carico del paziente cronico fuori dall’Ospedale, ma in un luogo visibile ai cittadini).
Vi sono Regioni che hanno già iniziato, pure a fatica, il percorso di sviluppo della Assistenza Sanitaria Primaria.
Ma nessuna Regione ha realizzato ancora che a monte di ogni cambiamento serve una buona Formazione, una formazione “long life learning” indirizzata alle varie figure professionali impegnate nella Assistenza Sanitaria Primaria (professioni mediche, sanitarie, assistenziali, della educazione), una Formazione che izi dal pre-laurea, per continuare nel post-laurea e poi per tutta la vita professionale.
Ci vuole lungimiranza da parte delle Istituzioni che governano cura e assistenza (Aziende Sanitarie, Comuni). Ci vuole dialogo fra le Istituzioni preposte alla Formazione (Università, Aziende Sanitarie, Comuni).
Le rappresentanze dei cittadini, rese competenti, devono essere coinvolte.
Se le Regioni lo vogliono il SSN può mantenersi !!!!
maria angela, forse hai ragione. Non sono un economista ma un semplice infermiere. Ma è da considerare il fatto che non si può sempre avere i doveri degli Europei ed i diritti degli Italiani. Una riduzione del personale, già di per se ampiamente insufficiente a coprire le carenze di organico esistenti, sommata ad una incrementale insoddisfazione per le sempre disattese richieste di una retribuzione alla pari dei colleghi stranieri in relazione al costo della vita, non credo che portino ad un miglioramento del sistema, ma semmai al consueto furto di risorse economiche che subiamo da oltre un decennio; decennio che, vorrei ricordare ci ha visto di fronte ad incrementi salariali ridicoli rispetto al costo della vita.
Formazione continua? Va bene. Volete professionisti qualificati? Ancora meglio. Ma la qualità, da che mondo è mondo, si paga.