Gli aiuti ufficiali allo sviluppo stanno morendo?

Maurizio Murru

Non si tratta di un processo di morte, più o meno lenta, ma di un inevitabile, profondo cambiamento. Nel 2008, gli Aiuti Ufficiali allo Sviluppo hanno raggiunto il loro massimo storico di 119,8 miliardi di dollari.


Il Center for Global Development, fondato nel novembre del 2001 e basato a Washington, è un istituto indipendente, non a scopo di lucro, dedito alla ricerca con l’ambizioso fine di “… ridurre la povertà e le ineguaglianze a livello globale e far sì che la globalizzazione possa giovare ai poveri” [1]. Produce e diffonde documenti su temi legati allo sviluppo. Uno di essi, pubblicato nel marzo scorso, analizza i più significativi cambiamenti intervenuti, negli ultimi anni, nel variegato e complesso mondo degli aiuti allo sviluppo[2]. La prima frase è di quelle ad effetto, che mirano a colpire il lettore: “Gli aiuti ufficiali allo sviluppo stanno morendo”. Le cose, però, non stanno esattamente così. Tanto è vero che, nel 2008, gli Aiuti Ufficiali allo Sviluppo (AUS) hanno raggiunto il loro massimo storico di 119,8 miliardi di dollari (contando solo i fondi provenienti dai 22 paesi membri del Development Assistance Committee (DAC)[3]. Il documento stesso chiarisce, poi, che, in realtà, non si tratta di un processo di morte, più o meno lenta, ma di un cambiamento profondo.

Il mondo degli AUS è attraversato da tre “rivoluzioni” riguardanti: 1) i suoi obiettivi, 2) i suoi attori e 3) i suoi strumenti. Nel corso della Guerra Fredda gli aiuti allo sviluppo pur non escludendo obiettivi più alti, come giustizia sociale, equità, solidarietà, rispondevano ad una logica prevalentemente geopolitica. Caduto il muro di Berlino, secondo gli autori, gli aiuti si sono incentrati maggiormente sugli individui e sulla qualità della loro vita piuttosto che sulla crescita e la stabilizzazione economica. Per la verità, già negli anni ’70 si era manifestata notevole attenzione alle “necessità di base” (basic needs) di individui e famiglie e la Banca Mondiale aveva parlato di “lotta alla povertà”. Negli anni ’80 il pendolo aveva nuovamente focalizzato l’attenzione su obiettivi macro-economici. Negli ultimi anni sono aumentati gli aiuti diretti ai settori sociali, sono diminuiti quelli destinati alle infrastrutture e all’agricoltura ed è cresciuta l’importanza dei contributi di privati e fondazioni. L’inizio del nuovo secolo, con l’intensificarsi del terrorismo internazionale, l’acuirsi del pericolo di pandemie, l’aumento della migrazione internazionale, il verificarsi di crisi alimentari e finanziarie di portata mondiale, ha generato una maggiore consapevolezza della interdipendenza globale. Queste nuove sfide non hanno sostituito quelle preesistenti della povertà, del sottosviluppo, delle ineguaglianze. Si sono aggiunte ad esse. A causa di queste complesse trasformazioni, gli aiuti allo sviluppo, nella prima delle tre rivoluzioni che li hanno cambiati e li stanno cambiando, si sono visti assegnare, più o meno esplicitamente, tre obiettivi principali, distinti ma strettamente legati:

  1. accelerare la crescita economica dei paesi poveri;
  2. promuovere lo sviluppo umano (riassunto negli Obiettivi di Sviluppo del Millennio);
  3. assicurare la salvaguardia di beni globali di interesse pubblico quali, pace, sicurezza, salute, ambiente.

La seconda rivoluzione è costituita dall’aumento vertiginoso degli attori coinvolti. Le statistiche ufficiali più spesso utilizzate (come quella sopra citata sull’ammontare degli aiuti nel 2008) continuano a considerare quasi esclusivamente i contributi dei 22 stati membri del DAC (l’organo che si occupa degli aiuti nell’ambito dell’OECD -Organization for Economic Cooperation and Development-). In realtà, negli ultimi 10 – 15 anni, l’importanza dei contributi finanziari di altri stati e di entità non statali è aumentata in modo considerevole. Secondo l’International Development Association (IDA, braccio della Banca Mondiale deputato all’erogazione di prestiti agevolati ai paesi con reddito inferiore ai 965 dollari annui pro capite) gli aiuti dei paesi non DAC ma appartenenti all’OECD ammontavano, nel 2005, a circa un miliardo di dollari e potrebbero raddoppiare entro il 2010. Gli aiuti forniti da paesi non appartenenti all’OECD, come Arabia Saudita, Brasile, Cina, Federazione Russa, India, ecc. sono stati pari a cinque miliardi di dollari nel 2005, circa il triplo della cifra erogata nel 2001[4]. Grandi ONG come Care, OXFAM, Save the Children, hanno bilanci annuali che variano fra i 700 e gli 800 milioni di dollari. Fondazioni come la Bill & Melinda Gates, Clinton, Soros, erogano miliardi di dollari ogni anno. Si stima che, nel 2005 i fondi destinati agli aiuti dai privati siano stati circa 14,7 miliardi di dollari, più del doppio della stessa cifra stimata nel 2001[4].

Non sono aumentati solo i finanziatori ma, anche, gli intermediari. I Fondi Speciali e le Organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di “sviluppo” sono una settantina; le cosiddette “Global Health Partnerships” come GAVI, GFATM, Stop TB, ecc. sono circa un centinaio[5]. Come giustamente fanno notare gli Autori, nuove istituzioni legate, in vario modo, allo “sviluppo”, nascono ogni anno. Ma sono ben rare quelle che muoiono. Infine, numerose multinazionali, dalle case farmaceutiche alle compagnie petrolifere, destinano, sempre più spesso, una parte dei loro fondi ad attività “filantropiche” con l’intento di migliorare la loro immagine pubblica (miglioramento necessario per mantenere e incrementare i loro affari).

Il numero degli attori è aumentato anche nei paesi riceventi, con l’importanza sempre maggiore assunta dai Governi Locali nell’ambito delle diffuse politiche di decentralizzazione. Questa proliferazione non ha portato solo aspetti negativi (come la frammentazione delle attività, il loro mancato coordinamento e il peso burocratico enorme per i paesi riceventi). Secondo gli Autori, essa ha anche portato ad innovazioni positive. In ogni caso, essi affermano, “il genio non rientrerà nella bottiglia”. La necvesaria ricerca di coerenza e politiche comuni potrà essere trovata solo attraverso quelle che essi chiamano, con un termine molto evocativo, “azioni ipercollettive” e non certo attraverso “imposizioni” da parte dei paesi più ricchi e potenti, da soli o in gruppo (per esempio nel G 8, o nel G 20).

La terza rivoluzione nel mondo degli aiuti, strettamente legata alla seconda (il proliferare degli attori) è costituita dal proliferare di nuovi sistemi di finanziamento. Si va dalla sovrattassa sui biglietti aerei a meccanismi assicurativi, da contributi estratti dai mercati finanziari, ad innovativi meccanismi di prestito (come i “prestiti contro-ciclici” la cui restituzione è condizionata dal permanere delle esportazioni dei paesi riceventi al di sopra di un determinato livello critico). Molti governi locali destinano agli aiuti di una parte delle tasse che percepiscono, come nel caso della “tassa Oudin-Santini” in Francia. Grazie ad essa, una parte delle tasse pagate dai cittadini francesi per acqua e igiene ambientale finanzia progetti idrici e di igiene ambientale in paesi poveri (circa otto milioni di Euro nel 2005). Simili iniziative, assieme alle esenzioni fiscali legate a donazioni destinate agli aiuti, rendono più tenue il confine fra solidarietà pubblica e privata.

Gli Autori continuano la loro analisi elencando tre “peccati fatali” del sistema degli aiuti che non misura i propri risultati ma le proprie spese (e, anche queste, in modo non soddisfaciente).

Il primo “peccato” è che si contabilizza troppo. Vale a dire, si comprendono sotto la voce “aiuti allo sviluppo” non solo gli “aiuti veri” che effettivamente contribuiscono allo “sviluppo” , ma, anche, gli “aiuti falsi”, vale a dire, spese che ben poco hanno a che fare con lo sviluppo stesso. Si va dalle spese amministrative nella gestione degli aiuti al condono di debiti che non sarebbero mai stati pagati, dai fondi spesi per rifugiati che vivono nei paesi donatori a quelli spesi per studenti di paesi poveri che, terminati gli studi, si stabiliscono nei paesi donatori. Nel 2006 Action Aid aveva fatto una distinzione simile, parlando di “aiuti reali” ed “aiuti fantasma” e affermando che, in base ad un suo studio, nel 2004, circa 37 miliardi di dollari, che costituivano il 47% dei fondi stanziati dai paesi DAC per gli aiuti allo sviluppo, erano “aiuti fantasma”[6].

Il secondo “peccato” è che si contabilizza troppo poco. Il punto, qui, è che, come già detto, le statistiche ufficiali considerano unicamente i fondi destinati agli aiuti dai 22 paesi appartenenti al DAC, trascurando tutte le fonti sopra citate e altre ancora (come, ad esempio, le esenzioni fiscali per attività legate allo sviluppo).

Il terzo peccato e che si misurano le cose sbagliate. Vale a dire, ci si concentra troppo sui fondi spesi e troppo poco sui risultati ottenuti.

Non è la prima volta che questi tre “peccati” vengono evidenziati. Gli Autori non hanno torto ad evidenziarli nuovamente ma, a loro volta, a nostro parere, commettono due “peccati”. Il primo è quello di non riconoscere la difficoltà di “misurare” ciò che, fino ad ora, è solamente “stimato”. Molti dei nuovi donatori, come i Paesi Arabi, la Cina, la Federazione Russa, non rivelano in modo trasparente quanto destinano agli aiuti e con quali modalità. I flussi finanziari privati seguono, spesso, canali informali che non si prestano a calcoli affidabili. Infine, non è sempre possibile, ed è sempre difficile, legare in modo inequivoco eventuali miglioramenti nello “sviluppo umano” a fondi destinati a promuoverlo. Questo non significa che non si debba tentare di farlo e di farlo bene. Significa che occorre riconopscere e consapevolmente accettare alti livelli di approssimazione.

E qui veniamo al secondo peccato degli Autori, che accennano in modo molto affrettato, in una nota a piè di pagina, ad uno sforzo significativo fatto, negli ultimi anni, per quantificare concetti difficilmente quantificabili. Si tratta dell’Indice di Impegno per lo Sviluppo (Commitment to Development Index, CDI)  elaborato dal Centre for Global Development. Il CDI analizza la “coerenza politica”, legata allo sviluppo, di 22 paesi ricchi. Ciò è fatto analizzando le loro politiche e i loro comportamenti in sette aree diverse. Gli aiuti allo sviluppo, valutati per quantità e per qualità, sono solo una delle sette aree studiate. Le altre sei, ad essi legate direttamente e indirettamente, sono: commercio internazionale, investimenti, immigrazione, salvaguardia ambientale, sicurezza globale, ricerca e diffusione di nuove tecnologie. L’edizione del 2009 del CDI studia 21 dei 22 paesi appartenenti al DAC più la Corea del Sud. L’Italia figura al quartultimo posto, seguita da Svizzera, Giappone e Corea del Sud[7].

Il documento suggerisce di abbandonare la dizione “Aiuti Ufficiali allo Sviluppo” (ODA, nell’acronimo inglese, da Official Development Assistance) per adottare quella, che ritengono più appropriata e calzante, di “Global Policy Finance” (GPF). Secondo questa accezione, gli AUS sono un modo di finanziare “politiche internazionali di pubblico interesse”. Queste ultime sono definite come “azioni di portata internazionale con obiettivi di pubblico interesse largamente condivisi”. Inoltre, inevitabilmente, esortano a correggere i peccati “fatali” sopra elencati e suggeriscono di farlo, coinvolgendo governi ed istituzioni pubbliche e private, incluso il sistema delle Nazioni Unite e le Istituzioni di Bretton Woods, tramite la negoziazione, unico strumento disponibile per una “azione ipercollettiva”.

Gli Autori chiudono con un post-scriptum nel quale chiariscono che cosa “non” hanno inteso scrivere e provano a fugare possibili malintesi dovuti al loro linguaggio “affrettato e goffo”. Questa manifestazione di modestia conferma, se ce ne fosse bisogno, la difficoltà di trattare temi tanto complessi. Indipendentemente dai possibili malintesi, il documento presenta un’analisi utile, stimolante ed interessante anche se, forse, meno originale di quanto gli Autori non sembrino pensare. Ci pare che scivoli nell’utopia quando prospetta la possibilità di una coordinata “azione ipercollettiva”. Temiamo che l’universo degli aiuti allo sviluppo continuerà a somigliare più al disordinato movimento browniano di tante molecole separate che ad un sistema propriamente detto.

Bibliografia

  1. Center for Global Development, About CGD. Consultato il 4 dicembre 2009.
  2. Center for Global Development. The end of ODA: death and rebirth of a global public policy. Severino JM, Ray O, Washington, 2009. 
  3. Organization for Economic Cooperation and Development, Development aid at its highest level ever in 2008. Consultato il 4 dicembre 2009. 
  4. International Development Association, Aid architecture, an overview of the main trends in official development assistance flows. Washington, 2007.
  5. Caines K. Key evidence from major studies of selected global health partnerships. Studio preparato per l’ High-Level Forum on the Health MDGs, Gruppo di Lavoro sulle Global Health Initiatives and Partnerships. DFID Health Resource Centre: Londra, 2005.
  6. Action Aid International. Real Aid, making technical assistance work, 2006.
  7. Center for Global Development. Commitment to Development Index 2009. Consultato il 4 dicembre 2009.

Un commento

  1. Brevemente essendo africano, essendo al corrente sulla situazione dell’Africa, posso dire ai giovani ed alla nuova generazione: se si vuole sinceremente aiutare quel Mondo sottosviluppato (preferisco non usare Mondo in Via di Sviluppo, perche sviluppo non lo vedo oppure forse si fa un passo avanti e poi due-tre passi indietro) ripeto se si vuol sinceramente aiutare, e allora seguente e’ come si pio'(:
    1. Prima, che ci sia costruita/raggiunta una stabilita Politica e di Sicurezza, perche’ stabilita di questi due fattori son molto importanti per attrarre/incorraggiare/facilitare Capitali per Investimenti vari;
    2. Poi spingere per investiments privati ed aiutare per realizzare Proggetti Utili d’Emergenza in primo momento(in Agricoltura, Educazione, Sanita’ e Commercio…) e poi continuare mandando avanti tali Proggetti utili, finche i Governi Africani diventino capaci di portar avanti da soli, ed ancora seguendoli da distanza e prevenendo la distruzione del costruito utile;
    *Con l’Investments e Proggetti utili per un vero e sincero Sviluppo, si creano posti di lavoro che miglioreranno l’Economia delle Famiglie Africane ed e’ con l’Economia che si sviluppa un Paese(tutti stati del mondo si preoccupano per la disoccupazione, cercando di ridurre al massimo il tasso della disoccupazione Nazionale ed e’ cosi’ che si va avanti);
    **Pero’ come si realizzano quei due fattori importanti (Stabilita Politica e della Sicurezza) ?
    Questi due Fattori, si possono realizzare tramite una forte Organizzazione delle Nazioni Unite e sinceramente operante e cosi’ anche tramite Stati Membri dell’ONU molto avanzati nello Sviluppo, intervenendo per: A.Far rispettare le Leggi Nationali Accettabili che rispettano la Giustizia e del Diritto dell’Uomo e del Cittadino; B.Combattendo l’Ingiustizia e Corruzioni in Africa “Solvendo cosi’ ed anche Prevenendo Violenze e Guerre intra ed inter Statali in Africa”;
    ***Si puo’ realizzare lo Sviluppo in Africa ?
    ****Si’, si puo’ e basta organizzarsi propriamente e facendo funzionare propriamente anche le Ambasciate e Rappresentanti dell’ONU (Attenti alle ONG-Parassiti contro lo sviluppo desiderato, in Africa c’ha i suoi intelletuali sparsi in Europa e in Nord America, bisogna encoraggiarli utilizzandoli e che stabiliscano loro Organizzazioni Non Governative e che sia tramite loro ONG per realizzare alcuni Proggetti per lo Sviluppo).
    Cominciamo con la cooperazione con l’Unione Africana (sperando che ci sia comunicazione e comprenzione tra questo con ONU e Stati avanzati nello sviluppo).

    Speriamo nella nuova generazione e nei giovani Dirigenti Politici per un cambiamento positivo e per un vero in Via Sviluppo dell’Africa.

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