La Primary Health Care funziona

Enrico Tagliaferri

I programmi basati sull’approccio Primary Health Care hanno portato un miglioramento dello stato di salute della popolazione ed un rafforzamento dei sistemi sanitari nei paesi a medio e basso reddito.


Sono passati più di 30 anni dalla dichiarazione di Alma Ata, del 1978, cioè dalla definizione della Primary Health Care (PHC); una politica ed una strategia articolata pensata per migliorare lo stato di salute di tutta la popolazione, particolarmente rivolta ai più poveri, basata su pochi, semplici principi: facile accesso ai servizi, partecipazione delle comunità alle decisioni riguardanti la propria salute e alle attività sanitarie, enfasi su prevenzione e promozione della salute, tecnologie appropriate, integrazione dei servizi sanitari con altri settori, ad esempio la scuola, i trasporti, i lavori pubblici e sostenibilità degli interventi nel medio e lungo termine.

Sul piano operativo le principali attività della PHC riguardano la salute materno infantile, compresa la pianificazione familiare, le vaccinazioni contro le più importanti malattie infettive, la diagnosi ed il trattamento delle malattie e delle condizioni più comuni, i servizi d’urgenza per la chirurgia, la traumatologia, l’ostetricia e la stomatologia, il regolare rifornimento di una lista approvata di farmaci essenziali, il rifornimento d’acqua pulita ed in quantità adeguata, l’eliminazione degli escreti e dei rifiuti, il supporto e la supervisione da parte di un centro di riferimento a livello superiore, l’educazione sanitaria e la promozione della salute. I programmi ispirati alla PHC, comunque, tendono a rafforzare il sistema sanitario nel suo complesso, in termini di personale, formazione, infrastrutture, sistema informativo, logistica, mirando quindi a risultati duraturi.

Considerato come utopico e poco pragmatico, tale approccio è stato da subito rivisto, deformato, avversato per motivi ideologici e di mero interesse. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno imposto ai paesi poveri riforme dei servizi sanitari e degli altri servizi pubblici in senso neoliberista, forzando l’introduzione di forme di pagamento da parte degli utenti, con conseguente diminuzione dell’utilizzo e deterioramento di tali servizi.  Alla ricerca di risultati tangibili in tempi brevi, seppure effimeri, i maggiori programmi di cooperazione si sono focalizzati su alcune patologie o aspetti ancora più ristretti, senza mirare a rafforzare il sistema nel suo complesso e andando persino a indebolirlo in alcuni casi.

I programmi ispirati all’approccio PHC, invece, hanno ottenuto risultati incoraggianti.

I paesi a medio e basso reddito che hanno strutturato i loro sistemi sanitari sulla PHC sono riusciti ad aumentare l’accesso a servizi preventivi e curativi, in alcuni casi fino alla copertura universale ed in tempi relativamente brevi, come nel caso di Cuba[1], Sri Lanka[2], Kerala[3] e Iran[4]. Molti Paesi dell’America Latina, tra cui Messico[5], Brasile[6] e Costa Rica[7], hanno introdotto riforme del sistema sanitario nel senso della PHC negli ultimi anni con ottimi risultati in termini di copertura dei servizi. Paesi appena usciti da situazioni di conflitto, come Rwanda e Afghanistan, hanno introdotto pacchetti di servizi improntati alla PHC e i risultati preliminari indicano un rapido incremento dell’tilizzazione dei servizi relativi alla salute materno-infantile[8]. La formazione e l段mpiego su larga scala di figure professionali cliniche, non medici, formate secondo l’approccio PHC per trattare i problemi di salute più comuni ha permesso di aumentare enormemente l’accesso alla maggior parte dei servizi sanitari nell’Africa rurale[9]. L’integrazione dei servizi di salute infantile, gestione delle malattie croniche, diagnosi e trattamento dell’HIV a livello di PHC ha portato risultati in termini di accesso,  anche nelle aree rurali e periferiche dei paesi più poveri[10]. Alcuni programmi prevedono anche l’integrazione della salute orale e della salute mentale nella PHC e sarà interessante valutarne i risultati[11].

Per facilitare l’accesso ai servizi sanitari e coinvolgere le comunità, molti programmi prevedono la partecipazione di membri delle comunità, opportunamente selezionati e formati. Indicati più comunemente come village health workers o community health workers, sono stati impiegati: nelle campagne vaccinali; nel trattamento domiciliare della malaria, della polmonite e della diarrea nei bambini; nel trattamento di massa di schistosomiasi, oncocercosi, filariasi; nella riabilitazione e nel parto. I risultati sono stati disomogenei nei vari programmi; probabilmente perché questa strategia può essere molto utile in alcuni settori e in alcuni contesti. Per una trattazione più approfondita di questo argomento si rimanda alla lettura del post Village health workers: il ruolo delle comunità locali nei programmi sanitari dei paesi poveri.

I Paesi che hanno riformato il loro sistema sanitario sul modello PHC hanno ottenuto un miglioramento dello stato di salute della popolazione, evidenziabile, ad esempio, come riduzione della mortalità infantile e neonatale[12]. Paradigmatico è il caso della Tanzania, dove in appena 5 anni il tasso di mortalità infantile è passato da 141,5/1.000 a 83,2/1.000. Questo risultato può essere attribuito ad una serie di interventi inquadrabili nella politica PHC: la spesa sanitaria pubblica è stata raddoppiata, la responsabilità dell’allocazione dei fondi è stata decentralizzata e i finanziamenti per la sanità dalle diverse fonti sono confluiti nel sistema sanitario nazionale (Sector Wide Approach); inoltre, è aumentata la copertura di interventi ormai considerati chiave per la salute dei bambini, come  le zanzariere impregnate di insetticida, la distribuzione di vitamina A, l’allattamento esclusivo al seno, le vaccinazioni e la strategia Integrated Management of Childhood Illness (IMCI), basata su semplici protocolli diagnostici e terapeutici che permettono la gestione dei casi clinici più comuni anche da parte di personale poco qualificato[13].

Primary Health Care non significa assistenza di bassa qualità, ma adozione di standard di qualità nell’assistenza. Sul piano clinico, ad esempio, personale sanitario formato sui protocolli IMCI ha dimostrato di fornire assistenza di qualità a prescindere dal livello di qualifica professionale[14].

I programmi PHC vanno generalmente a rafforzare il sistema sanitario nel suo complesso. La ristrutturazione dei sistemi sanitari dell’America Latina nel senso della PHC è stata possibile grazie ad un miglioramento delle capacità gestionali e organizzative a livello centrale e distrettuale[15]. L’introduzione della strategia IMCI ha portato un miglioramento della qualità generale dei servizi dedicati alla salute infantile[16]. Ad Haiti, l’introduzione di servizi di diagnosi e cura dell段nfezione da HIV in centri di PHC ha avuto un effetto positivo anche su altri servizi[17]. L’introduzione di un pacchetto di servizi di PHC in Afghanistan si è accompagnata alla creazione di un primo sistema di raccolta dati che potrà essere ampliato in futuro[18].

La politica della PHC è una politica di equità. In Brasile e in Messico le riforme hanno ridotto la differenza tra poveri e ricchi nell’accesso ai servizi sanitari, beneficiando soprattutto le fasce più povere della popolazione[19, 20].  In Tailandia il rafforzamento dell’assistenza sanitaria di base nelle aree rurali ha indotto una diminuzione della mortalità infantile soprattutto nelle fasce più povere, dimezzando in dieci anni la differenza in mortalità infantile tra poveri e ricchi[21]. A proposito dell’equità, va sottolineato che i servizi sanitari di base devono rispettare minimi standard di qualità altrimenti viene incoraggiato il ricorso a servizi privati for profit con conseguente svantaggio delle fasce di popolazione più povera[22]. Va da sè che i servizi sono tanto più accessibili ai poveri quanto minore è la quota della spesa sostenuta direttamente dai malati (vedi anche post User fees. Prendere i soldi dalla povera gente quando è ammalata non è una buona idea).

La commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Macroeconomics and Health ha calcolato in 35-40 dollari la spesa per un  pacchetto di servizi sanitari considerati essenziali[23]. Tale spesa può ancora essere rilevante per Paesi a basso reddito, ma interventi di tipo PHC hanno un buon rapporto costo-beneficio, ad esempio, quando personale sanitario non medico viene impiegato per svolgere attività clinica di base[24].

In sintesi, i programmi basati sulla PHC hanno aumentato l’accesso ai servizi sanitari e si sono dimostrati efficaci nel migliorare alcuni tra i più importanti indicatori di salute, soprattutto, nelle fasce di popolazione più povere hanno indotto un rafforzamento dei sistemi sanitari nel loro complesso e a costi relativamente contenuti.

Come sostenuto recentemente dal Direttore generale dell’OMS, Margareth Chan, la storia insegna che i programmi per lo sviluppo, per quanto ricchi possano essere, non migliorano durevolmente lo stato di salute della popolazione se non  vanno a rafforzare il sistema sanitario nel suo complesso, in termini di infrastrutture di base, servizi e  personale[25]. Ciò sarà probabilmente ancora più vero nel prossimo futuro, visto che in molti paesi poveri si sta assistendo ad un impatto sempre maggiore delle malattie croniche non trasmissibili, con conseguente maggior impegno del sistema sanitario[26].

Nel 2008, nel suo rapporto finale, la commissione dell’OMS sui determinanti sociali di salute, ha ricordato che le differenze nello stato di salute non sono frutto del destino, ma di scelte politiche sbagliate, ed ha indicato la Primary Health Care come  modello per affrontare le cause sociali, economiche e politiche delle malattie[27].

L’OMS ha recentemente ribadito che l’approccio della PHC è la strategia più efficace per affrontare i problemi della salute globale[28].

Risorse

  1. United Nations. Declaration of Alma-Ata. Alma-Ata, USSR: International Conference on Primary Health Care, 1978. [PDF: 11 Kb]

Bibliografia

  1. Kruk ME et al. The contribution of primary care to health and health systems in low- and middle-income countries: A critical review of major primary care initiatives. Social Science & Medicine 2010; 70: 904–911.
  2. Withanachchi N & Uchida Y.  Healthcare rationing: a guide to policy directions in Sri Lanka. Health Policy 2006; 78(1): 17–25.
  3. Kruk ME et al. The contribution of primary care to health and health systems in low- and middle-income countries: A critical review of major primary care initiatives. Social Science & Medicine 2010; 70: 904–911.
  4. Nasseri K, Sadrizadeh B, Malek-Afzali H, et al.  Primary health care and immunisation in Iran. Public Health 1991; 105(3): 229–238.
  5. Gakidou E, Lozano R, Gonzalez-Pier E,  et al. Assessing the effect of the 2001–2006 Mexican health reform: an interim report card. Lancet 2006, 368(9550): 1920–1935.
  6. Ministry of Health of Brazil Department of Primary Care. Atencao basica e a saude da familia [Primary care and family health], 2007.
  7. Rosero-Bixby  L. Spatial access to health care in Costa Rica and its equity: a GIS-based study. Social Science & Medicine 2004; 58(7): 1271–1284.
  8. Johns Hopkins University, & Indian Institute of Health Management Research.  2006 Afghanistan Household Survey.
  9. Mullan F, Frehywot S. Non-physician clinicians in 47 sub-Saharan African countries. Lancet 2007; 13: 13.
  10. Kruk ME et al. The contribution of primary care to health and health systems in low- and middle-income countries: A critical review of major primary care initiatives. Social Science & Medicine 2010; 70: 904–911.
  11. WHO/Wonca. Integrating mental health into primary care. A global perspective. Singapore: WHO and WONCA, 2008. [PDF: 4 Mb]
  12. Macinko J, Starfield B, Erinosho T. The impact of primary healthcare on population health in low – and middle-income countries. Journal of Ambulatory Care Management 2009; 32(2): 150–171.
  13. Masanja h, de Savigny D,  Smithson P, et al. Child survival gains in Tanzania: analysis of data from demographic and health surveys. Lancet 2008; 371: 1276–83.
  14. Huicho L,  Scherpbier RW, Nkowane AM, Victora CG, and the Multi-Country Evaluation of IMCI Study Group*. How much does quality of child care vary between health workers with diff ering durations of training? An observational multicountry study. Lancet 2008; 372: 910–16.
  15. Frenk J, Gonzalez-Pier E, Gomez-Dantes O, Lezana MA, Knaul FM. Comprehensive reform to improve health system performance in Mexico. Lancet 2006; 368: 1524–1534.
  16. Bryce J, Gouws E, AdamT, et al. Improving quality and efficiency of facility-based child health care through integrated management of childhood illness in Tanzania. Health Policy Plan 2005; 20(Suppl. 1): i69–i76.
  17. Farmer P, Leandre F, Mukherjee J S, et al. Community-based approaches to HIV treatment in resource-poor settings. Lancet 2001; 358(9279): 404–409.
  18. Peters DH, Noor AA, Singh LP, et al. A balanced scorecard for health services in Afghanistan. Bulletin World Health Organisation 2007; 85(2): 146–151.
  19. Rosero-Bixby L. Spatial access to health care in Costa Rica and its equity: a GIS-based study. Social Science & Medicine 2004; 58(7): 1271–1284.
  20. Gakidou E, Lozano R, Gonzalez-Pier E, et al. Assessing the effect of the 2001–2006 Mexican health reform: an interim report card. Lancet 2006; 368(9550): 1920–1935.
  21. Vapattanawong P, Hogan MC, Hanvoravongchai P,  et al. Reductions in child mortality levels and inequalities in Thailand: analysis of two censuses. The Lancet 2007; 369(9564): 850–855.
  22. Nair VM.  Health in South Asia: future of Kerala depends on its willingness to learn from past. British Medical Journal 2004; 328(7454): 1497.
  23. WHO. Macroeconomics and health: Investing in health for economic development. Report of the commission on macroeconomics and health. Geneva: World Health Organization, 2001. [PDF: 546 Kb]
  24. Dovlo D.Using mid-level cadres as substitutes for internationally mobile health professionals in Africa. A desk review. Human Resource for Health 2004; 2(1): 7.
  25. Margareth Chan. Return to Alma Ata. The Lancet 2008; 372
  26. Tollman SM, Kahn K, Sartorius B, Collinson MA, Clark SJ, Garenne ML. Implications of mortality transition for primary health care in rural South Africa: a population-based surveillance study. Lancet 2008; 372: 893–901.
  27. CSFH (2008). Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. Commission on Social Determinants of Change, final report. Geneva: World Health Organization, 2008.
  28. The World Health Report 2008 – primary Health Care (Now More Than Ever). Geneva: World Health Organization, 2008.

Un commento

  1. Condivido,viva la PHC.
    Resto scettico sulla sostenibilita’ dei VHW. In Tanzania, dove ho lavorato per 22 anni, i VHW non sono sostenuti dalle comunita’, intendo in modo convinto,strutturato,continuo. Le comunita’ riconoscono i local healer come i loro erogatori di salute, e li pagano per questo. Ma non i VHW, che sono voluti (e sostenuti) dalle ONG o entita’ missionarie.
    Credo invece che sia tempo e ragione di occuparsi di altre figure che vivono e lavorano NELLA comunita’,ossia tutto il personale medico e paramedico dei dispensari, centri di salute, ospedali periferici-rurali. Sono trascurati, demotivati, ‘in fuga’ : l’ultimo WHO Bulletin si occupa di loro…finalmente.
    Il loro ruolo non e’ confinato alla precrizione di farmaci: hanno ben altre mansioni,che comportano l’interazione costante con la comunita’ di appartenenza(partecipazione ai comitati di salute di villaggio, promozione di campagne di sensibilizzazione, presentazione dei dati epidemiologici alle autorita’ di villaggio,attivita’ di outreach,controllo delle epidemie ecc).Non e’anche questa PHC?
    Massimo Serventi

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