Millennium Villages Project

Enrico Tagliaferri

Il Millennium Villages Project è un interessante esperimento di cooperazione per lo sviluppo, ma non mira ad un rafforzamento strutturale nel lungo termine dei sistemi dei paesi e difficilmente sarà un modello da imitare, soprattutto nel campo della sanità.


Il Millennium Villages Project è sicuramente una delle iniziative più importanti, dal punto di vista concettuale e finanziario, per la cooperazione per lo sviluppo in Africa.

Il progetto, commissionato dal segretario generale delle Nazioni Unite nel 2002, è guidato dall’Earth Institute della Columbia University, dall’United Nations Development Programme e dalla Millennium Promise, un’organizzazione non profit dedicata al raggiungimento dei Millennium Development Goals, gli obiettivi di sviluppo fissati nel 2000 dalle Nazioni Unite[1]. La programmazione e l’attuazione delle attività coinvolge le comunità locali, le istituzioni distrettuali e nazionali, le organizzazioni non governative.

Il progetto si svolge in 14 diverse aree comprendenti da uno a 11 villaggi e da 5.000 a 55.000 persone, situate in Etiopia, Ghana, Kenya, Malawi, Mali, Nigeria, Rwanda, Senegal, Tanzania e Uganda. I villaggi sono stati selezionati in modo da comprendere diverse condizioni ambientali e quindi diversi contesti da considerare nella pianificazione, ma tutti hanno alcune caratteristiche comuni: si tratta di comunità molto povere, in paesi relativamente pacifici e con un governo affidabile, disponibili a lavorare con istituzioni internazionali e organizzazioni non governative.

Il progetto è partito nel 2005 e prevede due fasi di 5 anni.

I primi cinque anni di progetto prevedono sommariamente le seguenti attività:

  • nel primo anno, distribuzione di fertilizzanti e semi ad alto rendimento a prezzi ridotti, formazione dei contadini sulle tecniche agricole, distribuzione di zanzariere impregnate di insetticida (long lasting insecticide treated nets) e formazione sul loro utilizzo, ristrutturazione e costruzione di scuole, centri sanitari e fonti di acqua potabile.
  • Nel secondo anno, diversificazione delle colture e interventi per agevolare la commercializzazione dei prodotti agricoli, programmi nutrizionali per gli studenti grazie al surplus agricolo, programmi di controllo di HIV, tubercolosi, malaria e altre malattie tropicali.
  • Dal terzo al quinto anno, microcredito per gli agricoltori e altri programmi per la promozione di imprese economiche, aumento della copertura della rete elettrica e programmi basati sulle energie rinnovabili, costruzione e manutenzione delle strade, della rete idrica e di sistemi per l’irrigazione, estensione della copertura di internet e telefonia mobile.

Nei primi cinque anni è previsto il grosso degli investimenti: ogni Millennium Village dovrebbe ricevere circa 300.000 US$ all’anno, quello che sul sito ufficiale del progetto è definito “modest investment”. Tale cifra, circa 70 US$ per persona all’anno, corrisponde allo 0,7% del prodotto interno lordo che i Paesi ricchi si sono impegnati a versare in aiuto per lo sviluppo – impegno disatteso da molti paesi, prima di tutti l’Italia. Nella seconda fase sono previsti investimenti pari a circa 10-20 US$ per persona all’anno. L’ipotesi è che la prima fase dovrebbe mettere in moto un circolo virtuoso di sviluppo che avrebbe poi bisogno di un aiuto sempre minore dall’esterno. Circa la metà dei finanziamenti proviene dall’organizzazione Millennium Promise e il restante da altre organizzazioni, dal governo locale e nazionale e, in minima parte, dalla comunità stessa. Il settore della sanità dovrebbe beneficiare del 35% dei finanziamenti, le infrastrutture del 22%, la scuola e l’agricoltura del 15%, quindi, gli altri settori a seguire.

Il rapporto del 2008 permette un primo bilancio e riporta, per il settore sanità, la costruzione di 20 nuovi centri sanitari, l’incremento del 25% del personale sanitario e 300.000 accessi ambulatoriali in più rispetto al 2007. Il progetto ha migliorato l’assistenza per le emergenze ostetriche e fornito mezzi di trasporto per il riferimento di casi complicati. La diagnosi e la terapia della tubercolosi e dell’HIV sono state rese più accessibili con un miglioramento significativo degli indicatori. Sono stati coinvolti anche i village health workers, volontari delle comunità opportunamente formati per svolgere varie attività sanitarie nella comunità: educazione sanitaria, primo soccorso, distribuzione di profilattici, di sali per la reidratazione orale, di farmaci antimalarici (vedi post Village health workers: il ruolo delle comunità locali nei programmi sanitari dei paesi poveri)[2]. Il progetto prevede anche interventi in altri settori, come quelli tesi a migliorare la disponibilità di acqua potabile e latrine, che possono avere una ricaduta positiva sulla salute.

Il Millennium Villages Project si propone dichiaratamente come un modello da replicare. A prescindere dal giudizio che alla fine si potrà dare al progetto, comunque si deve tener presente che l’applicazione su larga scala non garantisce gli stessi risultati. Per dimostrare la validità di questo esperimento è stato fatto un grande sforzo intellettuale, organizzativo, finanziario, che non è detto possa essere replicato ed esteso.

Mi pare condivisibile l’approccio basato su piccoli interventi a livello di villaggio, che hanno, almeno nell’immediato, una sicura ricaduta sulle comunità. Non è detto però che in alcuni casi l’intervento più utile non sia un ospedale piuttosto che una diga o un aeroporto. Probabilmente non esiste un unico modello per tutti i contesti.

Il progetto è teoricamente basato su un approccio dal basso verso l’alto, in cui le comunità locali guidano il processo di pianificazione, ma vista la componente tecnologica degli interventi e la complessità del progetto, è difficile crederlo.

Il progetto ha un suo sistema di raccolta dati e monitoraggio che dovrebbe anche permettere alle comunità di scambiarsi informazioni sui problemi incontrati e le soluzioni adottate[3]. Al di là del fatto che un tale sistema sia applicabile e sia utile, introdurre un ulteriore sistema informativo, almeno nel settore della sanità, dove ne esiste già uno, spesso bisognoso di essere rafforzato, è già di per sé criticabile.

In alcuni punti il progetto sembra seguire abbastanza fedelmente i principi della Primary Health Care, l’approccio indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[4] per la salute globale (vedi post La Primary Health Care funziona): l’accessibilità ai servizi, il coinvolgimento delle comunità locali, l’integrazione multisettoriale.
Per quanto riguarda l’impiego di tecnologie appropriate, il progetto è forse un poco più audace, ma questo è dichiaratamente uno dei punti qualificanti. In alcuni casi, come ad esempio per le zanzariere impregnate di insetticida, si tratta di un intervento dall’efficacia ormai largamente dimostrata.
L’uso di fertilizzanti sintetici e semi geneticamente modificati viene da alcuni criticato perché porterebbe ad un abbandono di tecniche considerate più ecosostenibili, ad una diminuzione della biodiversità, ad effetti sconosciuti sulla salute umana e alla dipendenza da prodotti delle multinazionali[5].
Riguardo alla sostenibilità, l’assunto è che il progetto riesca a dare alle comunità la spinta per uscire dalla cosiddetta “trappola della povertà” e che queste siano poi in grado di continuare da sole sulla strada dello sviluppo.
Che questo possa essere fatto in soli dieci anni sembra difficile. Inoltre, una progressiva diminuzione della dipendenza dagli aiuti esterni può essere una previsione realistica solo per alcuni settori: ad esempio si può fare una strada e successivamente limitarsi alla manutenzione e si possono avviare imprese economiche che poi stiano in piedi da sole. Per la sanità è diverso: non si potranno chiudere i dispensari, né ridurre il personale, né eliminare alcuni servizi sanitari. Si può ipotizzare che alcuni interventi di prevenzione riducano nel tempo il bisogno di alcuni interventi curativi, ma in generale si deve prevedere, anzi auspicare un incremento dell’utilizzazione dei servizi sanitari, con un aumento delle spese. E i servizi sanitari, a differenza delle attività commerciali, non possono autosostenersi.

Probabilmente la critica principale che si può muovere al progetto è che si fonda su una visione troppo semplicistica e ottimistica, si propone come scorciatoia, non mira ad un rafforzamento strutturale nel lungo termine dei sistemi dei paesi, l’approccio più adatto per indurre risultati duraturi.

Il Millennium Villages Project fornisce un contributo molto interessante al dibattito sui modelli di sviluppo, ma che sia un modello da imitare è tutto da dimostrare.

Risorse

Millennium Villages

Bibliografia

  1. 55/2. United Nations Millennium Declaration. 2000
  2. The Millennium Village Project. Annual Report. 2010
  3. Kanter AS et al. Millennium Global Village-Net: bringing together Millennium Villages throughout sub-Saharan Africa. Int J Med Inform 2009; 78(12):802-7. Epub 2009 Sep 18.
  4. The World Health Report 2008. Primary Health Care (Now More Than Ever). Geneva: World Health Organization, 2008.
  5. Joel K. Bourne Jr. The Global Food Crisis. The End of Plenty. National Geographic. June 2009.

Un commento

  1. La complessità delle azioni intraprese può rendere il progetto difficile da portar avanti a lungo termine.
    La mia esperienza all’interno dei Village Project è stata diversi anni indietro in Sudan. Ci trovavamo a 300 km a sud della capitale. C’erano diversi aree di intervento, agricola, medica, ingegneristica, veterinaria ed odontoiatrica. Gli attori principale eravamo noi studenti internazionali e gli studenti universitari del posto. Si attuava tutto attraverso la collaborazione tra noi studenti, ciò che fu più importante fu la mediazione culturale degli studenti locali.
    Siamo così riusciti a comunicare e scambiarci insegnamenti, sicuramente il goal più importante anche a lungo termine di tale esperienza.

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