L’Agenzia Europea del Farmaco: solo una questione di trasparenza?

Alice Fabbri e Chiara Bodini

I finanziamenti che l’ente europeo riceve dall’industria del farmaco raggiungono oltre il 70% delle entrate complessive, una chiara dimostrazione di come il “controllato” di fatto paghi il suo “controllore”.


L’Agenzia Europea del Farmaco (EMA, precedentemente chiamata EMEA) è un’agenzia dell’Unione Europea il cui scopo è quello di proteggere e promuovere la salute pubblica attraverso la valutazione e la supervisione dei farmaci che vengono immessi in commercio. L’Agenzia, fondata nel 1995, si trova attualmente al centro di un vivace dibattito per quanto riguarda le politiche sulla trasparenza.

Il 10 maggio 2010 è stata infatti pubblicata una bozza di raccomandazione, elaborata dall’Ombudsman(a) europeo Nikiforos Diamandouros, in cui si chiede all’EMA di riconsiderare il rifiuto di concedere l’accesso a documenti sulle sospette reazioni avverse gravi ai farmaci[1]. L’intervento dell’Ombudsman è stato richiesto da un cittadino irlandese, Liam Grant, a cui l’EMA ha negato l’accesso a informazioni sugli effetti collaterali dell’isotretinoina, farmaco utilizzato per il trattamento dell’acne, che suo figlio stava assumendo quando si suicidò nel 1997.

Oltre alla gestione dei report sulle reazioni avverse, anche le decisioni dell’EMA sull’approvazione dei farmaci per il mercato europeo sono attualmente oggetto di discussione. In una lettera pubblicata recentemente su Lancet, Paul Ridker e Robert Glynn sollevano infatti dubbi sulla decisione con cui è stata approvata la rosuvastatina per la prevenzione di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti ad alto rischio di un primo evento cardiovascolare. La decisione dell’EMA è stata presa sulla base dello studio JUPITER, trial finanziato da Astra Zeneca, ma Ridker e Glynn notano giustamente come l’approvazione si sia basata non sull’end point primario del trial, bensì sull’analisi post hoc di un sottogruppo di pazienti(b)[2].

Questi recenti avvenimenti hanno sollevato interrogativi problematici sulla trasparenza dei processi decisionali all’interno dell’Agenzia.

Per quanto riguarda l’accesso alle informazioni sui farmaci, è necessario innanzitutto chiarire che l’immissione di un nuovo farmaco sul mercato è accompagnata dalla pubblicazione da parte dell’EMA di quattro documenti:

  1. Il comunicato stampa contenente informazioni di carattere generale sul farmaco
  2. Il riassunto delle caratteristiche del prodotto, rivolto ai medici
  3. Il foglietto illustrativo, rivolto ai pazienti
  4. La relazione pubblica di valutazione europea (EPAR), che descrive il modo in cui il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) ha valutato gli studi scientifici effettuati e ha formulato le raccomandazioni su come utilizzare il farmaco.

Silvio Garattini e Vittorio Bertelè, in un articolo recentemente pubblicato sul BMJ, sottolineano come tutti questi documenti, con l’eccezione del comunicato stampa, vengano scritti in stretta collaborazione con l’industria produttrice, e omettano informazioni utili per capire come è stata raggiunta la decisione finale (quali sono state le questioni più critiche che il Comitato ha esaminato e discusso durante la valutazione? Il farmaco è stato approvato all’unanimità o per maggioranza, e in quest’ultimo caso quali erano le ragioni della minoranza che si opponeva?)[3].

Le preoccupazioni di Garattini e Bertelè non sono una voce isolata: il 24 settembre 2009 l’organizzazione Health Action International Europe (HAI), la Società Internazionale dei Bollettini Indipendenti d’Informazione sui Farmaci (ISDB) e il Forum Europeo per la Medicina (MiEF) hanno pubblicato un comunicato congiunto in cui sostengono come la politica dell’Agenzia Europea, nonostante l’adozione di nuovi regolamenti sulla trasparenza, sia ancora fortemente “opaca”, soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità dei dati sulla farmacovigilanza[4].

Molto diversa appare invece la situazione della “cugina” oltreoceano dell’EMA, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che nel passato è stata anch’essa al centro di numerose polemiche, in particolare per l’immissione in commercio di farmaci (come il rofecoxib) poi ritirati dal mercato in quanto responsabili di gravissimi effetti collaterali. Dal 2009 l’FDA ha lanciato un’importante iniziativa sulla trasparenza, istituendo innanzitutto la “Transparency Task Force”, con l’obiettivo di sviluppare raccomandazioni su come rendere accessibili al pubblico informazioni sulle proprie attività e sui processi decisionali. Come parte di questa iniziativa, la Task Force ha organizzato nel 2009 due conferenze pubbliche e ha creato una risorsa web dedicata, chiamata “FDA Basics”, con l’obiettivo di fornire informazioni sulle modalità di approvazione dei farmaci e sulla denuncia delle reazioni avverse. Infine, nel maggio 2010 è stata lanciata una consultazione pubblica (che si concluderà il 20 Luglio prossimo) in merito a un documento(c) contenente interessanti proposte su come rivelare al pubblico le informazioni di cui l’FDA è in possesso in maniera adeguata e in un formato di facile utilizzo, bilanciando importanti e spesso contrastanti considerazioni su trasparenza e riservatezza[5].

Tabella 1. Confronto tra il sistema regolatorio europeo e americano

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Immagine adattata da: Garattini S, Bertele V. Europe’s opportunity to open up drug regulation. BMJ 2010; 340: 842-843.

A questo punto viene spontaneo domandarsi perché l’EMA non può garantire un accesso alle informazioni paragonabile a quello consentito dall’FDA. In merito, l’Agenzia giustifica le proprie scelte con la necessità di tutelare i processi decisionali e con il timore di danneggiare i cittadini favorendo la circolazione di dati che potrebbero rivelarsi fuorvianti o inattendibili. Resta però il dubbio che la reale motivazione sia da ricercare altrove, e in particolare nel rapporto ambiguo che l’EMA intrattiene con le industrie produttrici. I finanziamenti che l’ente europeo riceve dall’industria del farmaco raggiungono infatti oltre il 70% delle entrate complessive, una chiara dimostrazione di come il “controllato” di fatto paghi il suo “controllore”[6]. In senso più ampio, l’influenza dell’industria farmaceutica sul sistema salute è semplicemente orwelliana: a tutti i livelli il denaro delle multinazionali del farmaco esercita quello che molti considerano un condizionamento strategico, sistematico e malsano.

Silvio Garattini e Vittorio Bertelè, nell’articolo sopracitato, imputano la scarsa trasparenza dell’EMA anche al fatto che, fino al termine del 2009, essa rispondeva alla Direzione Generale Imprese e Industria della Commissione Europea e non, come sarebbe logico, a quella della Salute e dei Consumatori. Questo ha spesso comportato un’eccessiva attenzione agli interessi dell’industria, che rivendica un diritto alla segretezza in quanto la rivelazione di dati confidenziali potrebbe avvantaggiare i concorrenti. L’industria sostanzia questa posizione affermando che ogni perdita di profitti ridurrà necessariamente gli investimenti in ricerca, traducendosi così in uno svantaggio per i pazienti. In realtà, non bisogna dimenticare che l’industria farmaceutica non è l’unica finanziatrice della ricerca, e che anzi spesso essa attinge ai risultati di studi condotti grazie a finanziamenti pubblici. Nel 2000, un rapporto del Senato degli Stati Uniti ha valutato che dei 21 farmaci con il maggior impatto terapeutico introdotti tra il 1965 e il 1992, 15 erano stati sviluppati proprio grazie alla ricerca finanziata pubblicamente realizzata all’interno di istituzioni accademiche[7].
Inoltre, l’industria dovrebbe essere consapevole che il pubblico, essendo non un semplice beneficiario di nuove scoperte ma un partner essenziale per il loro raggiungimento, nonché il principale acquirente dei prodotti farmaceutici in molti Paesi, dovrebbe avere il diritto di accedere a tutte le informazioni rilevanti.

Una maggior trasparenza permetterebbe inoltre di contrastare alcune disfunzioni dell’attuale sistema, come il cosiddetto “publication bias”. E’ ormai ampiamente noto infatti che i risultati positivi hanno maggior probabilità di essere pubblicati di quelli negativi; l’accesso ai dossier sui farmaci contenenti i risultati di tutti i trial effettuati – pubblicati e non pubblicati – renderebbe decisamente più difficile per le compagnie farmaceutiche nascondere dati non favorevoli al proprio prodotto.

Più di trent’anni fa Donald Kennedy, commissario dell’FDA, affermò che “un principio base del nostro sistema politico è che le persone interessate dalle conseguenze di decisioni governative hanno il diritto di conoscere le basi su cui queste decisioni sono state prese”. Dal momento che la pratica quotidiana della medicina è fortemente influenzata dalle decisioni delle agenzie di farmacovigilanza, la comunità medica e i pazienti (senza i quali tra l’altro i trial non potrebbero essere effettuati) hanno diritto a una maggior trasparenza di questi organismi. Alcuni cambiamenti sono quindi necessari, e il recente spostamento dell’EMA dalla Direzione Generale Imprese e Industria a quella della Salute e dei Consumatori può costituire una prima opportunità. Probabilmente, come sottolineato nel comunicato delle associazioni internazionali Medicines in Europe Forum (MiEF), Health Action International (HAI) Europe, e International Society of Drug Bulletins (ISDB), l’Europa dovrebbe innanzitutto ridefinire – attraverso un dibattito pubblico – il concetto di “confidenzialità commerciale della proprietà dei dati”, per fare in modo che tutti i dati che riguardano la salute umana, soprattutto quelli clinici, siano esclusi da questa definizione, indipendentemente dal loro impatto sulle vendite) [4].

Sicuramente una politica reale di trasparenza potrebbe essere il primo passo per restituire ai cittadini europei la fiducia nelle decisioni dell’EMA, ma non può e non deve essere considerata l’unica soluzione per le disfunzioni dell’attuale sistema di farmacovigilanza. L’Agenzia dovrebbe infatti muoversi con decisione e tempestività nella direzione di una maggiore indipendenza finanziaria e intellettuale dalle industrie farmaceutiche che è chiamata a regolamentare, anche con una ricerca attiva di esperti senza conflitti d’interessi, per poter svolgere con piena credibilità e autorevolezza il proprio ruolo di tutela della salute pubblica.

Alice Fabbri e Chiara Bodini – Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale, Università di Bologna

Bibliografia

  1. European Medicines Agency – more transparency needed. Lancet 2010; 375: 1753.
  2. Ridker PM, Glynn RJ. JUPITER, rosuvastatin, and the European Medicines Agency. Lancet, 21 Maggio 2010.
  3. Garattini S, Bertele V. Europe’s opportunity to open up drug regulation. BMJ 2010; 340: 842-843.
  4. HAI Europe, ISDB, MiEF. EMEA transparency draft is just a window dressing. Press release, 24 September 2009.  [PDF: 210 Kb]
  5. Asamoah AK, Sharfstein JM. Transparency at the Food and Drug Administration. NEJM, 19 Maggio 2010 Original Text.
  6. European medicines Agency Draft budget for 2010. Consultabile sul sito dell’EMA [PDF: 69 Kb]
  7. The benefits of medical research and the role of the NIH. United States Joint Economic Committee, 2000.

Note
a) Si tratta di un difensore civico, il cui ruolo è quello di garantire i diritti dei cittadini, fungendo da mediatore nei rapporti tra questi ultimi e le amministrazioni.
b) Con il termine analisi post-hoc (a posteriori) si comprendono tutte le analisi statistiche non contemplate nel protocollo di ricerca, che vengono effettuate dopo la conclusione della raccolta dei dati.
c) Il documento contenente le proposte della Transparency Task Force è consultabile sul sito della FDA.

13 commenti

  1. Articolo molto interessante. Il problema dell’opacità dell’EMA ha potenzialmente un forte impatto sulla salute dei cittadini europei. Il problema non è (solo) la mancata trasparenza ma una gestione che tende sistematicamente a tutelare gli interessi dell’industria a scapito di quelli dei cittadini. Con ciò intendo la tendenza a spostare dopo la commercializzazione la ricerca di aspetti di sicurezza che meriterebbero un analisi pre-commercializzazione oppure il ritardo inaccettabile sulla presa di decisioni (sospensione o ritiro) di farmaci con un profilo beneficio/rischio tendenzialmente sfavorevole (rosiglitazone, nimesulide).
    Finora, il cambio di direttorato (da quello dell’industria a quello della sanità) ha prodotto ben poco in termini di miglioramento della trasparenza.
    A proposito d’investimenti in ricerca, il progetto della Commissione Europea e l’EFPIA (associazione europea dell’industria farmaceutica)chiamato IMI per incentivare la R&D in Europa meriterebbe un vostro articolo.

  2. Ottimo e importante contributo, che fa conoscere aspetti ignoti ai più (quali da dove vengono i fondi EMEA e soprattutto da chi dipende EMEA). In realtà la nuova Commissione Europea ha dato interpretazioni restrittive o “opacizzanti” a molte iniziative della passata commissione.

  3. Concordo con il contributo di un altro cittadino, quale Laura.L’EMA non può sottrarsi alla sua responsabilità. A volte è la non trasparenza ma spesso il problema deriva anche dalla scarsa eticità di alcune Aziende ( a volte non molto note al pubblico dei consumatori che conoscono solamente il nome commerciale dei farmaci che assumono quotidianmente). Ad esempio, leggendo alcune pagine web che riportano comunicazioni scientifiche ad importanti congressi Internazionali e Nazionali, si trovano comunicazioni autorevoli che rimarcano effetti non proprio benefici di alcuni farmaci.
    Ma gli Enti preposti ritardano a prendere atto di simili situazioni, magari aspettano le famose pubblicazioni scientifiche,le relazioni delle Commissioni apposite, senza approfondire immediatamente le evidenze negative che spesso giacciono, già da tempo, dentro le scrivanie delle Aziende produttrici.
    La Commissione Europea possiede una normativa che prevede la cautela di fronte a simili situazioni,ma le Commissioni sono evidentemente distratte.
    Tutto funziona nel caso di mancata efficacia ma quando i prodotti dimostrano lati oscuri, un ritardo potrebbe significare perdere una vita.
    Interessanti i riferimenti a nimesulide e rosiglitazone, il primo già afforontato anni orsono, il secondo recente in Gran Bretagna.
    Vorrei evidenziare un’altra situazione, la rosuvastatina tanto che ha mostrato dati all’ultimo congresso europeo di nefrologia che ci fanno pensare ad una manovra oscura per guadagnare sulla nostra salute, per far ammalare chi è sano, per eliminare chi è già malato, per alleggerire il nostro pianeta, anzi il nostro Planet. Questo il nome dello studio che dimostra la pericolosità di almeno un dosaggio di questo farmaco, che è in commercio in Italia.
    Curati con questo farmaco il colesterolo e perdi il tuo rene!
    Un effetto già noto di questo farmaco ma non degli altri che sono in commercio; allora perchè rischiare ma soprattutto perchè nascondere questa pericolosa realtà?
    Questo farmaco potrebbe essere più pericoloso del virus H1N1; ma gli interessi ed i rischi sono assolutamente differenti!
    Ritirare o limitare l’utilizzo della rosuvastatina andrebbe a sottrarre risorse ad una nota Azienda Farmaceutica invece delle vaccinazioni di massa per H1N1 ( mai realizzate) che hanno riempito le casse di altre Aziende farmaceutiche.Ma mentre nel primo caso è la nostra vita che è in pericolo ( rosuvastatina ed i suoi effetti/rischi non dichiarati ma dimostrati), nel secondo caso il vaccino H1N1 ha solamente sottratto risorse finanziare che potevamo dedicare ad altri bisogni reali.
    Forse l’EMA, ma non solo, dovrebbe considerare questa situazione, in modo trasparente a noi cittadini.
    Invito ogni cittadino a cercarsi le informazioni su Planet e rosuvastatina sui siti web ( analizzate gli effetti nocivi di questo farmaco), quelli che ancora per poco sono fruibili per noi poveri mortali o morituri,e vi invito a fare le dovute considerazioni singolarmente e con il vostro medico di fiducia ( che anche lui si trova all’oscuro).

  4. Per la sicurezza di chi sta facendo un trattamento con un farmaco, la ROSUVASTATINA, che dal 2003 e’in commercio nel mondo senza aver dato EVENTI AVVERSI significativi, ma solo benefici significativi.
    Commento allo studio Planet:
    I risultati degli studi Planet I e II mostrano che i pazienti nel gruppo Rosuvastatina 10 mg e 40 mg
    non hanno mostrato una variazione dell’escrezione urinaria di proteina. Pazienti nel gruppo
    Atorvastatina 80 mg hanno invece mostrato una riduzione dal basale statisticamente significativa
    dell’escrezione urinaria di proteina, in entrambi gli studi Planet.
    In particolare, nello studio Planet I, il rapporto proteinuria/creatinina (Upro/Cr) si riduce
    significativamente dal basale, dopo 52 settimane, per il gruppo Atorvastatina (p=0.0332), mentre
    Rosuvastatina ha mostrato un cambio non significativo in entrambi i gruppi 10 e 40 mg. Gli effetti
    sulla proteinuria per Atorvastatina erano già presenti alla 26° settimana.
    Tra i tre gruppi di trattamento non c’erano differenze significative osservate per l’effetto sul
    rapporto proteinuria/creatinina.
    Nello Studio Planet II, il rapporto creatinina/proteinuria si riduceva alla 52° settimana
    significativamente dal basale per il gruppo Atorvastatina (P=0.0026), mentre Rosuvastatina
    mostrava una variazione non significativa per entrambi i gruppi 10 e 40 mg.
    Uno degli endpoint secondari nello studio Planet era la variazione dal basale della velocità di
    filtrazione glomerulare (eGFR). C’erano riduzioni dal basale della eGFR in pazienti trattati con
    Rosuvastatina e Atorvastatina negli studi Planet, i quali risultavano statisticamente significativi per
    Rosuvastatina 10 e 40 mg nel Planet I e Rosuvastatina 40 mg nel Planet II, ma non per
    Atorvastatina in nessuno dei due studi.
    In particolare, nello studio Planet I, la eGFR media non cambia significativamente nel gruppo
    Atorvastatina, mentre il gruppo Rosuvastatina 10 mg e 40 mg mostra una riduzione significativa di
    eGFR ad entrambe la 26° e 52° settimana. Nel confronto tra i gruppi di trattamento, sebbene gli
    studi non fossero disegnati e potenziati per il confronto tra gruppi, la riduzione osservata nel
    gruppo Rosuvastatina 40 mg era significativa verso il gruppo Atorvastatina 80 mg ad entrambe le
    settimane 26 (P=0.044) e 52 (P=0.0095). Non c’erano differenze significative tra il gruppo
    Atorvastatina 80 mg e Rosuvastatina 10 mg ad ogni tempo osservato (p>0.2).
    Nello studio Planet II, alla 52° settimana, la eGFR media non cambiava significativamente nei
    gruppi Atorvastatina e Rosuvastatina 10 mg (NS), mentre la eGFR si riduceva significativamente nel
    gruppo Rosuvastatina 40 mg alla 26° e 52° settimana.
    I risultati degli studi Planet dimostrano che nei pazienti diabetici e non‐diabetici con proteinuria,
    Rosuvastatina non ha effetto sulla proteinuria, mentre Atorvastatina 80 mg ha ridotto l’escrezione
    urinaria di proteine. I risultati di questi studi dimostrano anche che Rosuvastatina era associata ad
    un lieve declino della eGFR, a differenza di Atorvastatina.
    Questi risultati andrebbero però interpretati alla luce dei dati complessivi di Rosuvastatina sulla
    funzione renale generati da studi molto più ampi del Planet. Gli effetti di Rosuvastatina sulla
    funzionalità renale sono stati ampiamente esaminati in due grandi trials placebo‐controllati, gli
    studi Meteor (1) (R 40 mg vs placebo per 2 anni) e Jupiter (2) (R20 mg vs placebo per 1,9 anni).
    Per esempio, nello studio Jupiter, la variazione di eGFR dal basale (54 ml/min/1,73m2 vs 54
    ml/min/1,73m2) era sovrapponibile al placebo (54 ml/min/1,73m2 vs 54 ml/min/1,73m2) nei
    pazienti che avevano un eGFR<60 ml/min/1,73m2, dopo 2,3 anni di trattamento.
    Inoltre, in questo sottogruppo (con eGFR<60 ml/min/1,73m2), Rosuvastatina 20 mg ha ridotto il
    rischio di eventi cardiovascolari maggiori del 45% vs placebo (HR 0,55; 95%; IC:0,38‐0,82; p=0,002),
    considerando che in questo sottogruppo di pazienti con compromissione renale si aveva un rischio
    di eventi cardiovascolari del 54% maggiore rispetto al sottogruppo con una buona funzionalità
    renale (HR 1,54, 95% IC:1,23‐1,92; p=0,0002).
    Le statine non sono prescritte specificatamente per il trattamento dell’insufficienza renale, ma
    questa tipologia di pazienti presenta un altissimo rischio cardiovascolare e potrebbero quindi
    beneficiare del trattamento statinico. Nello studio Jupiter, Rosuvastatina 20 mg ha dimostrato di
    ridurre la morte del 44% e gli eventi cardiovascolari maggiori del 45% in pazienti con eGFR<60
    ml/min/1,73m2, con un’incidenza di eventi avversi renali simili al placebo.
    Le evidenze cliniche scaturite dai trials clinici portano a concludere che la proteinuria osservata
    con Rosuvastatina era di origine tubulare (3). In questi pazienti che presentavano un test positivo
    alla proteinuria durante il trattamento con Rosuvastatina, i risultati dell’elettroforesi della
    proteinuria indicano che la maggior parte delle proteine escrete avevano un peso molecolare
    minore dell’albumina, in coerenza con una proteinuria ad eziologia più tubulare (ridotto
    riassorbimento di proteine filtrate normalmente) che glomerulare (aumentata perdita di albumina
    e altre proteine più grandi). Inoltre, risultati di studi preclinici in culture di cellule tubulari hanno
    dimostrato che l’inibizione della sintesi del colesterolo con le statine può portare ad un ridotto
    assorbimento di albumina nelle culture di cellule tubulari renali (4,5), suggerendo che:
    ‐ lo sviluppo della proteinuria tubulare è probabilmente dovuta ad una conseguenza
    dell’azione farmacologica di Rosuvastatina, come per esempio l’inibizione dell’HMG‐Coa
    reduttasi, nelle cellule renali tubulari;

    ‐ L’alta efficacia nell’inibizione dell’HMG‐Coa reduttasi insieme ad una maggiore escrezione
    renale contribuiscono a quanto osservato per Rosuvastatina. Per le altre statine, il grado di
    escrezione renale o l’efficacia complessiva sull’inibizione dell’HMG‐Coa reduttasi è minore
    di quella osservata con Rosuvastatina.
    Guardando agli effetti di Rosuvastatina sulla funzione renale, in 16.876 pazienti che ricevevano
    Rosuvastatina 5‐40 mg, la funzione renale era preservata o tendeva a migliorare (6). Questi
    risultati erano evidenti in tutti i gruppi di pazienti studiati, inclusi quelli a rischio d’insufficienza
    renale progressiva, come gli anziani, pazienti con diabete mellito, ipertensione o preesistente
    disfunzione renale/proteinuria. Infine, la funzione renale si era dimostrata immodificata o
    tendenzialmente migliorata persino in quei pazienti che sviluppavano proteinuria durante il
    trattamento a lungo termine con Rosuvastatina.
    In conclusione, anche se gli studi Planet non hanno dimostrato un miglioramento della funzione
    renale con Rosuvastatina 10 e 40 mg, a differenza di Atorvastatina 80 mg, dal punto di vista della
    tollerabilità renale, dati più ampi scaturiti da numerosi trials clinici dimostrano che Rosuvastatina,
    a tutti i dosaggi, presenta un impatto sulla funzionalità renale simile al gruppo placebo.
    A conferma, i pazienti con proteinuria presentano un più rapido e fisiologico declino della eGFR, di
    circa 4‐6 ml/min/anno (7,8,9), valori corrispondenti alla riduzione di eGFR osservata negli studi
    Planet I e II dopo un anno di trattamento con Rosuvastatina.

  5. Bibliografia
    1) Crouse JR et al. JAMA 2007; 297:1344‐1353
    2) Ridker PM et al. NEJM 2008 ; 359 :2195‐2207
    3) Vidt DG et al. Cardioilogy 2004; 102; 52‐60
    4) Verhulst A et al. J Am Soc Nephrol 2004; 15 (9):2249‐2257
    5) Sidaway J et al. J Am Soc Nephrol 2004; 15 (9):2258‐2265
    6) Shepherd J et al/ Cardiology 2007; 107;433‐443
    7) Lewis EJ et al. N Engl J Med. 2001;345:851‐860.
    8) Brenner BM at al.NEJM 2001; 345 (12): 861‐869
    9) Ruggenenti P at al. Lancet 1999; 354: 359‐364

  6. Non ho letto la bibliografia a cui si riferisce la signora Laura Vita sulla pericolosita’di Rosuvastatina. Sarebbe opportuno, da parte del moderatore, pubblicare commenti dopo averli verificati attentamente. A meno che………..

  7. In risposta alla chiusura dell’ultimo commento di Silvio: il blog è moderato nel senso che non è possibile uploadare, postare o comunque pubblicare materiali o informazioni illegali o pornografiche, chiaramente dannose, volte a spaventare o diffamare; uploadare, postare o comunque pubblicare informazioni o materiali promozionali o pubblicitari.
    Per il resto, in Italia e nello spazio dei commenti di Saluteinternazionale esiste la libertà di espressione, come dimostrato dalla possibilità per lei di replicare liberamente (anche in disaccordo) a quanto espresso da un’altra lettrice.
    Cordialmente,
    la redazione.

  8. Voglio riportare la mia attenzione su quanto scritto da questa signora “Laura Vita”, cioe’scrivere, e cito le sue parole,”….far ammalare chi è sano, per eliminare chi è già malato, per alleggerire il nostro pianeta, anzi il nostro Planet. Questo il nome dello studio che dimostra la pericolosità di almeno un dosaggio di questo farmaco, che è in commercio in Italia.
    Curati con questo farmaco il colesterolo e perdi il tuo rene!”, e ancora:”…..Invito ogni cittadino a cercarsi le informazioni su Planet e rosuvastatina sui siti web ( analizzate gli effetti nocivi di questo farmaco), quelli che ancora per poco sono fruibili per noi poveri mortali o morituri,e vi invito a fare le dovute considerazioni singolarmente e con il vostro medico di fiducia ( che anche lui si trova all’oscuro).” Se al moderatore sembra corretto e normale…..Pensi a una qualsiasi persona che sta prendendo questo farmaco e che legge queste parole…..QUESTA E’VERA PORNOGRAFIA SANITARIA cioe’scandalizzare con delle false interpretazioni e allarmare.
    Grazie per l’ospitalita’.
    Dr Silvio

  9. Concordo col signor Silvio, il commento della signora Laura Vita (evidentemente non è un addetto ai lavori)può creare allarmismo. Mi auguro che non sia un’azione mirata spinta da qualcuno. Vi ricordate il caso cerivastatina? Chi alimentò la polemica? Qualcuno a cui andava scomoda la molecola. Peccato che poi la Bayer abbia vinto tutte le cause…

  10. Sinceramente non comprendo nè i toni del dr. Silvio nè quelli del dr. Michele.
    Già di per se, persone che non si firmano con il cognome, rende il dialogo veramente difficile.
    Come espresso dalla Redazione di questo sito, le persone ( tutti)esprimono i loro concetti e se ne asumono la responsabilità e paternità.
    Sempre però con il rispetto verso i singoli, verso la Redazione e la libertà di espressione.
    Trovo conflittuale invece offendere i singoli unicamente perchè esprimono un parere! Siamo o no in democrazia, indipendentemente dalla professione, dal titolo di studio o quant’altro?
    Questo sito è cosruito perchè le persone possano esprimersi ed i loro giudizi o pareri sono solamente una voce; non costituiscono nè un parere medico-legale nè una “pornografia sanitaria”!
    Difficile pensare che un laureato in medicina possa esprimersi con tale violenza e prepotenza!
    Carissimo dr. Silvio, mio marito è in cura da un anno con quel farmaco che ho citato e le assicuro che oggi si trova in cura dal nefrologo, in uno stato definito predialitico ( spero che questo lo comprenda e non lo traduca in un nuovo numero di riviste pornog…!
    Lei dr. Silvio ha dato una risposta troppo tecnica, quasi geroglifica, tanto per scusarsi e confondere.
    Bastava che si qualificasse e si ponesse al “servizio di chi ha bisogno di aiuto”!
    Mio marito non ha mai a uto problemi renali e neanche muscolari; ora si trova a combattere questa nuova sfida, con un rene che non funziona più e l’altro pure! Grazie a quel farmaco? Ancora non è chiaro ma….anche per noi mortali…le informazioni sono accessibili!
    Invece di dare indicazioni ad un cittadino, se lei è medico e soprattutto senza conflitti di interesse o se banalmente è un dipendente di qquella azienda, Lei ha preso le difese di una Industria, straniera per giunta!!
    Come anche il dr. Michele che ha citato un altro farmaco ritirato aanni fa!! Ho fatto difficoltà a trovare in internet le motivazioni, ma credo che in presenza di “persone morte”, le sue parole dr. Michele siano inqualificabili.
    Quali cause ha vinto la Bayer? Mi sembra che il prodotto da lei citato non sia presente in nessun angolo del pianeta!
    La Bayer, una azienda che durante la seconda guerra mondiale produceva….Ma mi faccia il piacereeee! Avrebbe detto il nostro sano Totò!
    Comunque, quando mio marito sarà morto, verrò a trovarvi!!

    Laura Vita

  11. Concludo che evidentemnte siamo in tanti ad essere “pornografi sanitari”!!

    Oggi ho trovato in un altro sito un nuovo esempio di “pornografia sanitaria”: Le statine non si negano più a nessuno?
    (http://www.partecipasalute.it/cms_2/comment/reply/1525#comment-form)
    Un articolo firmato da una dr.ssa Valletto che mi fa comprendere che mio marito è stato fortunato a non essere deceduto di “morte improvvisa”!

    Io non conosco dove lavora carissimo dr. Silvio ma spero tanto che quello che è successo a noi (marito) non succeda ad altri!
    Buon Natale

  12. AAA cercasi venditori di rosuvastatina!!!
    (5mg 22,49 EURO 40mg 43,09 EURO ),con la simvastatina (esempio)da 4,4 EURO a 11,5 EURO per 40mg.
    Simvastatina più sicura (milioni di pazienti al mondo, trattati per decenni). Dimmi Silvio,é evidente che sei o un informatore scientifico o un dirigente di az. farmaceutica, ma se dovessi pagare Tu, e non il nostro SSN, i 30euro di diff. del farmaco, con tali differenze di sicurezza, ( la rosuvastatina è ancora praticamente in fase di studio ) cosa prenderesti?
    Beata ingenuità o interesse privato?
    Come fai a credere a studi che Ti vengono propinati da aziende che vendono il prodotto che studiano, e sono già state beccate più volte a falsare i dati di tollerabilità e efficacia?
    I medici sono tenuti,(senza grossi sforzi), ad un livello di ignoranza farmacologica, (esami di tossicologia e chimica farmaceutica assenti o marginali), con le informazioni sui farmaci monopolio delle aziende, molto interessate ai dividendi e poco alla salute dei cittadini.
    mercato mondiale AZ farmaceutiche 2001, 466 MILIARDI DI DOLLARI.

    DISINTERESSATAMENTE SERGIO, EX DIPENDENTE DI 2 big farma GIà CONDANNATE ENTRAMBE PER REATI VARI,

  13. Uso la rosuvastatina (leggasi “Provisacor”) dal 2006. Penso che la cosa peggore siano gli allarmismi più o meno … disinteressati.
    Penso anche che tutti i farmaci hanno “normalmente” effetti collaterali più o meno marcati. L’importante è l’assunzione di farmaci necessari per la patologia specifica (a quando la medicina “personalizzata”). Ad esempio, prendiamo la cardioaspirina: a qualcuno può generare problemi gastrointestinali (acido+acido), se si assume invece un’aspirina a base tamponata, ecco che si riduce la causa di cui sopra. Così, per alcuni le statine possono produrre effetti sul fegato (MA GLI ESAMI DI VERIFICA SERVONO PROPRIO PER QUESTO). Ora, grazie all’équipe di ricercatori in USA (ricercatori italiani!), la strada dello studio molecolare ha prima scoperto il “blocco” delle scorie nel sangue grazie alle statin; poi ricercatori svedesi hanno scoperto la rosuvastatina, che produce una sorta di “compressione” delle placche che ostruiscono i vasi arteriosi: se si riuscirà a scoprire la terza via, per immettere una sostanza che serva da… “idraulico liquido” per pulire le scorie che costituiscono la causa prima di infarti o ictus, allora avremmo raggiunto il massimo.
    Nel frattempo, penso che ciacuno si debba “fidare” non già dela pubblicizzazione di un farmaco, ma della figura professionale di un medico cardiolgo e soprattutto delle analisi di verifica.
    Claudio

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