Screening della prostata? No grazie

Massimo Valsecchi

Le più recenti ricerche dimostrano che lo screening del cancro della prostata non è raccomandabile. Nonostante ciò è partita una campagna di comunicazione ministeriale in suo favore.


Nel 2009 sono usciti sul New England Journal of Medicine i risultati dei due studi più ampi (uno in Europa ed uno negli Stati Uniti)[1,2] mai realizzati sullo screening del cancro della prostata tramite il test di ricerca del Prostate Specific Antigen (PSA).

Lo studio europeo[1], che risulta più completo, evidenzia una diminuzione della mortalità pari a 7 decessi in meno su 10.000 uomini testati.

Per ottenere questo risultato, il gruppo testato di 73.000 uomini ha dovuto subire 17.000 biopsie. In altri termini, per evitare una morte da cancro alla prostata, si sono dovuti sottoporre a screening 1.410 uomini, effettuare 335 biopsie e trattarne chirurgicamente 48.

Il New England conclude nel suo editoriale[3]:“lo screening sistematico con PSA dimostra nel migliore dei casi un modesto effetto sulla mortalità da cancro alla prostata nei primi dieci anni di follow-up. Questa diminuzione è ottenuta a costo di un eccesso di casi diagnosticati e trattati. È importante ricordare che il punto cruciale non è se questo screening sia efficace ma se faccia più male che bene”.

Il Lancet commenta[4] inoltre che “questo test è associato ad un rischio di diagnosi e trattamento eccessivo e uno screening di popolazione non può essere raccomandato sulla base di questi nuovi dati”.

Il 10 marzo scorso il New York Times ha intervistato (in un articolo dal titolo significativo: The great prostate mistake)[5] Richard J. Ablin, lo scopritore del PSA, che ha dichiarato: Il “mio” PSA? Un disastro per la salute pubblica e per di più costosissimo.

Di fronte a questo dibattito, risulta stridente la campagna di comunicazione sociale congiunta dei nostri Ministri per le Pari Opportunità e della Salute lanciata il 27 maggio[6] con lo slogan : “Non è la fortuna che batte il tumore alla prostata. È la prevenzione”.

I comunicati ministeriali[6] non parlano mai di PSA ma, dato che non disponiamo di interventi realmente efficaci di prevenzione del carcinoma prostatico e che l’unico screening di massa disponibile (ancorché non affidabile) è la ricerca del PSA, il gioco è fatto.

Di risposta 12 associazioni scientifiche hanno chiesto la sospensione della campagna di disinformazione[7].

Il Ministro Carfagna sul sito del suo Ministero[6] afferma che: “Obiettivo primario deve essere quello di diffondere fra gli uomini la cultura della prevenzione del tumore della prostata al pari di quanto accade fra le donne con i tumori della mammella e della cervice uterina”.

La differenza è che gli screening di mammella, collo dell’utero (e, dal Ministro dimenticato, colon-retto) sono dotati di prove di efficacia mentre così non è per la ricerca del PSA.

Proporlo, quindi, autorevolmente come intervento di massa vuol dire diffondere speranze illusorie.

Chi risulterà positivo al test dovrà fare la biopsia, un esame doloroso e a volte seguito da complicanze fastidiose; chi avrà una biopsia positiva si troverà di fronte all’incertezza sul percorso terapeutico da seguire, cioè se sottoporsi ad un intervento chirurgico spesso fortemente lesivo per estirpare un tumore che potrebbe essere lasciato in situ senza danni.

Si tratta di un tema difficile da affrontare ed ancora aperto, tuttavia, presentarlo con slogan fantasiosi è un errore certo.

Massimo Valsecchi è direttore del Dipartimento di Prevenzione della ULSS di Verona.

Bibliografia

  1. Schröder FH et al, for the ERSPC Investigators. Screening and prostate-cancer mortality in a randomized European study. N Engl J Med 2009; 360: 1320-28.
  2. Andriole GL et al, for the PLCO Project Team. N Engl J Med 2009; 360: 1310-19.
  3. Barry MJ. Screening for prostate cancer – The controversy that refuses to die. N Engl J Med 2009; 360: 1351-54.
  4. Neal DE et al. Screening for prostate cancer remains controversial. Lancet 2009; 374: 1482-83.
  5. Ablin RJ. The great prostate mistake. The New York Times March 9, 2010.
  6. Salute/Pari Opportunità. Campagna contro il tumore della prostata. (accesso del 16.06.2010).
  7. Comunicato stampa/lettera aperta ai Ministri della Salute e delle Pari opportunità. (accesso del 16.06.2010).

8 commenti

  1. è bene e opportuno che se ne parli e si divulghi l’informazione corretta. Purtroppo si naviga contro-corrente. Anche contro coloro( v. governo e autorità sanitarie) che dovrebbero capire per prime. Mi passano per la mente pensieri cattivi……

    grazie

  2. Buongiorno.

    Sì, tutto bello e chiaro, ma… allora cosa si deve fare? Aspettare e sperare di non avere, in futuro, il tumore alla prostata.

    “A pelle” sono solidale con chi intende evitare esami inutili e dolorosi, non riesco però ad essere completamente convinto quando esiste “solo” una critica che è mancante nella parte costruttiva e propositiva.

    Grazie.

    Cordiali saluti.

  3. una volta che la comunità scientifica ha il coraggio di sbugiardare se stessa sull’applicazione di un test basato su un indice che non era nemmeno stato creato per lo screening del carcinoma prostatico, cerchiamo di esserne felici. Non succede spesso, o meglio, succede solo quando i non-benefici sono evidenti. Le risposte in questo senso, possono arrivare solo dalla ricerca e dalla sorveglianza dei casi.
    Mettere un freno al business di esami, medicinali e interventi chirurgici, a volte è un bene. Tanto più che il nostro governo, oltre allo slogan disinformativo, non ricorda nemmeno che oltre i 70 anni addirittura si sconsigliano le indagini diagnostiche, poichè in molti casi i rischi di intervento superano i benefici. Ve lo dice la figlia di un padre deceduto, per complicazioni cardio-polmonari, subito dopo un intervento di prostatectomia radicale. Oltre al danno, la beffa: l’esame istologico della prostata confermò l’adenocarcinoma di cui era affetto, ma con un indice di Gleason inferiore rispetto a quello definito nella biopsia preoperatoria, ovvero ancora nei limiti di un intervento di sorveglianza, e non di un intervento chirurgico.

  4. Ad integrazione di quanto riportato dal dr Valsecchi, ci sono due punti da sottolineare.
    a) Il ca della prostata è di norma una malattia a lentissima evoluzione, per cui spesso la morte per questa causa interviene dopo molti anni dalla diagnosi. Tempo fa lessi che il 30% degli automobilisti untrasessantenni deceduti per incidente in Germania e di cui si dispone di un reperto autoptico erano affetti da ca della prostata. In altre parole, anche chi ha un ca della prostata fa in tempo a morire prima per altre cause.
    b) Le conoscenze sulla storia naturale della malattia del Ca della prostata sono insufficienti. In genere, si considera un tumore una malattia evolutiva che, ad un certo punto, produce metastasi. Per il Ca della prostata così non è sempre: vi sono dei casi di regressione spontanea per cui un accanimento diagnostico e terapeutico non sembra giustificato.
    La cosa che desta scandalo è che la massima autorità in materia di sanità pubblica e il ministro delle pari opportunità (l’occasione sarà sembrata golosa, dati gli esistenti programmi di screening sulla cervice uterina e sulla mammella) non abbiano interpellato esperti competenti dell’argomento prima di bandire una crociata che nuoce più che giovare al cittadino, oltre a costituire un intollerabile aggravio di spesa per il Servizio Sanirtario Nazionale.

  5. Allora come possiamo fare di fronte al paziente che in ambulatorio chiede il PSA fra gli esami “di controllo”?
    Gli spieghiamo tutto per filo e per segno,i falsi positivi, il tumore, le biopsie, le eventuali complicanze dei trattamenti….
    Ci vuole tanto tempo e tanto impegno, ma alla fine, fra l’informazione del medico di fiducia e quella del ministero chi vince?

    Grazie all’autore di questo post!
    Silvia

  6. Sono stupito dal numero di commenti evocati dal mio editoriale; lo valuto come una conferma dell’attualità del tema.

    Tra i vari commenti vorrei ricordare che non sempre (anzi quasi mai) è una buona scelta, di fronte ad un problema anche grave, fare qualcosa in ogni caso anche se non si è sicuri che quello che si fa sia utile. Dobbiamo anche capire e far capire che la nostra competenza tecnica ha (e avrà sempre) dei limiti invalicabili.

    Al collega che giustamente ricorda il tempo che serve a convincere un paziente già (mal) orientato dal Ministero ricordo che molto più tempo gli servirà se quel paziente risulterà con un test di dubbia interpretazione che verrà messo in regime di controlli periodici dal suo urologo e che dovrà essere seguito per molto tempo nelle sue , legittime , paure e nelle eventuali, difficili, scelte.
    massimo valsecchi

  7. L’autore non dovrebbe stupirsi dell’interesse sempre vivo sull’argomento: si tratta di un problema che mette in grave crisi i medici che si trovano a lottare davvero contro i mulini a vento, visto che chi soffia contro è sempre molto potente. In questo caso addirittura due ministeri, ma non molto tempo fa gli urologi e alcune associazioni di pazienti.
    Tutto questo nonostante numerosi consensus concordi nello sconsigliare la ricerca della diagnosi precoce del carcinoma prostatico.
    In realtà l’interesse del PSA sta anche nel fatto che probabilmente l’unico modo per uscirne, anche se faticoso e un po’ controcorrente, è informare in modo corretto e completo il paziente, che poi deciderà secondo le proprie inclinazioni: farà il test se prevale in lui la tendenza a fare tutto il possibile, cosciente però che non è detto che siano un vantaggio per lui l’eventuale positività del test, la diagnosi successiva di neoplasia e l’eventuale successivo intervento o follow up con l’ansia e gli effetti collaterali conseguenti.

  8. a mio parere l’articolo lascia ancora più punti di domanda di quelli che il problema ha
    qual’è dunque il modo di comportarsi?
    rilevare un alto PSA e quindi non procedere con la biopsia?
    o non effettuare direttamente lo screening?
    sarebbe bello far seguire ogni critica con una valida alternaiva al problema,piuttosto che lasciare al lettore ancora più dubbi rispetto a quelli che già aveva

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