La medicina privata nei Paesi poveri

Massimo Serventi

La diffusione della medicina privata nei Paesi in via di sviluppo iniziò a partire dagli  anni 90 quando  i sistemi sanitari di tanti paesi poveri furono“convinti” a ridurre la spesa pubblica e a introdurre forme di pagamento a carico degli utenti dei servizi sanitari (user fee).


Premessa

A Nyala (Darfur), dove sto lavorando, la Medicina Privata (MP) è molto diffusa. Quasi tutti i medici conducono attività privata a latere del loro impiego pubblico.  L’ospedale governativo della città ha,  al suo interno, una struttura privata che offre servizio di consultazioni mediche, laboratorio sofisticato e radiologia con servizio TAC. E’ di proprietà del precedente governatore del Sud-Darfur, ci lavorano gli stessi specialisti dell’ospedale statale.

Il trend del tipo  ‘tutto si paga in Sudan’ coinvolge servizi che non dovrebbero essere a pagamento. Una donna gravida spesso paga la carta-gravidanza (1 euro) e le compresse di ferro/acido folico.  Il parto avviene quasi sempre a casa (80%) dove si deve pagare la trained midwife (chi è abbiente) o la TBA (chi lo è di meno). In caso di riferimento all’ospedale centrale è previsto un pagamento di 30 euro più il costo di infusioni e/o medicine. I bambini (under five) pagano 30 cent a visita, i farmaci prescritti devono poi essere acquistati.  Solo le vaccinazioni sono gratuite.

Ricerca

Per documentare questo articolo ho consultato internet alla voce ‘private health care in poor/developing countries’. Ci si trova di tutto, chi  ne scrive a favore [1,2,3] e chi contro[4], altri analizzano l’attuale situazione e si astengono da giudizi di merito[5].

Alcune conclusioni sembrano essere abbastanza condivise :

  1. La MP si sta espandendo molto nel mondo. Nel 2005, il 60% dei soldi spesi per la salute in Africa è stato speso per la MP. In Cina,  5 anni dopo le riforme che hanno aperto alla MP la copertura vaccinale è scesa del 50% e l’incidenza di malattie come TB,morbillo e polio è aumentata.   Ci sono anche delle disparità notevoli : in Paraguay il 5% dei medici lavora nel settore privato mentre in Corea ci lavora l’86%. Costa Rica ha la proporzione più bassa di letti privati mentre la Corea la più alta. Il Libano che ha una copertura privata tra le più alte del mondo spende più del doppio dello Sri Lanka per la salute ma ha risultati peggiori in termini di mortalità infantile e materna. Il Cile ha un servizio sanitario molto privatizzato e uno dei tassi di cesarei più alto al mondo.
  2. Non è facile ottenere una separazione netta fra pubblico e privato, c’è una notevole commistione dei due settori, dati certi non sono possibili.  WHO pubblica ogni anno dati su medici, infermieri, paramedici, ospedali, letti dei servizi governativi  ma nessun dato si riporta sulla componente privata. Molti medici nel mondo svolgono il doppio lavoro, nel pubblico e nel privato. In generale America Latina ha la maggiore proporzione di medici privati esclusivi, l’Africa la minore.
  3. L’espansione della  MP, della sua influenza sul servizio pubblico,delle implicazioni sulla salute della gente non sembrano attirare l’interesse degli osservatori e policy makers.
  4. Sembra  che la proliferazione della MP cresca in proporzione con la crescita economica di un Paese. Ciò è valido per quanto riguarda il numero dei medici privati, vale meno per quello dei letti privati (che sono più pubblici). Il livello di urbanizzazione si accompagna in modo positivo alla diffusione del privato, anche per la presenza nelle città di lavoratori che usufruiscono di forme di assicurazione-malattia. Lo stesso vale per il livello di scolarità e speranza di vita: in società dove sono più sono alti, c’è più ricorso al privato. E pure, paesi con bassa mortalità infantile hanno più ricorso al privato. Per quanto riguarda i medici  dove c’è migliore assistenza pubblica ci sono meno medici privati, la stessa correlazione non è vera per la presenza di letti.
  5. La MP si esprime molto negli ambulatori e meno nei letti di ospedale, ossia ci sono molti ambulatori privati mentre gli ospedali tendono ad essere più pubblici. Questo è più vero in Africa.
  6. La diffusione della MP nei Paesi in via di sviluppo iniziò a partire dagli  anni 90 quando Banca Mondiale e altri organismi internazionali dichiararono fallimentari i sistemi sanitari di tanti paesi poveri, i quali furono ‘convinti’ a ridurre i costi per la salute (soprattutto con drastici tagli del personale assunto) e a introdurre forme di pagamento a carico degli utenti dei servizi sanitari (user-fees).

Nel 2007  Banca Mondiale assieme a Bill&Melinda Gates Foundation e Mc Kinsey^Co produssero il rapporto “The Business of Health in Africa: Partnering with the Private Sector to Improve People’s Lives” e annunciarono un piano di investimenti e prestiti (1 miliardo di dollari) per finanziare la crescita del settore privato nei Paesi dell’Africa subsahariana[1].

Le argomentazioni a favore furono che:

  • il privato è di fatto già molto sviluppato, non si può pensare di escluderlo, va regolato e coinvolto nell’erogazione del servizio sanitario
  • gli investimenti nel ‘privato’ porterebbero soldi anche alle magre casse del pubblico
  • il privato offre risultati migliori a costi inferiori, e’ meno corrotto.

In opposizione a queste affermazioni segnaliamo la voce di Anna Marriott di Oxfam[4], la quale (sola voce contraria) contesta uno ad uno i  punti a favore della diffusione del privato.  Le sue conclusioni sono: “Il settore privato continuerà ad esistere e ad offrire benefici potenziali che devono essere capitalizzati. Ma non ci sono dubbi che per assicurare accesso equo e universale alla cura sanitaria il settore pubblico deve avere il ruolo preminente. Il pubblico deve essere sostenuto e messo in condizioni di funzionare bene : questo è  l’approccio più efficace per ridurre la proliferazione e l’influenza della MP”.

Considerazioni personali.
Pediatra con 28 anni di lavoro in 4 paesi africani (Tanzania,Uganda, Mozambico e Sudan) e 2 asiatici (Sri Lanka e Afghanistan).

  1. La MP si esprime molto nelle prestazioni di ambulatorio dove i bambini sono i clienti più numerosi, superano il 50% dell’affluenza. Il pediatra è quindi maggiormente ‘interessato’ da questo aspetto.
  2. La MP non è ‘neutra’, ossia se c’è meglio, più cura non fa male a nessuno. In realtà, appunto perché legato al profitto, un ambulatorio pediatrico deve prescrivere di più per giustificare alla madre il costo della prestazione e per incassare denaro dalla vendita dei farmaci e degli esami di laboratorio (che spesso sono venduti nell’ambulatorio stesso). Questo vale anche per gli ambulatori ‘religiosi’ che fanno pagare un minimo (grazie ai medicinali che spesso ricevono gratuiti) ma che devono pur sempre prescrivere un farmaco. In ogni caso la madre ha dovuto pagare per una ‘malattia’ che poteva forse essere ‘curata’ con semplici, non cari rimedi del tipo Sali reidratanti (diarrea), gocce di acqua nel naso (riniti), sciroppo di paracetamolo (febbri di natura virale, le più frequenti) o semplici raccomandazioni nutrizionali. Prescrivere e vendere farmaci cari (antibiotici) a bambini che non ne necessitano equivale a deprivare la madre dei soldi che potrebbe spendere per comprare cibo, questo è tanto più grave in posti dove la causa più frequente di morte è la malnutrizione infantile.
  3. La MP, for profit e anche ‘missionaria-for charity’, drena personale sanitario dal serbatoio del  Servizio Sanitario (SS) governativo, ossia lo depaupera di persone valide, portandole spesso via dalle aree rurali che sono le meno servite. Questo fenomeno riguarda anche il personale assunto dalle ONG internazionali : la WHO ha da poco redatto un codice di comportamento con l’obiettivo di disciplinare la materia e ridurre l’emorragia di personale sanitario dalla struttura statale[6].
  4. Gli obiettivi riguardanti la salute (MDGs) sono raggiungibili senza l’intervento della MP. La mortalità infantile si è ridotta e si riduce  grazie a interventi che  non appartengono all’ambito strettamente sanitario e curativo (vaccinazioni, igiene pubblica, acqua, nutrizione, educazione sanitaria). La mortalità neonatale, che ha che fare con gravidanza e parto sicuro e identificazione precoce dei primi segnali di sepsi nel neonato non si giova certo del privato. Strutture private dove espletare parti sicuri sono quasi tutti nelle città e  servono alle fasce ricche della popolazione. Monitoraggio della gravidanza, pianificazione familiare, prevenzione delle malattie veneree incluso AIDS, trattamento e controllo della TB, distribuzione di zanzariere trattate sono tutte azioni che appartengono all’ambito pubblico. Vero, trattamento e prevenzione della malaria si giovano anche di farmaci e zanzariere che si vendono anche sulla strada.
  5. Le farmacie private sono comparse da anni nelle città, ora si allargano alla periferia: rappresentano una fonte di guadagno sicuro. Devono sottostare a regole governative ma di fatto operano in completa ‘autonomia’ e ‘deregulation’. Dal loro numero in costante aumento si può scrivere che di sicuro non hanno un farmacista dietro il banco. Sono colme  di ogni sorta di medicine (la qualità delle quali e’ incerta e poco accertata) e di prodotti da banco. In Afghanistan i medici hanno l’ambulatorio annesso alla loro farmacia: prescrivono e vendono farmaci, tutto ‘in famiglia’. I prodotti da banco sono i più disparati, vanno dalle tisane e acque carbonate per le coliche del lattante ai ‘ricostituenti e stimolatori dell’appetito’ per bambini (assai diffusi in India). La produzione a livello mondiale di farmaci utili ai Paesi poveri non ha finora dato risultati positivi [7]. Qui a Nyala nelle tante farmacie private si fa gran mostra ( e quindi uso) di prodotti per dimagrire(!), bustine di Sali e pillole alle alghe, multivitaminici, ‘ricostituenti’. Questi ‘farmaci trascinano con se’ altri prodotti di ‘lusso’, per esempio i latti di formula che in Afghanistan sono facilmente prescritti al primo intoppo dell’allattamento al seno. Le iniziative Unicef di ‘exclusive breast feeding for 6 months’ e ‘breast feeding for 2 years’ perdono di significato nelle città dove si vendono latti di formula e ogni tipo di farmaco da banco ‘utile’ alla salute del bambino.
  6. Gli ospedali non profit rappresentano in Africa la forma di privato più diffusa. La mission dichiarata di questi ospedali è singolare: offrire ai poveri un servizio che non hanno dalla struttura pubblica. Di fatto molti di essi sono diventati cliniche private dove si paga ogni prestazione, incluse le visite pediatriche e i parti. Un esempio sono gli ospedali Aga Khan. Molti altri sono passati da un iniziale sostegno dall’Europa ,che consentiva tariffe abbastanza basse, a graduali riduzioni di fondi. Per sopravvivere molti centri hanno dovuto alzare le tariffe, far pagare qualunque tipo di prestazione e in definitiva selezionare i pazienti in base al reddito. Tentativi di compensare i costi generali con cliniche specialistiche di qualità non hanno avuto buon esito: nella realtà è sufficiente che lo specialista (di solito europeo) ritorni a casa sua e la clinica specialistica si chiude.

Conclusione

La MP c’è e si diffonde, sull’onda del liberismo globale che pervade il mondo intero, inclusi i Paesi poveri. La Banca Mondiale che ha innescato questo processo anni fa sta avendo oggi dei ripensamenti[8].  La MP ha influenza quasi nulla sul raggiungimento dei MDGs e dei valori della PHC[9]. Credo che non possa essere disciplinabile e/o coinvolgibile nel processo di assistenza globale ed equa, l’obiettivo del profitto da perseguire comporta un implicito  conflitto di interessi: più salute per la gente (oggi) significa meno incassi (domani). Da qui l’assenza totale di ogni forma di prevenzione sostenuta da MP. I bambini e le donne gravide che sono i gruppi più vulnerabli della popolazione sono anche i meno ‘curati’ dalla MP. O meglio….i bambini lo sono, ma male, senza rispetto delle linee guida dell’OMS, con abuso e mal-uso di farmaci. Le forme di assicurazione-salute sono agli inizi, interessano solo fasce assai ristrette della popolazione, quella già privilegiata. I contadini che rappresentano il 70-80% della popolazione in Africa non godono certamente di mutue-salute. Le forme di contract out, ossia affidamento a ONG locali di pacchetti di erogazione-servizi sanitari di PHC sono interessanti : in Afghanistan li ho visti funzionare bene, pur sempre la mia esperienza è stata limitata.

Massimo Serventi, pediatra.

Bibliografia

  1. International Finance Corporation (IFC) (2007). ‘The business of health
in Africa: partnering with the private sector to improve people’s lives’. Washington DC: IFC, 2007.
  2. World Bank . ‘World Development Report: Making Services Work for
Poor People’, Washington DC: World Bank, 2004.
  3. Prata N, Montagu D, Jeffreys E. Private sector, human re- sources and health franchising in Africa. Bull World Health Organ 2005;83(4):274–9.
  4. Oxfam’s report.  ‘Blind Optimism: Challenging the myths about
 private health care in poor countries’.
  5. AB Zwi et al. Private health care in developing countries. If it is to work, it must start from what users need. BMJ 2001; 323 : 463 doi: 10.1136/bmj.323.7311.463.
  6. The NGO code of conduct for health systems strengthening
  7. Trouiller P, et al. Drug development for neglected diseases: a deficient market and a public-health policy failure, Lancet 2002;359(9324):2188-94.
  8. Rajeev Ahuja. Seize the Moment: Now’s the time to reform rural health care in India. Blogs.worldbank.org 07.22.2010.
  9. Adam Parsons. “The Global Health Debate”. Washington, DC: Foreign Policy In Focus, 18.09.2009.

2 commenti

  1. Anche la Commissione sui determinanti sociali della salute, in quanto organismo dell’OMS ha espresso nel rapporto “Closing the gap” del 2008 (consultabile su http://www.who.int/social_determinants/thecommission/finalreport/en/index.html ma che non vedo citato in bibliografia) una documentata valutazione dell’impatto sulla salute delle popolazioni, della medicina privata.
    In particolare segnalo l’interessante grafico (ripreso da una pubblicazione del 2005 di Koivusalo & Mackintosh) in cui per 130 paesi del mondo viene correlata la speranza di vita in buona salute con la % di spesa privata sul totale della spesa sanitaria nel 2000, evidenziando come la prima diminuisca quando la seconda aumenta.

    Carlo Romagnoli

  2. Avendo lavorato per parecchi anni ai programmi di partenariato sanitario pubblico-privato (vedi post “Il partenariato pubblico privato per rafforzare i sistemi sanitari in Africa. Il caso Uganda” http://saluteinternazionale.info/2010/07/il-partenariato-pubblico-privato-per-il-rafforzare-i-sistemi-sanitari-in-africa-il-caso-uganda/) non posso esimermi dal lasciar un commento.

    Credo innanzitutto che il settore privato in campo sanitario sia in continua espansione come una conseguenza dello sviluppo economico, indipendentemente dalle politiche giuste o sbagliate della banca mondiale. Un altro elemento da tener presente, e’ che il settore pubblico, da solo, non ha le risorse umane e finanziarie, per farsi carico di tutta la popolazione. Non e’ in grado di farlo nei paesi sviluppati non lo e’ tantomeno nei paesi in via di sviluppo. Non bisogna poi dimenticare che non tutto il privato e’ for-profit, esiste anche il non-profit che in alcuni paesi raggiunge e cura molti più poveri del settore pubblico. E’ il caso dell’Uganda e di altri paesi della regione East Africa.

    Oggi il settore privato non-profit in Uganda garantisce circa il 50% dei servizi sanitari alla popolazione (incluso vaccinazioni, assistenza ai parti, trattamento di malaria, TBC, AIDS) ricevendo contributi finanziari dal governo ugandese pari al 6% del budget del Ministero della Sanità.

    E’ chiaro che sarebbe possibile, ma credo estremamente inutile, elencare tutta una serie di limiti del settore pubblico come e’ stato fatto per il settore privato. E’ altrettanto inutile irrigidirsi su posizioni a favore o del pubblico o del privato. La situazione attuale richiede maggiore flessibilità ed un ripensamento critico di strategie ed interventi. In alcuni paesi l’unica possibilità di garantire l’accesso alle cure a tutta la
    popolazione è coinvolgere e utilizzare il contributo del settore privato nella realizzazione dei piani sanitari nazionali, ciò che viene comunemente definito partenariato pubblico privato. Non dimentichiamo che tale sistema è quello che vige nel nostro paese, l’Italia, che ha realizzato uno dei servizi sanitari nazionali considerati tra i più efficienti al mondo.

    Credo sia non solo sbagliato, ma anche irrealistico, ipotizzare un futuro della sanità esclusivamente pubblico, come pure il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio senza il contributo del settore privato. I principi guida della cooperazione sanitaria sono anche molto chiari al riguardo, tra le strategie per migliorare i sistemi sanitari nazionali troviamo “un appropriato sistema di offerta che riconosca la centralità dell’interesse
    pubblico e il contributo al sistema sanitario d’istituzioni pubbliche e private, incluso il settore non-profit, secondo criteri di efficacia, equità ed efficienza”. La sfida che abbiamo davanti è riuscire a concordare, con il consenso di tutti, politiche nazionali di partenariato che definiscano responsabilità, ruoli e compiti specifici per il settore pubblico (definizione del sistema sanitario, prevenzione, regolamentazione, sussidi per servizi essenziali, etc.) e per quello privato (accesso universale, qualità, sussidiarietà). Fatto questo saremo ancora all’inizio perché rimarranno tutta una serie di problematiche da risolvere, a cominciare dalla naturale diffidenza tra i lavoratori sanitari del settore pubblico e di quello privato e il superamento di qualsiasi forma di competizione e conflitto, fino a quando non sarà chiaro che l’obiettivo e’ uno solo ed e’ uguale per tutti, pubblici e privati, migliorare la salute della popolazione.

    L’esperimento avviato in Uganda nel 2000 si propone di risolvere parte di questi problemi e definire una strategia nuova, che non faccia a meno ne’del pubblico ne’ del privato, piuttosto metta insieme tutte le risorse disponibili a beneficio di chi ne ha più bisogno.

    Ulteriori informazioni sul programma MAE di sostegno alla “Public Private Partnership In Health” in Uganda all’indirizzo http://www.kampala.cooperazione.esteri.it/utlkampala/programma_sanitario/partenariato.html

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