Formazione e carenza di infermieri: il dibattito all’estero
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- 17 Febbraio 2011
Paola Di Giulio
La tendenza generale è quella di avere infermieri con una preparazione universitaria: questo da una parte pone la necessità di creare figure intermedie che hanno costi minori, ma i pericoli di avere contemporaneamente più livelli di formazione sono ben illustrati dall’esperienza americana.
Mentre in Italia ci avviamo alla terza riforma della formazione infermieristica, ormai in Università da 15 anni, l’Inghilterra, che ha sempre avuto una posizione di leadership ed è stata di esempio per l’infermieristica Europea ha da poco deciso di fare questo passo.
Si riportano i nodi di due articoli che analizzano da punti di vista ed esperienze diverse, le implicazioni di una formazione infermieristica in università:
- uno inglese [1] (è stata di recente presa la decisione di portare tutta la formazione infermieristica a livello di laurea)
- uno statunitense[2] (esistono più livelli di formazione e vengono analizzate le conseguenze di questo doppio canale sulla carenza di infermieri).
Nel rapporto della Commissione sul futuro dell’infermieristica e dell’ostetricia in Inghilterra (UK), si afferma che per diventare infermiere occorre avere una laurea[3]. La formazione a livello di laurea è obbligatoria dal 2002 in Irlanda del Nord, Scozia e Galles e circa il 30% degli infermieri in UK ha già la laurea[4], ma esistono più canali di formazione. Le motivazioni pro e contro questa scelta sono quelle che conosciamo ed abbiamo già vissuto da anni sulla nostra pelle: che gli infermieri laureati si allontanano dalle funzioni assistenziali di base; che non tutti coloro che hanno una “vocazione” per l’infermieristica riescono a frequentare con successo un percorso che porta alla laurea; che questa richiesta viene fatta solo per elevare lo status degli infermieri; che vengono alterati gli equilibri di potere che hanno finora garantito il buon funzionamento delle equipe assistenziali.
Anche se non è stato pienamente dimostrato il legame tra livello di formazione e qualità dell’assistenza, sono ampiamente documentate associazioni (con un legame causa effetto ancora da chiarire) tra una serie di esiti sul paziente, compresa la mortalità, e la formazione degli infermieri[5]. Invece, non è stato dimostrato che gli infermieri laureati siano meno propensi di occuparsi direttamente dei pazienti. Il problema principale e la sfida da cogliere per garantire un’assistenza di buona qualità, indipendentemente dal livello accademico, sta nell’equilibrio, durante la formazione, tra teoria e pratica, e nel garantire un buon livello di formazione clinica con il tirocinio . Nei contesti in cui c’è scarsa attenzione e sostegno all’apprendimento sul campo, non solo vi sono livelli bassi di assistenza, ma vi un elevato livello di abbandono della professione[6].
L’assistenza è complessa, i pazienti sono sempre più complessi e c’è bisogno di infermieri preparati, in grado di prendere decisioni, di valutare clinicamente il paziente, di seguirlo . La scelta fatta dal Governo inglese di portare la formazione infermieristica a livello di Laurea è stata accompagnata dal plauso della professione: negli ultimi 20 anni infatti la professione infermieristica inglese non solo ha perso la leadership ma sembra essere ritornata indietro ad una situazione in cui le infermiere erano poco educate, poco pagate. Questo è stato frutto di scelte del Sistema Sanitario nazionale e di scelte derivate da opportunità politiche, dai media e da pressioni elettorali basate su informazioni scorrette[7].
Dall’altra parte del continente, in US, dove esistono da sempre due (o più) livelli di formazione nell’infermieristica, si stanno affrontando problemi diversi.
Negli USA si può ottenere il titolo di infermiere attraverso tre diversi canali:
- associate degree program (AD) (circa il 60% dei neodiplomati): dura dai 2 ai 3 anni e si svolge presso istituzioni formative pubbliche o private (community e junior college) che rilasciano certificati o diplomi;
- corso di bachelor (circa il 36% dei neodiplomati): dura 4 anni e si svolge in università;
- formazione ospedaliera (circa il 4% dei diplomati): viene erogata dagli ospedali e dura circa 3 anni.
Aiken[2] nel suo contributo lancia un allarme, ben documentato dai dati che fornisce. L’IOM (Institute of Medicine) il 5 ottobre del 2010 ha emanato la raccomandazione che la proporzione di infermieri laureati debba passare dall’attuale 50% all’80%. Il motivo di tanto interesse sta nella constatazione che gli istituti di formazione infermieristica stanno rifiutando l’acceso a decine di migliaia di potenziali iscritti per carenza di budget e di personale. Nei prossimi 10 anni la metà degli attuali docenti di infermieristica andrà in pensione e questo renderà sempre più difficile riuscire a coprire il vuoto lasciato dai 500.000 infermieri che andranno in pensione nello stesso periodo. Il numero di infermieri con formazione avanzata ( advanced practice registered nurse , APRN) è rimasto stabile (8000 all’anno) nonostante il rapido aumento della domanda e nonostante questo sia il titolo preferenziale per occupare nuovi ruoli emergenti nell’assistenza di base, nella prevenzione e nel coordinamento. Il perché della carenza di infermieri che insegnano in università e di APRN è semplice secondo Aiken (anche se non lo è altrettanto la soluzione): per ottenere la qualifica di APRN un infermiere deve tornare in aula ed acquisire altri titoli, in particolare gli infermieri che non avevano come formazione di base il bachelor .
I tre canali, originariamente creati per ottimizzare l’accesso alla formazione, la distribuzione geografica e ridurre i costi, hanno creato a lungo andare delle conseguenze impreviste: solo pochi infermieri con un AD continuano la formazione in APRN: su 1000 infermieri con un bachelor, 200 conseguono almeno un master vs 58 con un AD. In base ai dati presentati, dei 72.000 infermieri con un AD nel 2010, solo 4000 proseguiranno nella formazione per acquisire un master o titoli superiori: troppo poche per coprire il turnover di una popolazione lavorativa di più di 3 milioni di persone. Se tra il 1974 ed il 1994 ci fosse stato il 60% di infermieri con un bachelor , ci sarebbero oggi 50.000 infermieri in più con un master o un titolo superiore.
Lo IOM ha raccomandato che siano totalmente chiusi i programmi gestiti dagli ospedali, e caldeggia anche attraverso partnership con le università, di far acquisire con corsi o esperienze aggiuntive un bachelor a tutti gli infermieri . Questo incremento di formazione per tutti ovviamente ha dei costi che non possono essere sostenuti solo dagli studenti, ma vanno finanziati con fondi pubblici. Far ottenere a tutti un bachelor è una priorità: occorre uno sforzo simile a quello fatto nel 1964, quando è stata attivata la formazione universitaria per gli infermieri e sono state gettate le basi per i programmi di APRN. Gli attuali 160 milioni di dollari all’anno stanziati per la formazione degli infermieri dovrebbero essere utilizzati per finanziare i programmi di APRN e non quelli di AD. Solo così si riuscirà ad invertire questo trend e colmare la carenza di infermieri.
Nello stesso numero del New England Journal of Medicine è stato pubblicato un altro articolo[8], in cui si testimoniava ancora una volta non solo la carenza di APRN ma anche la variabilità di regolamenti tra stati, dove l’operato degli APRN viene più o meno “liberalizzato” o ostacolato, in base a leggi e regolamenti locali, nonostante diverse organizzazioni, comprese quelle di pazienti, spingano per un ampliamento del ruolo degli infermieri nelle cure primarie.
Gli autori guardano con preoccupazione la sempre maggiore carenza di medici di cure primarie e auspicano nuovi modelli di erogazione dell’assistenza sul territorio per la gestione delle malattie croniche e la continuità dell’assistenza tra diversi contesti, con equipe multidisciplinari dove l’infermiere eroghi la maggioranza dei servizi: dalla gestione diretta dei problemi sanitari al case management. Oltretutto queste forme di assistenza hanno anche costi più ridotti[9] e il costo della formazione di un medico equivale a quello di 3-12 infermieri, ed i tempi sono molto più brevi[10]. Molte delle attuali restrizioni sulla formazione e sulla pratica delle APRN sono sotto analisi perché si sospetta che proteggano più gli interessi professionali e corporativi che degli utenti.
Affrontare queste sfide richiede soluzioni radicali ed innovative. I cambiamenti vanno costantemente valutati per comprenderne appieno le implicazioni, spesso non previste. La tendenza generale è quella di avere infermieri con una preparazione universitaria: questo da una parte pone la necessità di creare figure intermedie che hanno costi minori, ma i pericoli di avere contemporaneamente più livelli di formazione sono ben illustrati dall’esperienza americana.
Dopo quasi dieci anni, autorevoli riviste internazionali stanno riponendo nella propria agenda di dibattito[11,12], il tema formazione degli infermieri e delle cure sicure ai pazienti. Le scelte professionali e politiche dovrebbero partire da questi da ciò che produce maggiori benefici al paziente, per evitare che vengano guidate da spinte corporative o che vengano fatte scelte non lungimiranti.
Paola Di Giulio, Università degli studi di Torino e Supsi, Manno (CH)
- Gough P, Masterson A. Mandatory graduate entry to nursing. BMJ 2010; 341:684.
- Aiken L. Nurses for the future. New Engl J Med 2010; 10.1056/NEJMp1011639.
- Department of Health. Front line care: the future of Nursing and Midwifery in England. Report of the Prime Minister’s Commission on the future of Nursing and Midwifery in England. 2010.
- Ball J, Pike G. Past imperfect, future tense; nurses’ employment and morale in 2009. Royal College of Nursing, 2009.
- Rafferty A, Clarke S, Coles J, ball J, James P, McKee M, et al. Outcomes of variation in hospital nurse staffing in English hospitals: cross section analysis of survey data and discharge records. Int J Nurs Stud 2007; 44: 175-82.
- Kramer M. Reality shock: why nurses leave nursing. CV Mosby, 1975.
- Watson R, Shields L. Cruel Britania: a personal critique of nursing in the United Kingdom Contemporary Nurse 2009; 32(1-2): 42-54.
- Fairman JA, Rowe JW, Hassmiller S, Sahalala D. Broadening the scope of nursing practice. N Engl J Med 2010; 10.1056/NEJMp1012121.
- APRN model act/rules and regulations. Chicago: National Council of State Boards of Nursing, 2008. [PDF: 280 Kb]
- Starck PL. The cost of doing business in nursing education. J Prof Nurs 2005;21:183-90. 10. 11. Steinbrook R. Nursing in the Crossfire N Engl J Med 2002; 346:1757-1766.
- Finlayson B, Dixon J, Meadows S, Blair G. Mind the gap: the policy response to the NHS nursing shortage. BMJ 2002; 325 : 541.
Ottima sintesi sul problema – acuto – della carenza di operatori sanitari e dell’assistenza nel mondo e – cronico – della difficoltà a formare operatori di vario livello in un mondo sempre più interdipendente.
USA e UK importano sempre più lavoratori della salute, specie infermieri. Già succede anche da noi. Una possibile risposta ci viene da alcuni paesi africani a risorse limitate che hanno avviato campagne di formazione di quadri intermedi e di base (es. Etiopia con Health officers e Health Extension Workers)in forme più quantitative che qualitative (cd. training flooding strategies). Perchè si raggiungono più in fretta e con meno costi di formazione grossi numeri di operatori formati da utilizzare sul campo e in zone remote e che sono poco esportabili in altri paesi ricchi. Che sia questa una possibile risposta ai bisogni primari di salute? E non solo in contesti deprivati ? Indubbiamente formare medici in 6 anni costa troppo! E più della metà di loro vanno poi in fuga nei paesi ricchi! Occorrerebbe una nuova strategia per trasformare l’istruzione dei professionisti della salute (v.anche Lancet, J Frenk et al. Nov 29, 2010.
Che bell’articolo! Io sto per emigrare in UK, sono laureata da poco. Quello che mi ha colpito veramente molto è l’interesse che dimostrano per il reclutamento di infermieri dall’estero. E’ bastata un’iscrizione al sito del NHS (il servizio sanitario del regno unito) che nel giro di una settimana per posta mi è arrivata una lettera con su scritto tutti i documenti da presentare per la registrazione al Nursing and Midwifery Council (il loro “ipasvi”…). Stupefacente. Vedremo, vedremo.
Con questa situazione lavorativa in Italia è meglio puntare sullo studio della lingua inglese (con l’obiettivo di lavorare all’estero) che prendere master e certificazioni. Solo così possiamo salvarci!