Lo tsunami delle malattie cardiovascolari

Gavino Maciocco

Mentre la letteratura internazionale paragona la diffusione globale delle malattie cardiovascolari a uno tsunami, per il Ministero della salute in Italia il mare è piatto e senza vento.


“Le malattie cardiovascolari costituiscono la più importante causa di morte nel mondo e la loro elevata crescente prevalenza incide, anche in Italia, sulla salute pubblica, sulle risorse sanitarie ed economiche. I recenti dati Istat riportano che 1 italiano su 4 è affetto da malattie cardiache. Esse rappresentano la principale causa di disabilità fra gli anziani. La frequenza di nuovi eventi coronarici nella fascia di età 35-69 anni è di 5,7/ 1000/ anno negli uomini e di 1,7/ 1000/ anno nelle donne; la spesa per gli interventi cardiochirurgici è stimabile in circa 650 milioni di Euro/anno e rappresenta da sola l’1% della spesa sanitaria. L’invecchiamento della popolazione e l’aumentata sopravvivenza dopo eventi cardiaci acuti ne giustificano l’aumento di prevalenza negli ultimi anni e l’ulteriore incremento previsto nei prossimi decenni”.

 

Questo è l’incipit del capitolo “Malattie cardiovascolari” del Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 predisposto dal Ministero della Salute.

Da sottolineare l’ultimo passaggio, dove si attribuisce l’aumento della prevalenza avvenuto negli ultimi anni e l’ulteriore incremento previsto nei prossimi decenni a due fattori: l’invecchiamento della popolazione e l’aumentata sopravvivenza dopo eventi cardiaci acuti.

Tutto sommato non avremmo quindi da preoccuparci troppo di tale incremento, anzi potremmo considerarlo con favore essendo il frutto di due eventi positivi: l’aumento della longevità della popolazione e i successi della medicina nel trattamento dell’infarto.

Forse, in Italia, viviamo in un’isola felice perché nella più recente letteratura internazionale a proposito di malattie cardiovascolari leggiamo titoli tutt’altro che rassicuranti, del tipo: “An epidemic of risk factors for cardiovascular disease”[1] (Lancet, febbraio 2011), “Stemming the global tsunami of cardiovascular disease”[2] (Lancet, febbraio 2011) – a cui fa pendan “Tsunami of obesity threatens all regions of the world”[3](BMJ, febbraio 2011), “Cardiovascular health crisis”[4] (Lancet, dicembre 2010). In tutto il mondo, non solo nei paesi industrializzati, ma anche e soprattutto nei paesi a medio e basso livello di sviluppo, l’incremento delle malattie cardiovascolari – ed in generale delle malattie croniche, in primis il diabete – ha assunto la velocità e la violenza di uno tsunami. Nel mondo circa due miliardi di persone sono ad alto rischio di malattia cardiovascolare: 1,3 mld di fumatori, 600 milioni di ipertesi, 220 milioni di diabetici. L’incremento del diabete di tipo 2 è il fenomeno certamente più evidente e preoccupante, dato che le stime dell’International Diabetes Federation parlano di 438 milioni di casi nel 2030 (con una crescita della prevalenza pari al + 99%)[5].

Ma torniamo all’Italia e al PSN 2011-2013. Dei due argomenti su cui si basa la visione ottimistica e tranquillizzante del Ministero della Salute, uno è certamente vero (quello dei positivi risultati conseguiti nel trattamento degli eventi cardiaci acuti), l’altro è invece manifestamente falso.

Infatti il tasso d’incremento della prevalenza delle malattie croniche in generale, e delle malattie cardiovascolari in particolare, è di gran lunga superiore al tasso d’invecchiamento della popolazione. Basta fare pochi conti.

I dati sull’incremento della prevalenza li ricaviamo da Health Search, autorevole database della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale)[6], e questi ci dicono – ad esempio – che:

  • La prevalenza del Diabete tipo 2 è passata dal 4,8% (2003) al 6,6% (2009) = + 37,5%.
  • La prevalenza dell’Ipertensione è passata dal 17,5% (2003) al 22,9% (2009) = + 30,8%.
  • La prevalenza delle Malattie ischemiche di cuore è passata dal 2,9% (2003) al 3,7% (2009) = + 27,0%.

I dati sull’incremento dell’invecchiamento della popolazione li ricaviamo dall’Istat e questi ci dicono che:

  • Nel 2003 la popolazione di 65 anni e + contava 10.901.000 soggetti.
  • Nel 2009 la popolazione di 65 anni e + contava 12.085.000 soggetti.
  • Nel periodo 2003-2009 la popolazione di 65 anni e + è cresciuta di 1.184.000 unità, pari al + 10,9%.

La sottovalutazione della crescita delle malattie cardiovascolari contenuta nel PSN si traduce inevitabilmente anche nel tipo di strategia da adottare. Gli obiettivi che vengono indicati sono infatti a dir poco minimalisti, indicati in 4 punti:

  1. promuovere la prevenzione delle malattie cardiovascolari, attraverso la sensibilizzazione della popolazione sui fattori di rischio;
  2. migliorare la qualità dell’assistenza assicurata dalle emergenze cardiologiche;
  3. favorire la stabilità clinica dei pazienti attraverso l’ottimizzazione dell’intervento terapeutico e riabilitativo;
  4. garantire la continuità assistenziale, ridurre le ospedalizzazioni e migliorare la qualità della vita del paziente con scompenso cronico.

Ben altro tono aveva il messaggio contenuto nella prefazione della traduzione italiana del Rapporto dell’OMS dedicato alle malattie croniche “Preventing chronic diseases. A vital investment (2005)”, a cura dell’allora Ministro della Salute Livia Turco[7].

“Negli ultimi anni l’aumento del numero dei malati cronici sta creando un’emergenza per i sistemi sanitari: cardiopatie, cancro, diabete, disturbi mentali, malattie respiratorie, dell’apparato digerente e del sistema osteoarticolare sono ormai tra le cause più diffuse di sofferenza e morte. E non è un “problema dei ricchi”: negli ultimi vent’anni le malattie croniche si sono diffuse anche nei Paesi più poveri e oggi sono responsabili dell’86% dei decessi in tutta Europa.

I principali fattori di rischio sono l’ipertensione arteriosa, il fumo, l’obesità e il sovrappeso, l’alcol, il colesterolo e la glicemia elevati, la sedentarietà. Si tratta di fattori modificabili grazie a interventi sull’ambiente sociale, come è stato fatto recentemente in Italia con il divieto di fumo nei locali pubblici, e grazie a trattamenti medici, come i farmaci antipertensivi.

D’altra parte, in Italia abbiamo un sistema di cure che funziona come un radar a cui il paziente appare per essere curato e scompare alla vista una volta guarito. Perfetto per le malattie acute, ma non per le patologie croniche, per le quali serve invece un modello di assistenza diverso: occorre evitare non solo che le persone si ammalino, ma anche che chi è già malato vada incontro a ricadute, aggravamenti e disabilità. Un sistema, insomma, adatto a malattie che non guariscono e che devono essere seguite nel territorio, adeguatamente attrezzato.

Le istituzioni devono allora impegnarsi su questo fronte, attraverso politiche e strategie mirate. L’obiettivo è ridurre l’impatto delle malattie croniche, portando qualità e aspettative di vita a livelli accettabili in tutti i Paesi europei. Ai governi spetta la responsabilità di coordinare le politiche di sanità pubblica volte a rimuovere quei determinanti sociali che favoriscono lo sviluppo delle malattie croniche”.

I punti significativi del messaggio sono:

  1. L’incremento delle malattie croniche è un’emergenza.
  2. L’attuale sistema delle cure è inadeguato e va riformato con il rafforzamento dei servizi territoriali e un approccio basato sulla sanità d’iniziativa.
  3. Vanno contrastate le diseguaglianze nella salute, particolarmente evidenti nella mortalità legata alle malattie croniche. La Figura 1 al riguardo mostra come le persone con basso livello d’istruzione abbiamo una ben maggiore probabilità di morire per malattia ischemica di cuore rispetto ai diplomati-laureati.

Figura 1. Rischio relativo. Mortalità per Malattia Ischemica di cuore, età 18-74 anni. Firenze 2001-2005.

 

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Fonte: Studio Longitudinale toscano

Nel citato articolo (editoriale) di Lancet Cardiovascular health crisis” si riportano le conclusioni del convegno annuale dell’ American Heart Association’s (AHA), a cui hanno partecipato 23 mila tra cardiologi e neurologi provenienti da più di 100 paesi. Il tema del meeting è stato “One World, One Mission, Your Specialty”, focalizzato sul carico globale delle malattie cardiovascolari e dell’ictus, le diseguaglianze nella salute e la responsabilità individuale. Queste le conclusioni: “E’ cruciale che gli individui si assumano la loro responsabilità nei confronti della loro salute cardiovascolare, ma è necessario che i politici affrontino seriamente la questione delle diseguaglianze nella salute e riducano il potere delle lobbies delle industrie del cibo e del tabacco che hanno l’interesse a perpetuare lo status quo”.

In un altro recente articolo di Lancet si legge: “Le politiche globali e nazionali non sono riuscite a fermare – in molti casi anzi hanno contribuito a diffondere – le malattie croniche. Attualmente sono facilmente disponibili soluzioni a basso costo e di alta efficacia per la prevenzione delle malattie croniche; il fallimento nella risposta è oggi un problema politico, piuttosto che tecnico”[8].

Viene da pensare che gli obiettivi presenti nel PSN 2011-2013 più che la soluzione del problema delle malattie cardiovascolari in Italia, siano una parte del problema.

Gavino Maciocco, Dipartimento di Sanità pubblica, Università di Firenze

Bibliografia

  1. Editorial. An epidemic of risk factors for cardiovascular disease. Lancet 2011; 377:517. 
  2. Anand SS, Yusuf S. Stemming the global tsunami of cardiovascular disease. Lancet 2011; 377:529-532.
  3. Wise J. Tsunami of obesity threatens all regions of the world. BMJ 2011; 342:354 .
  4. Editorial. Cardiovascular health crisis. Lancet 2010; 376:1874. 
  5. Prevalence estimates of diabetes mellitus (DM), 2030. International diabetes federation
  6. VI Report Health Search, 2009-2010.
  7. Ministero della salute, OMS. Prevenire le malattie croniche. Un investimento vitale. 2006.
  8. Geneau R et al. Raising the priority of preventing chronic disease: a political process. Lancet 2010; 376:1689-98.

6 commenti

  1. Come sempre l’analisi del prof è puntuale e stimolante.
    Sono comunque anni che si batte per far capire l’importanza della sfida alla cronicità.
    Forse bisognerebbe studiare tecniche più efficaci per influenzare i policy makers

  2. Ringrazio Andrea Guerzoni. E’ vero è da anni che cerco di dimostrare l’importanza vitale della sfida alla cronicità. Peraltro uno tra i tanti e sicuramente tra gli ultimi in ordine d’importanza. Se i policy makers (tra cui clamorosamente il nostro Ministero della salute) non capiscono, o fanno finta di non capire, il problema non è tecnico, nè di comunicazione. Il problema è – come denuncia Lancet – soltanto politico.

  3. Ringrazio il Prof. Maciocco e da Medico di Medicina Generale non posso che ribadire la veridicità della sua analisi ,visto che lo verifico ogni giorno nel mio studio.
    Ai nostri politici , in verità, non interessa la programmazione della spesa pubblica relativamente alla salute dei cittadini , perchè “programmare” significa prima di tutto conoscere il problema del quale stiamo parlando e finchè la sanità sarà governata da burocrati incapaci, molto spesso neppure laureati in Medicina ( .. tanto sono manager .. ) non ci potremo aspettare altro .
    Ci dovrebbe essere un equilibrio tra “tecnici medici” e ” tecnici economisti” per orientare le risorse al meglio e non secondo lobby.
    Ma tanto l’opinione di un Medico di Medicina Generale non conta nulla come , mi spiace affermarlo, la Sua Prof Maciocco

    Dr.ssa Ricci Maccarini Gian Franca
    Massa Lombarda Ravenna

  4. Bravo Gavino Maciocco (grazie) a sintetizzarci in poche righe il problema. Eccellente, come sempre, la bibliografia. Puntuale il richiamo all’equità ed efficacia.
    Proprio in questo periodo seguo, come tanti, un argomento correlato : l’uso delle statine. Lo introduco nel dibattito.
    I dati d’uso 2010 nella nostra regione FVG (1,2 milioni ab.) indicano ca. 40.000 soggetti con prescrizioni (+3& vs 2009), 9,4 mil. DDD (+8%), spesa tot. 8,5 mil. € (+8%), con evidenza di una ripartizione tra le molecole e dosi prescritte non del tutto in linea con linee guida-raccomandazioni scientifiche (mi sono molto piaciute quelle della Regione Toscana; delibera n.1019 del 29.11.2010).
    VOrrei capire di più come/cosa fare per: a) ridurre la fascia di pazienti NON trattata o trattata con discontinuità; b) rendere i prescrittori sensibili al tema della ottimizzazione (sostenibilità) dell’aumento di spesa conseguente, e più attenti alla scelta del farmaco in base a sicurezza/efficacia/costo; c) convincere i colleghi medici che operano in sanità pubblica a rendersi consapevoli della responsabilità che portiamo non solo verso il paziente (prescrizioni sec. “scienza e coscienza”), ma contestualmente e paritariamente verso i colleghi (rispettare le regole scientifiche e normative), l’amministrazione (che organizza e rimborsa), la comunità (i contribuenti finanziatori di SSN – l’equità !).
    Poker di responsabilità, adeguati stili di vita e farmaci “giusti”; per questa urgenza-tsunami ho bisogno di imparare a fare ancora di più e meglio.

  5. ERRATA CORRIGE
    per consentire corrette comparazioni: i dati citati d’uso delle statine si riferiscono alla sola popolazione delle Province di Trieste e Gorizia (ca. 380.000 ab.), e NON dell’intera regione.
    Mi scuso per l’errore.

  6. Ch.mo prof.

    veramente complimenti.

    Mi occupo di sanità penitenziaria e assistenza primaria nei penitenziari nella Regione Emilia-Romagna.

    Ritengo che la sospensione della vita nel carcere possa avere un supporto energetico dal rendere disponibili, da parte dei servizi sanitari penitenziari, per i detenuti e la comunità penitenziaria,le informazioni per capire il significato delle malattie croniche e non solo della tossicodipendenza e delle malattie infettive.

    Credo che queso obiettivo possa avere dignità almeno pari alla lotte per le td e malattie infettive, con ricadute socio-familiari importanti.

    grazie

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