Primavera egiziana
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- 27 Marzo 2011
Enrico Materia
La rivoluzione in corso in Egitto – laica, trasversale e interclassista – ribalta molti luoghi comuni propagandati nell’ultimo decennio (lo scontro di civiltà, l’irriducibilità del mondo arabo alla democrazia) e indica che le nuove generazioni dei paesi arabi, facilitate dai social network, possono ottenere più giustizia sociale e maggiori opportunità per le donne e i giovani.
Il 25 gennaio scorso è stato inaugurato in Egitto il primo centro di salute mentale di comunità. Il centro, intitolato a Franco Basaglia, è stato aperto a Kobania Abu Keer nell’ambito del progetto Mehenet[1], nel corso di una campagna pubblica contro lo stigma e la discriminazione.
Fino all’ultimo momento non si sapeva se le Autorità avrebbero potuto partecipare: nelle principali città egiziane stava montando la protesta contro il regime di Mubarak. Poi, sotto un grande tendone scenografico, si è svolto l’incontro con le comunità locali e gli operatori: hanno avuto voce, tra gli altri, i leader di comunità e i familiari dei pazienti.
Dalle città intanto arrivavano notizie delle prime spallate alla dittatura (senza virgolette) che per trent’anni ha dominato l’Egitto: un Paese con 80 milioni di abitanti, cuore strategico della Regione e centro della cultura araba.
Il regime di Mubarak era ammantato di democrazia formale, con elezioni farsa e oppositori ridotti al silenzio o in carcere. La crescita economica (con il PIL in aumento tra il 4% e 7,5% l’anno nell’ultimo lustro) ha consentito a un’élite di oligarchi di accumulare enormi ricchezze, con la povertà rimasta endemica e la disoccupazione a due cifre soprattutto tra i giovani. Per le strade del Cairo puoi incontrare macchine con una scritta sul lunotto: “This is my life: no drugs, no women, no work”.
Ha ragione R. Wilkinson: diseguaglianze troppe elevate generano instabilità sociale e non sono sostenibili[2].
L’autocrazia ha alimentato la corruzione (l’Egitto è al 98° posto nella graduatoria di Transparency International) e represso i diritti civili; ciò nonostante è stata blandita dall’Occidente per l’appoggio all’occupazione israeliana dei territori palestinesi (e il controllo della Striscia di Gaza) e per le mani libere concesse alle corporations.
“Palazzo Yacubian” – il bestseller di Ala-Al-Aswani pubblicato nel 2002 – dipingeva vividamente, attraverso il microcosmo di Cairo downtown, l’insostenibile pressione politica e sociale esistente in Egitto[3]. E l’Economist il 15 luglio 2010 in un numero titolato “Shifting sands” [Sabbie mobili] descriveva la paralisi politica, l’alienazione dello Stato, la lunga attesa di un cambiamento imminente[4].
La rivolta iniziata il 25 gennaio è trasversale, interclassista, laica, di uomini e donne. Internet, i social network e la TV Al-Jazeera “che riflette e articola il sentimento popolare” sono stati gli strumenti facilitatori della rivoluzione: un ritorno nell’agorà dove i cittadini possono incontrarsi, accudire la cosa pubblica e decidere democraticamente 5. Una rivolta senza armi, senza bruciare bandiere – memore forse dello storico discorso di Obama al Cairo nel giugno 2009[6] – cui è bastata brandire le scarpe per produrre l’eclissi del dittatore.
Non che siano mancati episodi di violenza (soprattutto nel corso “Venerdì della Collera”, il 28 gennaio): come avvenuto nelle carceri o a danno del patrimonio archeologico. Ma vi sono prove che di questi episodi siano stati responsabili i pretoriani di Mubarak e le sue truppe cammellate, che hanno risposto alla sollevazione popolare con atti di vera criminalità. Il che non rappresenta una novità: il Ministro degli Interni di Mubarak, l’onnipotente Habib Al-Adly, è ora sotto indagine per le bombe esplose alla Chiesa copta di Alessandria il 26 dicembre scorso; e anche gli attentati di Sharm el Sheick del 2005, con 88 vittime tra cui 6 italiani, sarebbero stati organizzati dal regime stesso come svelato dal dossier dei servizi segreti divenuto oggi di dominio pubblico[7]: una vera e propria strategia della tensione, in salsa egiziana, per garantire status e sostegno da parte delle potenze occidentali e dare un ulteriore giro di vite alla repressione di polizia.
L’esercito ha ora il controllo del Paese. Il 5 Marzo sono stati nominati Issam Sharaf come primo Ministro gradito alla piazza, e diversi nuovi ministri in posizione chiave. Entro sei mesi dovrà essere pronta la proposta di una nuova Costituzione e saranno indette le elezioni politiche e quelle presidenziali. Il Paese vive tra speranza e incertezza: diverse categorie di lavoratori sono scese in sciopero chiedendo aumenti salariali e l’allontanamento dei dirigenti direttamente coinvolti con il regime di Mubarak[8]. Molte vertenze sono in corso e le proteste si susseguono nelle piazze e nei posti di lavoro.
Gli uomini dei servizi segreti di Mubarak intanto non demordono e continuano a fomentare incidenti attizzando la tensione interreligiosa e gli scontri tra musulmani e copti.
Così l’Egitto si avvia verso la sua cangiante primavera, gravida di aspettative ma anche di numerose incognite: riuscirà il nuovo Egitto a essere diverso dal precedente, con più democrazia, più giustizia sociale e più opportunità per le donne e i giovani?
Noi speriamo di avere contribuito ad avviare una primavera anche per i servizi di salute mentale, finora incentrati sui grandi ospedali psichiatrici. Proprio il 25 gennaio scorso il nuovo centro di salute mentale di Kobania Abu Keer ha aperto i battenti: con il suo staff multidisciplinare rappresenta il laboratorio di un modello assistenziale integrato che tende a promuovere la riabilitazione psicosociale, la dignità delle persone e il dialogo con le comunità.
- Enrico Materia, Emanuela Forcella, Andrea Gaddini. Salute mentale: l’Egitto a una svolta storica. Saluteinternazionale.info, 07.04.2010
- Wilkinson R, Pickett K. The Spirit Level. Why more equal societies almost always do better. London: Penguin, 2009.
- ‘Ala Al-Aswani. Palazzo Yacoubian. Milano: Feltrinelli, 2006.
- Rodenbeck M. The long wait. A special report on Egypt. The Economist. Jul 15, 2010.
- Spinelli B. L’agorà araba. La Repubblica. 2 marzo 2011.
- Discorso di Obama al Cairo. Testo tradotto in italiano, Blogazione.blogspot.com, 14.06.2009
- Dusi E. C’era Mubarak dietro la strage di Sharm”. La Repubblica, 08, 03, 2011.
- Egitto: lavoratori in sciopero. Nema.news 07.03.2011
La rivoluzione in corso in Egitto – laica, trasversale e interclassista – ribalta molti luoghi comuni propagandati nell’ultimo decennio (lo scontro di civiltà, l’irriducibilità del mondo arabo alla democrazia) e indica che le nuove generazioni dei paesi arabi, facilitate dai social network, possono ottenere più giustizia sociale e maggiori opportunità per le donne e i giovani.
Area: Sistemi sanitari internazionali
Tag: Egitto, sistemi sanitari
Il 25 gennaio scorso è stato inaugurato in Egitto il primo centro di salute mentale di comunità. Il centro, intitolato a Franco Basaglia, è stato aperto a Kobania Abu Keer nell’ambito del progetto Mehenet 1, nel corso di una campagna pubblica contro lo stigma e la discriminazione.
Fino all’ultimo momento non si sapeva se le Autorità avrebbero potuto partecipare: nelle principali città egiziane stava montando la protesta contro il regime di Mubarak. Poi, sotto un grande tendone scenografico, si è svolto l’incontro con le comunità locali e gli operatori: hanno avuto voce, tra gli altri, i leader di comunità e i familiari dei pazienti.
Dalle città intanto arrivavano notizie delle prime spallate alla dittatura (senza virgolette) che per trent’anni ha dominato l’Egitto: un Paese con 80 milioni di abitanti, cuore strategico della Regione e centro della cultura araba.
Il regime di Mubarak era ammantato di democrazia formale, con elezioni farsa e oppositori ridotti al silenzio o in carcere. La crescita economica (con il PIL in aumento tra il 4% e 7,5% l’anno nell’ultimo lustro) ha consentito a un’élite di oligarchi di accumulare enormi ricchezze, con la povertà rimasta endemica e la disoccupazione a due cifre soprattutto tra i giovani. Per le strade del Cairo puoi incontrare macchine con una scritta sul lunotto: “This is my life: no drugs, no women, no work”.
Ha ragione R. Wilkinson: diseguaglianze troppe elevate generano instabilità sociale e non sono sostenibili 2.
L’autocrazia ha alimentato la corruzione (l’Egitto è al 98° posto nella graduatoria di Transparency International) e represso i diritti civili; ciò nonostante è stata blandita dall’Occidente per l’appoggio all’occupazione israeliana dei territori palestinesi (e il controllo della Striscia di Gaza) e per le mani libere concesse alle corporations.
“Palazzo Yacubian” – il bestseller di Ala-Al-Aswani pubblicato nel 2002 – dipingeva vividamente, attraverso il microcosmo di Cairo downtown, l’insostenibile pressione politica e sociale esistente in Egitto 3. E l’Economist il 15 luglio 2010 in un numero titolato “Shifting sands” [Sabbie mobili] descriveva la paralisi politica, l’alienazione dello Stato, la lunga attesa di un cambiamento imminente 4.
La rivolta iniziata il 25 gennaio è trasversale, interclassista, laica, di uomini e donne. Internet, i social network e la TV Al-Jazeera “che riflette e articola il sentimento popolare” sono stati gli strumenti facilitatori della rivoluzione: un ritorno nell’agorà dove i cittadini possono incontrarsi, accudire la cosa pubblica e decidere democraticamente 5. Una rivolta senza armi, senza bruciare bandiere – memore forse dello storico discorso di Obama al Cairo nel giugno 2009 6 – cui è bastata brandire le scarpe per produrre l’eclissi del dittatore.
Non che siano mancati episodi di violenza (soprattutto nel corso “Venerdì della Collera”, il 28 gennaio): come avvenuto nelle carceri o a danno del patrimonio archeologico. Ma vi sono prove che di questi episodi siano stati responsabili i pretoriani di Mubarak e le sue truppe cammellate, che hanno risposto alla sollevazione popolare con atti di vera criminalità. Il che non rappresenta una novità: il Ministro degli Interni di Mubarak, l’onnipotente Habib Al-Adly, è ora sotto indagine per le bombe esplose alla Chiesa copta di Alessandria il 26 dicembre scorso; e anche gli attentati di Sharm el Sheick del 2005, con 88 vittime tra cui 6 italiani, sarebbero stati organizzati dal regime stesso come svelato dal dossier dei servizi segreti divenuto oggi di dominio pubblico 7: una vera e propria strategia della tensione, in salsa egiziana, per garantire status e sostegno da parte delle potenze occidentali e dare un ulteriore giro di vite alla repressione di polizia.
L’esercito ha ora il controllo del Paese. Il 5 Marzo sono stati nominati Issam Sharaf come primo Ministro gradito alla piazza, e diversi nuovi ministri in posizione chiave. Entro sei mesi dovrà essere pronta la proposta di una nuova Costituzione e saranno indette le elezioni politiche e quelle presidenziali. Il Paese vive tra speranza e incertezza: diverse categorie di lavoratori sono scese in sciopero chiedendo aumenti salariali e l’allontanamento dei dirigenti direttamente coinvolti con il regime di Mubarak 8. Molte vertenze sono in corso e le proteste si susseguono nelle piazze e nei posti di lavoro.
Gli uomini dei servizi segreti di Mubarak intanto non demordono e continuano a fomentare incidenti attizzando la tensione interreligiosa e gli scontri tra musulmani e copti.
Così l’Egitto si avvia verso la sua cangiante primavera, gravida di aspettative ma anche di numerose incognite: riuscirà il nuovo Egitto a essere diverso dal precedente, con più democrazia, più giustizia sociale e più opportunità per le donne e i giovani?
Noi speriamo di avere contribuito ad avviare una primavera anche per i servizi di salute mentale, finora incentrati sui grandi ospedali psichiatrici. Proprio il 25 gennaio scorso il nuovo centro di salute mentale di Kobania Abu Keer ha aperto i battenti: con il suo staff multidisciplinare rappresenta il laboratorio di un modello assistenziale integrato che tende a promuovere la riabilitazione psicosociale, la dignità delle persone e il dialogo con le comunità.
Bibliografia
http://saluteinternazionale.info/2010/04/salute-mentale-l%e2%80%99egitto-a-una-svolta-storica/
Wilkinson R, Pickett K. The Spirit Level. Why more equal societies almost always do better. London: Penguin, 2009.
‘Ala Al-Aswani. Palazzo Yacoubian. Milano: Feltrinelli, 2006.
Rodenbeck M. The long wait. A special report on Egypt. The Economist. Jul 15, 2010.
Spinelli B. L’agorà araba. La Repubblica. 2 marzo 2011.
http://blogazione.blogspot.com/2009/06/discorso-di-obama-al-cairo-testo.html
Dusi E. “C’era Mubarak dietro la strage di Sharm”. La Repubblica, 8 Marzo 2011.
Egitto: lavoratori in sciopero. http://www.nena-news.com 7 Marzo 2011.
“De l’homme à l’homme vrai, le chemin passe par l’homme fou”. Foucault