Primavera egiziana

Enrico Materia
La rivoluzione in corso in Egitto – laica, trasversale e interclassista – ribalta molti luoghi comuni propagandati nell’ultimo decennio (lo scontro di civiltà, l’irriducibilità del mondo arabo alla democrazia) e indica che le nuove generazioni dei paesi arabi, facilitate dai social network, possono ottenere più giustizia sociale e maggiori opportunità per le donne e i giovani.


Il 25 gennaio scorso è stato inaugurato in Egitto il primo centro di salute mentale di comunità. Il centro, intitolato a Franco Basaglia, è stato aperto a Kobania Abu Keer nell’ambito del progetto Mehenet[1], nel corso di una campagna pubblica contro lo stigma e la discriminazione.
Fino all’ultimo momento non si sapeva se le Autorità avrebbero potuto partecipare: nelle principali città egiziane stava montando la protesta contro il regime di Mubarak. Poi, sotto un grande tendone scenografico, si è svolto l’incontro con le comunità locali e gli operatori: hanno avuto voce, tra gli altri, i leader di comunità e i familiari dei pazienti.

Dalle città intanto arrivavano notizie delle prime spallate alla dittatura (senza virgolette) che per trent’anni ha dominato l’Egitto: un Paese con 80 milioni di abitanti, cuore strategico della Regione e centro della cultura araba.

Il regime di Mubarak era ammantato di democrazia formale, con elezioni farsa e oppositori ridotti al silenzio o in carcere. La crescita economica (con il PIL in aumento tra il 4% e 7,5% l’anno nell’ultimo lustro) ha consentito a un’élite di oligarchi di accumulare enormi ricchezze, con la povertà rimasta endemica e la disoccupazione a due cifre soprattutto tra i giovani. Per le strade del Cairo puoi incontrare macchine con una scritta sul lunotto: “This is my life: no drugs, no women, no work”.
Ha ragione R. Wilkinson: diseguaglianze troppe elevate generano instabilità sociale e non sono sostenibili[2].
L’autocrazia ha alimentato la corruzione (l’Egitto è al 98° posto nella graduatoria di Transparency International) e represso i diritti civili; ciò nonostante è stata blandita dall’Occidente per l’appoggio all’occupazione israeliana dei territori palestinesi (e il controllo della Striscia di Gaza) e per le mani libere concesse alle corporations.

“Palazzo Yacubian” – il bestseller di Ala-Al-Aswani pubblicato nel 2002 – dipingeva vividamente, attraverso il microcosmo di Cairo downtown, l’insostenibile pressione politica e sociale esistente in Egitto[3]. E l’Economist il 15 luglio 2010 in un numero titolato “Shifting sands” [Sabbie mobili] descriveva la paralisi politica, l’alienazione dello Stato, la lunga attesa di un cambiamento imminente[4].

La rivolta iniziata il 25 gennaio è trasversale, interclassista, laica, di uomini e donne. Internet, i social network e la TV Al-Jazeera “che riflette e articola il sentimento popolare” sono stati gli strumenti facilitatori della rivoluzione: un ritorno nell’agorà dove i cittadini possono incontrarsi, accudire la cosa pubblica e decidere democraticamente 5. Una rivolta senza armi, senza bruciare bandiere – memore forse dello storico discorso di Obama al Cairo nel giugno 2009[6] – cui è bastata brandire le scarpe per produrre l’eclissi del dittatore.

Non che siano mancati episodi di violenza (soprattutto nel corso “Venerdì della Collera”, il 28 gennaio): come avvenuto nelle carceri o a danno del patrimonio archeologico. Ma vi sono prove che di questi episodi siano stati responsabili i pretoriani di Mubarak e le sue truppe cammellate, che hanno risposto alla sollevazione popolare con atti di vera criminalità. Il che non rappresenta una novità: il Ministro degli Interni di Mubarak, l’onnipotente Habib Al-Adly, è ora sotto indagine per le bombe esplose alla Chiesa copta di Alessandria il 26 dicembre scorso; e anche gli attentati di Sharm el Sheick del 2005, con 88 vittime tra cui 6 italiani, sarebbero stati organizzati dal regime stesso come svelato dal dossier dei servizi segreti divenuto oggi di dominio pubblico[7]: una vera e propria strategia della tensione, in salsa egiziana, per garantire status e sostegno da parte delle potenze occidentali e dare un ulteriore giro di vite alla repressione di polizia.

L’esercito ha ora il controllo del Paese. Il 5 Marzo sono stati nominati Issam Sharaf come primo Ministro gradito alla piazza, e diversi nuovi ministri in posizione chiave. Entro sei mesi dovrà essere pronta la proposta di una nuova Costituzione e saranno indette le elezioni politiche e quelle presidenziali. Il Paese vive tra speranza e incertezza: diverse categorie di lavoratori sono scese in sciopero chiedendo aumenti salariali e l’allontanamento dei dirigenti direttamente coinvolti con il regime di Mubarak[8]. Molte vertenze sono in corso e le proteste si susseguono nelle piazze e nei posti di lavoro.
Gli uomini dei servizi segreti di Mubarak intanto non demordono e continuano a fomentare incidenti attizzando la tensione interreligiosa e gli scontri tra musulmani e copti.

Così l’Egitto si avvia verso la sua cangiante primavera, gravida di aspettative ma anche di numerose incognite: riuscirà il nuovo Egitto a essere diverso dal precedente, con più democrazia, più giustizia sociale e più opportunità per le donne e i giovani?

Noi speriamo di avere contribuito ad avviare una primavera anche per i servizi di salute mentale, finora incentrati sui grandi ospedali psichiatrici. Proprio il 25 gennaio scorso il nuovo centro di salute mentale di Kobania Abu Keer ha aperto i battenti: con il suo staff multidisciplinare rappresenta il laboratorio di un modello assistenziale integrato che tende a promuovere la riabilitazione psicosociale, la dignità delle persone e il dialogo con le comunità.

 

Bibliografia

  1. Enrico Materia, Emanuela Forcella, Andrea Gaddini. Salute mentale: l’Egitto a una svolta storica. Saluteinternazionale.info, 07.04.2010
  2. Wilkinson R, Pickett K. The Spirit Level. Why more equal societies almost always do better. London: Penguin, 2009.
  3. ‘Ala Al-Aswani. Palazzo Yacoubian. Milano: Feltrinelli, 2006.
  4. Rodenbeck M. The long wait. A special report on Egypt. The Economist. Jul 15, 2010.
  5. Spinelli B. L’agorà araba. La Repubblica. 2 marzo 2011.
  6. Discorso di Obama al Cairo. Testo tradotto in italiano, Blogazione.blogspot.com, 14.06.2009
  7. Dusi E. C’era Mubarak dietro la strage di Sharm”. La Repubblica, 08, 03, 2011.
  8. Egitto: lavoratori in sciopero. Nema.news 07.03.2011

 

La rivoluzione in corso in Egitto laica, trasversale e interclassista ribalta molti luoghi comuni propagandati nell’ultimo decennio (lo scontro di civiltà, l’irriducibilità del mondo arabo alla democrazia) e indica che le nuove generazioni dei paesi arabi, facilitate dai social network, possono ottenere più giustizia sociale e maggiori opportunità per le donne e i giovani.

 

Area: Sistemi sanitari internazionali

Tag: Egitto, sistemi sanitari

 

Il 25 gennaio scorso è stato inaugurato in Egitto il primo centro di salute mentale di comunità. Il centro, intitolato a Franco Basaglia, è stato aperto a Kobania Abu Keer nell’ambito del progetto Mehenet 1, nel corso di una campagna pubblica contro lo stigma e la discriminazione.

Fino all’ultimo momento non si sapeva se le Autorità avrebbero potuto partecipare: nelle principali città egiziane stava montando la protesta contro il regime di Mubarak. Poi, sotto un grande tendone scenografico, si è svolto l’incontro con le comunità locali e gli operatori: hanno avuto voce, tra gli altri, i leader di comunità e i familiari dei pazienti.

Dalle città intanto arrivavano notizie delle prime spallate alla dittatura (senza virgolette) che per trent’anni ha dominato l’Egitto: un Paese con 80 milioni di abitanti, cuore strategico della Regione e centro della cultura araba.

Il regime di Mubarak era ammantato di democrazia formale, con elezioni farsa e oppositori ridotti al silenzio o in carcere. La crescita economica (con il PIL in aumento tra il 4% e 7,5% l’anno nell’ultimo lustro) ha consentito a un’élite di oligarchi di accumulare enormi ricchezze, con la povertà rimasta endemica e la disoccupazione a due cifre soprattutto tra i giovani. Per le strade del Cairo puoi incontrare macchine con una scritta sul lunotto: “This is my life: no drugs, no women, no work”.

Ha ragione R. Wilkinson: diseguaglianze troppe elevate generano instabilità sociale e non sono sostenibili 2.

L’autocrazia ha alimentato la corruzione (l’Egitto è al 98° posto nella graduatoria di Transparency International) e represso i diritti civili; ciò nonostante è stata blandita dall’Occidente per l’appoggio all’occupazione israeliana dei territori palestinesi (e il controllo della Striscia di Gaza) e per le mani libere concesse alle corporations.

Palazzo Yacubian” – il bestseller di Ala-Al-Aswani pubblicato nel 2002 – dipingeva vividamente, attraverso il microcosmo di Cairo downtown, l’insostenibile pressione politica e sociale esistente in Egitto 3. E l’Economist il 15 luglio 2010 in un numero titolato “Shifting sands” [Sabbie mobili] descriveva la paralisi politica, l’alienazione dello Stato, la lunga attesa di un cambiamento imminente 4.

La rivolta iniziata il 25 gennaio è trasversale, interclassista, laica, di uomini e donne. Internet, i social network e la TV Al-Jazeera “che riflette e articola il sentimento popolare” sono stati gli strumenti facilitatori della rivoluzione: un ritorno nell’agorà dove i cittadini possono incontrarsi, accudire la cosa pubblica e decidere democraticamente 5. Una rivolta senza armi, senza bruciare bandiere – memore forse dello storico discorso di Obama al Cairo nel giugno 2009 6 – cui è bastata brandire le scarpe per produrre l’eclissi del dittatore.

Non che siano mancati episodi di violenza (soprattutto nel corso “Venerdì della Collera”, il 28 gennaio): come avvenuto nelle carceri o a danno del patrimonio archeologico. Ma vi sono prove che di questi episodi siano stati responsabili i pretoriani di Mubarak e le sue truppe cammellate, che hanno risposto alla sollevazione popolare con atti di vera criminalità. Il che non rappresenta una novità: il Ministro degli Interni di Mubarak, l’onnipotente Habib Al-Adly, è ora sotto indagine per le bombe esplose alla Chiesa copta di Alessandria il 26 dicembre scorso; e anche gli attentati di Sharm el Sheick del 2005, con 88 vittime tra cui 6 italiani, sarebbero stati organizzati dal regime stesso come svelato dal dossier dei servizi segreti divenuto oggi di dominio pubblico 7: una vera e propria strategia della tensione, in salsa egiziana, per garantire status e sostegno da parte delle potenze occidentali e dare un ulteriore giro di vite alla repressione di polizia.

 

L’esercito ha ora il controllo del Paese. Il 5 Marzo sono stati nominati Issam Sharaf come primo Ministro gradito alla piazza, e diversi nuovi ministri in posizione chiave. Entro sei mesi dovrà essere pronta la proposta di una nuova Costituzione e saranno indette le elezioni politiche e quelle presidenziali. Il Paese vive tra speranza e incertezza: diverse categorie di lavoratori sono scese in sciopero chiedendo aumenti salariali e l’allontanamento dei dirigenti direttamente coinvolti con il regime di Mubarak 8. Molte vertenze sono in corso e le proteste si susseguono nelle piazze e nei posti di lavoro.

Gli uomini dei servizi segreti di Mubarak intanto non demordono e continuano a fomentare incidenti attizzando la tensione interreligiosa e gli scontri tra musulmani e copti.

Così l’Egitto si avvia verso la sua cangiante primavera, gravida di aspettative ma anche di numerose incognite: riuscirà il nuovo Egitto a essere diverso dal precedente, con più democrazia, più giustizia sociale e più opportunità per le donne e i giovani?

 

Noi speriamo di avere contribuito ad avviare una primavera anche per i servizi di salute mentale, finora incentrati sui grandi ospedali psichiatrici. Proprio il 25 gennaio scorso il nuovo centro di salute mentale di Kobania Abu Keer ha aperto i battenti: con il suo staff multidisciplinare rappresenta il laboratorio di un modello assistenziale integrato che tende a promuovere la riabilitazione psicosociale, la dignità delle persone e il dialogo con le comunità.

 

 

Bibliografia

  1. http://saluteinternazionale.info/2010/04/salute-mentale-l%e2%80%99egitto-a-una-svolta-storica/

  2. Wilkinson R, Pickett K. The Spirit Level. Why more equal societies almost always do better. London: Penguin, 2009.

  3. Ala Al-Aswani. Palazzo Yacoubian. Milano: Feltrinelli, 2006.

  4. Rodenbeck M. The long wait. A special report on Egypt. The Economist. Jul 15, 2010.

  5. Spinelli B. L’agorà araba. La Repubblica. 2 marzo 2011.

  6. http://blogazione.blogspot.com/2009/06/discorso-di-obama-al-cairo-testo.html

  7. Dusi E. “C’era Mubarak dietro la strage di Sharm”. La Repubblica, 8 Marzo 2011.

  8. Egitto: lavoratori in sciopero. http://www.nena-news.com 7 Marzo 2011.

 

 

 

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