Per favore, (NON) lasciate l’OMS fuori da questioni politiche!
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- 20 Maggio 2011
Chiara Bodini, Ilaria Camplone
Negli ultimi tre giorni, l’Assemblea ha discusso in diversi momenti una risoluzione sulle condizioni di salute nel territorio palestinese occupato – inclusa Gerusalemme est – e nel Golan siriano occupato.
In vista di ciò, cinque rapporti sono stati presentati dalle parti in causa: accanto al rapporto del Segretariato dell’OMS – che è purtroppo stato reso disponibile soltanto il giorno prima dell’apertura dei lavori – quelli preparati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) dei profughi palestinesi nel vicino oriente, dall’Autorità Nazionale Palestinese, da Israele e dalla Siria.
In un clima piuttosto teso si sono aperti i lavori della Commissione B sulla bozza di risoluzione, presentata dal Libano a nome dei PaesiArabi e dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Nel documento, la crisi sanitaria ed economica viene principalmente attribuita all’occupazione Israeliana e alla dura limitazione della libertà di movimento che asfissia i territori. Come evidenziato anche dal rapporto del Segretariato, le restrizioni imposte da Israele ostacolano lo sviluppo socio-economico e costituiscono la prima limitazione alle cure. Sono indicati come particolarmente critici gli ostacoli fisici e burocratici per accedere alle strutture sanitarie di Gerusalemme Est, le sole che erogano cure terziare alla popolazione palestinese. Viene inoltre deplorato il blocco imposto su Gaza, responsabile di una vera e propria crisi umanitaria e reo di minare la sopravvivenza del sistema sanitario, già pesantemente danneggiato dall’attacco militare israeliano alla fine del 2008. In riferimento alle condizioni dei siriani che vivono nelle alture del Golan, si riconosce la discriminazione che subiscono nell’accesso ai servizi sanitari.
La risoluzione chiede alla potenza occupante di porre fine all’occupazione e agli ostacoli imposti al movimento dei palestinesi, soprattutto in relazione all’accesso ai servizi sanitari. La comunità internazionale è invece chiamata a vigilare perché Israele rispetti le leggi internazionali e i diritti umani e assolva alla sua responsabilità legale di garantire le cure alle popolazioni occupate, come previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra e dal Diritto Umanitario Internazionale. Il documento chiede infine all’OMS di continuare a supportare il servizio sanitario palestinese.
La discussione che ne è seguita ha visto il blocco dei Paesi Arabi appoggiare la risoluzione, insieme ad alcuni Paesi dell’Africa e a molti dell’America Latina. Tra questi, Cuba è intervenuta indicando la presenza delle colonie israeliane, e la conseguente frammentazione del territorio palestinese occupato, come la principale causa strutturale della crisi sociale, sanitaria ed economica che affligge la popolazione. Molti Paesi si sono astenuti, tra cui tutti i membri dell’Unione Europea, e molti hanno semplicemente abbandonato l’aula. Prevedibilmente i Paesi del Commonwealth hanno votato contro, insieme a Israele, con una sottolineatura – da parte degli Stati Uniti – dei finanziamenti annuali accordati all’UNRWA e all’Autorità Palestinese. Il discorso statunitense è proseguito in supporto all’argomentazione già avanzata da Israele, secondo cui l’Assemblea Mondiale della Sanità non è il luogo per discutere le condizioni di salute di una singola popolazione, dovendo essa occuparsi di problemi di salute globale e non di “natura politica”. Nonostante gli appelli congiunti di Israele e USA a “mantenere l’Assemblea libera da questioni politiche”, la risoluzione è stata approvata.
La questione palestinese non è l’unica in cui in questi giorni, con buona pace degli appelli di alcuni Paesi, la natura intrinsecamente politica delle discussioni nell’Assemblea è emersa in modo inequivocabile.
Cuba e Stati Uniti sono stati protagonisti anche ieri, in un clima che forse è solo la sbiadita immagine di ciò che era un tempo, di uno scambio vivace sul tema dei finanziamenti per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, con accuse da parte cubana di una riduzione dei fondi promessi e di ostacoli posti all’accessibilità dei farmaci, e la difesa statunitense incentrata sull’inappropriatezza della sede per trattare di questioni politiche.
Un dibattito interessante non tanto per la sua natura specifica, quanto perché rappresenta la traccia di una “faglia” che ancora attraversa l’OMS, tra Paesi che la vorrebbero ridotta ad agenzia di supporto tecnico ed altri che sperano/operano perché resti (o torni ad essere) un forum dedicato alla discussione – e alla risoluzione – collettiva dei problemi di salute mondiali e delle radici che essi hanno nel più ampio quadro economico, politico e sociale.
La discussione che sia apre oggi sulle malattie non trasmissibili, ormai dichiarate pandemia globale, sarà in questo senso da seguire attentamente. Le cause sociali di tali patologie, a loro volta discendenti da scelte politiche, sono innegabili e ampiamente riconosciute: quanto l’Assemblea deciderà di “risalire” la catena di causalità e affrontarne i determinanti strutturali – tra cui il potente ruolo dell’industria – resta una domanda aperta.
Chiara Bodini, Ilaria Camplone. Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale, Università di Bologna.