Determinanti sociali della salute e diritti umani: dalla retorica alla pratica quotidiana

Angelo Stefanini

È necessario un uso più pragmatico ed efficace dello strumento dei diritti umani  per richiamare le responsabilità legali, oltre che etiche e politiche, degli Stati.


Dal 17 al 21 ottobre a Rio de Janeiro (Brasile) si incontrano centinaia di delegati, ministri della salute, organizzazioni internazionali, attivisti e ONG per rilanciare i principi enunciati nel Rapporto della Commissione della Organizzazione Mondiale della Sanità sui Determinanti Sociali della Salute “Closing the Gap in a Generation” e condividere esperienze su come intervenire nella pratica per ridurre le disuguaglianze.

Come denunciato dal Rapporto, la globalizzazione neoliberista ha un impatto drammatico sui determinanti sociali della salute umana attraverso i suoi effetti iniqui sulla distribuzione di potere e risorse, sui mercati del lavoro, sulla struttura sociale e le politiche nazionali, sui mercati e i flussi finanziari[1]. L’attuale profonda crisi del sistema capitalistico mondiale  rende necessaria l’elaborazione di strumenti concettuali e di prassi operative che possano offrire alternative sostenibili a quanto descritto dall’ex primo ministro britannico, signora Thatcher, con l’acronimo TINA (There Is No Alternative).

Se da un parte uno degli effetti positivi della globalizzazione è stata la progressiva diffusione a tutti i livelli del linguaggio dei diritti umani, dall’altra tale strumento concettuale non sembra avere ancora messo in grado gli Stati nazionali di assicurare alcuni di questi diritti, a cominciare da quello alla salute, alla propria popolazione. L’incapacità o meglio la non volontà dei governi di affrontare la crisi economica a favore della popolazione e non della classe dominante non ha finora indotto i movimenti di massa a esigere dai propri governi il “rispetto, la protezione e la piena realizzazione” dei diritti umani fondamentali, compreso il diritto alla salute.
Eppure tali diritti sono sanciti da accordi internazionali (in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e i due Patti Internazionali, uno sui Diritti Civili e Politici, l’altro sui Diritti Sociali, Economici e Culturali) formalmente sottoscritti dalla maggioranza degli Stati.
La stessa Commissione sui Determinanti Sociali della Salute dell’OMS è stata criticata per non avere sufficientemente esplorato le possibilità fornite dal paradigma dei diritti umani di agire sui determinanti sociali e promuovere maggiore equità nella salute[2]. È stata persa un’altra occasione, ha affermato qualcuno, di dotarsi di uno strumento potenzialmente efficace per attenuare le conseguenze sulla salute della globalizzazione economica.

A questo scopo, su vari fronti si comincia a proporre un uso più pragmatico ed efficace dello strumento dei diritti umani intesi sia come paradigma concettuale per analizzare i rapporti all’interno della società umana sia come strumento giuridico (a partire dalla Legislazione Internazionale) che disciplini le responsabilità legali, oltre che etiche e politiche, degli Stati.  Troppo spesso finora, infatti, il semplice appello ai diritti umani come base universale per la soddisfazione dei bisogni umani fondamentali ha mancato di ottenere risultati concreti e di stimolare l’azione. Ciò è dipeso probabilmente anche dall’opera di de-politicizzazione del concetto di diritti umani presentati come una causa umanitaria disgiunta da un discorso politico fondato su giustizia sociale e uguaglianza, e come alternativa alquanto improbabile per raggiungere risultati concreti. L’immagine dei diritti umani ha finito quindi per venire ‘spiritualizzata’, una bella utopia a cui aspirare ma, ahimè, irraggiungibile.

In che cosa consiste in pratica il paradigma dei diritti umani? I diritti umani riguardano la garanzia offerta alle persone, in quanto esseri umani, di esercitare le libertà civili e politiche e soddisfare l’intera gamma dei bisogni sociali, economici e culturali. Tale garanzia è assicurata dallo Stato che ha il dovere non soltanto di rispettare i diritti elencati nelle dichiarazioni e negli accordi internazionali da esso sottoscritti, ma anche di proteggere le persone da possibili violazioni da parte di altri soggetti (ad esempi le multinazionali, le istituzioni finanziarie, ecc.). Lo Stato ha inoltre anche l’obbligo di assumere iniziative o istituire politiche che promuovano attivamente i diritti delle persone.

I diritti contenuti nella legislazione internazionale diventano esigibili a livello nazionale all’interno dei singoli Stati al momento della ratificazione. Con tale atto lo Stato si impegna a incorporare nella propria legislazione nazionale i diritti sanciti in quella internazionale.  Soprattutto nel caso dei diritti socio-economici, la legislazione internazionale riconosce che uno Stato inadempiente possa addurre ragioni di ristrettezza economica offrendogli la possibilità di una “realizzazione progressiva” degli obblighi assunti.  In questo caso tuttavia lo Stato deve compiere attente e motivate scelte prioritarie con l’obbligo di assicurare a tutta la popolazione la soddisfazione di almeno un minimo (“minimum core content”) di diritti[3].

Lo spettacolo offertoci in questi mesi da governi scrupolosamente ligi al rispetto di un’ortodossia economica che condanna a miseria e disoccupazione gran parte della popolazione stride amaramente con la realtà degli obblighi, solennemente assunti da quegli stessi governi nel consesso internazionale, al rispetto e alla protezione dei diritti umani, in particolare quelli economici e sociali.

Come è possibile rendere effettivamente esigibili questi diritti – a cominciare dal diritto alla salute – elencati come semplici principi negli articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948? È importante innanzitutto sottolineare che, nonostante la Dichiarazione Universale non abbia poteri vincolanti nei confronti degli Stati contraenti, i successivi Patti Internazionali, l’uno sui Diritti Civili e Politici, l’altro sui Diritti Sociali, Economici e Culturali compensano a questa mancanza. Visto che la non esigibilità di questi diritti è in pratica dovuta alla impunità di cui godono gli Stati inadempienti e alla incapacità della comunità internazionale di imporre effettive sanzioni, come costringere i colpevoli a rendere conto del proprio operato?

Un aspetto fondamentale della forza dei diritti sta nella loro natura giuridica oltre che morale[4]. Il concetto di responsabilità o del “rendere conto della propria condotta” ha bisogno di meccanismi che lo rendano operativo. Soltanto 160 Paesi, dei 193 appartenenti alle Nazioni Unite, hanno ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Sociali, Economici e Culturali. Di questi, 56 riconoscono legalmente l’esistenza del diritto alla salute. Molti governi hanno inserito i diritti umani nella propria legislazione nazionale in modo tale che una persona che si ritenga danneggiata può ottenere l’intervento del tribunale. Tale modalità tuttavia, non è sempre sufficiente. L’impatto politico della ratificazione dei trattati sui diritti umani dipende in primo luogo dalla forza delle istituzioni politiche nazionali e dal ruolo delle organizzazioni della società civile.  La capacità di mettere lo Stato, o qualsiasi altro portatore di obblighi, di fronte alle proprie responsabilità richiede la messa in atto di processi in grado di mobilitare e capacitare la gente comune ad impegnarsi nell’azione sociale e politica. L’esempio più eclatante è forse quello del Sudafrica dove fu grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica da parte del TAC (Treatment Action Campaign) a favore dei diritti delle persone con HIV che si giunse nel 2002 alla decisione della Corte Costituzionale che imponeva allo Stato di rendere accessibile a tutti il trattamento antiretrovirale per la prevenzione della trasmissione del virus da madre a figlio.

 

Oltre ai meccanismi legali, particolarmente efficaci quando la legislazione nazionale ha incorporato il messaggio dei diritti umani, è possibile promuovere equità nella salute anche attraverso altre modalità e su altri fronti facendo uso del paradigma dei diritti umani.  È frequente, ad esempio, udire un governo giustificare le proprie scelte economiche con la ineluttabilità della globalizzazione e il progressivo passaggio di potere decisionale dallo Stato nazionale alle istituzioni di governance transnazionale (come Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio).  Il paradosso insito in tali argomentazioni è che se da una parte questi Stati sostengono di essere incapaci di opporsi allo strapotere delle istituzioni finanziarie e commerciali internazionali, dall’altra sono in grado di resistere molto bene alle pressioni internazionali quando si tratta di diritti umani. È la stessa storia che si ripete dagli anni dell’aggiustamento strutturale e continua tuttora con il ripianamento del debito pubblico a spese di milioni di posti di lavoro, di scuole superaffollate e ticket sanitari.

 

L’uso del paradigma dei diritti umani nello valutare l’impatto delle politiche pubbliche sui diritti umani e in particolare sul diritto alla salute può essere utile a mobilitare la società civile contro gli effetti nefasti della globalizzazione neoliberista[5]. In mancanza di tale mobilitazione di diritti umani continueranno a parlarne ancora soltanto gli addetti ai lavori.

 

Angelo Stefanini, Centro Salute Internazionale, Alma Mater Università di Bologna

 

Bibliografia

  1. Chapman AR. (2009) Globalization, human rights and the social determinants of health. Bioethics, 23(2):97-111.
  2. Schrecker T et al. (2010) Advancing health equity in the global marketplace: How human rights can help. Social Science and Medicine, 71:1520-6.
  3.  London L and Schneider H. (2011) Globalisation and health inequalities: Can a human rights paradigm create space for civil society action? Social Science and Medicine, doi: 10.1016/j.socscimed.2011.03.022
  4. Yamin AE (2008) Beyond compassion: the central role of accountability in applying a human rights framework to health. Health and Human Rights, 10(2):1-20.
  5. Hammonds R, Ooms G. (2004) World Bank policies and the obligation of its members to respect, protect and fulfill the right to health. Health and Human Rights, 8(1):27-60.

 

 

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