La morte in utero

Guglielmo Riva

I casi di morte endouterina del feto dopo la 28° settimana di gestazione sono almeno 2,6 milioni l’anno. La maggior parte avviene nell’Africa sub Sahariana e nel sud Asia. Il Lancet affronta il problema.


The Lancet  ha lanciato nell’aprile del 2011 un’iniziativa di sensibilizzazione e informazione sulla morte in utero  attraverso una Serie di articoli, ricerche e commenti  selezionati da un comitato guida internazionale di esperti e ricercatori. Contenuti e obiettivi dell’iniziativa sono illustrati nel commento di Mullan e Horton[1] che introduce la Serie e presenta i principali ambiti di lavoro, le prospettive per la ricerca e gli indirizzi per le strategie di salute globale[1].

Il commento di Mullan e Horton

I casi di morte endouterina del feto dopo la 28° settimana di gestazione sono almeno 2.6  milioni l’anno. La grande maggioranza delle  morti in utero avviene  in Africa sub Sahariana e  nel sud Asia in contesti nei quali l’assistenza di personale qualificato è limitata a meno del 50 % dei parti e la percentuale dei cesarei è al disotto del 3 %.

Per le madri o i genitori, la morte di un bambino in utero è una tragedia. Per gli operatori di sanità pubblica la prevenzione della morte in utero dovrebbe meritare lo stesso grado di priorità assegnato alla prevenzione della morte materna e neonatale. Si verifica tuttavia che, mentre il monitoraggio sulla salute materno-infantile si rafforza ovunque, la morte in utero non gode della stessa considerazione e le statistiche vitali di molti paesi non ne riportano neppure i dati.

Per la definizione della morte in utero la maggior parte dei Paesi adotta l’età gestazionale raccomandata dall’OMS (dopo 28° settimana), altri adottano periodi di gestazione minori in considerazione delle crescenti possibilità di sopravvivenza di prematuri a partire dalla 22° settimana di gestazione. Esiste inoltre uno sconcertante numero di sistemi di classificazione (35 pubblicati) delle cause di morte in utero che rende praticamente impossibile l’indagine e la comparazione tra diversi paesi.

Gli autori concludono  l’editoriale (vedi risorsa) affermando che è diritto di ogni donna di avere un aborto sicuro, qualora necessario, ma anche di avere la registrazione accurata di casi di morte in utero allo scopo di migliorarne la conoscenza ed eventualmente prevenirne l’insorgenza  in futuro. Tra le proposte di intervento vi è quella di istituire un sistema di classificazione universale delle cause di morte in utero  che parta dalla distinzione preliminare tra la morte ante parto e la morte intra parto.

Dagli altri articoli della serie

Le morti in utero sono importanti per le famiglie e le società[2],  tuttavia una gran parte delle morti in utero non sono registrate anche a causa di attitudini fataliste e di retaggi culturali che tendono anche ad attribuire alla madre colpa e stigma per la perdita del bambino.  Studi recenti dimostrano che negli ultimi quindici anni la diminuzione delle morti in utero è più lenta della diminuzione delle morti materne e neonatali[3]. È necessario fare luce sul problema della morte in utero e promuovere politiche sanitarie e sociali che consentano di affrontarlo adeguatamente.

Circa 1,2 milioni di morti l’anno (su almeno 2,6 milioni a livello mondiale) avvengono durante il travaglio e il parto e sono direttamente correlate  alla qualità dell’assistenza al parto. Per prevenire le morti ante parto (1,4 milioni l’anno) esistono interventi di provata efficacia e basso costo. Le principali cause di morte in utero sono nell’ordine:

  1. complicazioni del parto;
  2. infezioni in gravidanza;
  3. patologie quali ipertensione e diabete;
  4. ritardo di crescita del feto;
  5. malattie congenite[2].

Nigeria e Pakistan presentano i tassi di morte in utero più alti (rispettivamente 42 e 46 per mille nascite), Finlandia e Singapore presentano i tassi più bassi (2 per mille). Il rischio di una morte in utero per una donna africana è di 24 volte superiore a quello di una donne dei Paesi ad alto reddito[4].  La informazione e i dati sulle morti in utero e gli esiti delle gravidanze potrebbero essere migliorati con l’adozione di un sistema di registrazione semplice e standardizzato sulle  cause di morte. Le agenzie internazionali potrebbero assistere i paesi per migliorare il sistema di registro e  la raccolta dei dati.

Gli interventi di sanità pubblica per salvare madri, neonati e prevenire la morte in utero sono noti, strettamente collegati e, in buona parte, già inseriti nei piani sanitari dei Paesi che, tuttavia  non garantiscono la copertura universale dei servizi né gli standard di qualità dell’assistenza. Uno studio incluso nella Serie[5] propone 10 misure di provata efficacia stimandone gli effetti in termine di riduzione della mortalità in utero entro il 2015 ipotizzando la copertura universale della popolazione nei Paesi a basso e medio reddito con i più alti tassi di morte in utero (vedi successiva Tabella 1). Gli effetti dei dieci interventi potrebbero essere ulteriormente incrementati se associati a misure di prevenzione del rischio prima della gravidanza (prevenzione dell’obesità, miglioramento dello stato di nutrizione, cessazione del fumo, prevenzione delle mutilazioni genitali, spazio temporale tra le gravidanze).  Per il raggiungimento dei risultati attesi è fondamentale anche la qualità dell’assistenza e in particolare la realizzazione di un continuum dell’assistenza dalla consulenza preconcezionale sino alla assistenza dopo la nascita garantendo altresì un efficace collegamento tra assistenza territoriale e ospedaliera. Il rapido declino delle morti in utero nei paesi industrializzati accompagnata da una contemporanea riduzione della mortalità materna e neonatale a partire dal 1940 chiaramente dimostra che analoghi risultati possano essere perseguiti in paesi a reddito basso e intermedio[6,7].

Tabella 1. Interventi di provata  efficacia e stima della riduzione delle morti in utero nel 2015

InterventiRiduzione % morte in utero
Integrazione periconcezionale di acido folico1,2
Zanzariere trattate e trattamento preventivo intermittente della malaria3,0
Diagnosi e trattamento della sifilide6,0
Diagnosi e trattamento dell’ipertensione in gravidanza2,8
Diagnosi e trattamento del diabete gestazionale1,1
Diagnosi e trattamento del ritardo di crescita intrauterina4,8
Induzione del parto  in  gravidanze oltre la 41° settimana2,3
Assistenza al parto eutocico e cure immediate per il neonato7,0
Cure ostetriche di emergenza16,5
Cure ostetriche di emergenza avanzate31,1

Sono state proposte liste di ambiti prioritari di ricerca sulla morte in utero per i Paesi industrializzati e per i Paesi a basso e medio reddito. Per questi ultimi si propongono ambiti di ricerca legati al miglioramento delle cure quali:

  1. adattamento e crescente impiego degli interventi clinici più efficaci  per le cure intraparto incluse norme e indicazioni per il taglio cesareo;
  2. adozione e implementazione di linee guida  più efficaci per le cure anteparto inclusa prevenzione, diagnosi e trattamento delle infezioni in gravidanza;
  3. adozione di programmi efficaci di miglioramento delle qualità dei servizi inclusa l’investigazione sui decessi per stimolare il cambiamento;
  4. valutazione di efficacia e sostenibilità delle iniziative di mobilitazione delle comunità per le modifiche di comportamento e per il miglior utilizzo dei servizi.

Sono altresì raccomandate attività per incrementare la conta delle morti in utero attraverso le statistiche vitali, indagini familiari e sistemi di sorveglianza; per promuovere una classificazione semplificata delle morti in utero utili alla realizzazione dei programmi di sanità pubblica incluse le “autopsie verbali” in contesti di scarse risorse[5,7,8].

Le prospettive per il prossimo decennio (entro il 2020) sono la riduzione del 50 % della morti in utero per i Paesi con mortalità superiore a 5 per mille nati vivi. Per i Paesi con tasso di mortalità in utero inferiore al 5 per mille le prospettive sono la eliminazione di tutte le morti prevenibili e la riduzione del rischio derivante da disuguaglianze socio economiche. Per ottenere i risultati citati si lancia un appello a tutte le istituzioni coinvolte per chiedere quanto segue:

  1. Alla comunità internazionale
    • la inclusione della morte in utero nelle iniziative di rilievo sulla salute materno infantile e nei report sanitari
    • la raccolta e diffusione dei tassi di morte in utero e relative cause
    • la creazione di un sistema universale di classificazione delle cause di morte in utero
    • la formulazione di modelli di intervento per ridurre la morte in utero che prevedano finanziamento pubblico e privato
  2. Ai singoli  Paesi
    • la formulazione di piani per la riduzione della morte in utero collegati ai programmi di salute materno-infantile
    • la accurata raccolta e diffusione dei tassi di morte in utero e relative cause
    • la misura delle differenze nei tassi di morte in utero in diverse aree geografiche o gruppi etnici
    • la riduzione dello stigma associato alla morte in utero
  3. Alle comunità e famiglie
    • il potere alle donne di formulare piani per la riduzione delle morte in utero
    • la creazione di gruppi di comunità per migliorare la salute delle famiglie
    • la formulazione di piani di nascite, con comunicazioni e facilitazioni per il  trasporto
    • la riduzione dello stigma associato alla  morte in utero e la condivisione del lutto delle famiglie.

Guglielmo Riva. Medico di sanità pubblica

Bibliografia

  1. Zoë Mullan, Richard Horton. Bringing stillbirths out of the shadows. Lancet 2011; 377: 1291-2.
  2. Frøen JF, Cacciatore J, McClure EM, et al, for The Lancet’s Stillbirths Series steering committee. Stillbirths: why they matter. Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62232-5.
  3. Cousens S, Stanton C, Blencowe H, et al. National, regional, and worldwide estimates of stillbirth rates in 2009 with trends since 1995: a systematic analysis. Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62310-0.
  4. Lawn JE, Blencowe H, Pattinson R, et al, for The Lancet’s Stillbirths Series steering committee. Stillbirths: Where? When? Why? How to make the data count? Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62187-3.
  5. Bhutta ZA, Yakoob MY, Lawn JE, et al, for The Lancet’s Stillbirths Series steering committee. Stillbirths: what difference can we make and at what cost? Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62050-8.
  6. Flenady V, Koopmans L, Middleton P, et al. Major risk factors for stillbirth in high-income countries: a systematic review and meta-analysis. Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62233-7.
  7. Pattinson R, Kerber K, Buchmann E, et al, for The Lancet’s Stillbirths Series steering committee. Stillbirths: how can health systems deliver for mothers and babies? Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62306-9.
  8. Goldenberg RL, McClure EM, Bhutta ZA, et al, for The Lancet’s Stillbirths Series steering committee. Stillbirths: the vision for 2020. Lancet 2011; published online April 14. DOI:10.1016/S0140-6736(10)62235-0.

 

 

2 commenti

  1. Argomento orfano anche da noi, lo stigma è per le madri e per chi ha assistito la loro gravidanza.Evento da dimenticare in fretta, augurandosi di non essere i professionisti che hanno assistito la gravidanza e il parto. Scarsissima la conoscenza su come rispettare e condividere questi lutti, ancora minore la conoscenza sulle modalità di sostegno utili. Grandissimo l’aiuto che empatia e rispetto possono dare al superamento del lutto. Grazie per aver ricordato questo tema. Maria, ginecologa di territorio

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