Diseguaglianze nella salute Nord-Sud in Italia

Geppo Costa

Il XXXV congresso dell’Associazione Italiana di Epidemiologia recentemente tenutosi a Torino è stato largamente dedicato a valutare le differenze geografiche nella salute in Italia.


Una storia di successi e un futuro con molte incognite

L’appuntamento dei 150 anni dall’unità d’Italia ha stimolato l’epidemiologia italiana a chiedersi quali risultati di salute abbia prodotto questa storia, se questi risultati siano stati equamente distribuiti su tutto il territorio, se la storia della salute sia stata di maggiore o minore successo rispetto alle altre dimensioni del benessere e quale merito abbiano avuto le politiche sanitarie in questa storia.


L’unità d’Italia ha ereditato un Paese che, nel quadro europeo, si collocava agli ultimi posti per arretratezza economica, disuguaglianza, povertà, analfabetismo, malnutrizione, bassa sopravvivenza e indifferenza alla protezione per la vulnerabilità. Oggi lo consegna alle nostre celebrazioni ai primi posti per sopravvivenza, nutrizione e protezione per il rischio della salute, ai posti intermedi per sviluppo economico, povertà  e istruzione, e in posizione non molto lusinghiera  per disuguaglianza e protezione dai rischi di povertà
. La speranza di vita alla nascita è l’indicatore che più si è avvicinato sia al risultato massimo potenzialmente raggiungibile in questo periodo storico sia al maggior livello di integrazione e uguaglianza nel Paese.

È verosimile che a questo risultato  non siano estranei da un lato i progressi della medicina, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, che sono un fattore esogeno del benessere, e dall’altro il ruolo dell’assistenza sanitaria pubblica che si iscrive tra le trasformazioni della capacità di protezione dalla vulnerabilità che sono in maggiore progressione nel secondo dopoguerra. Purtroppo questo primato nei risultati di salute potrebbe essere minacciato negli ultimi vent’anni da una tendenza a una nuova divergenza Nord-Sud negli indicatori di salute, parallela all’aumento delle disuguaglianze di reddito e di istruzione, che potrebbe rendere più difficile il processo di decentramento sanitario previsto dal federalismo.

 

Epidemiologia&Prevenzione: una nuova monografia dedicata alle differenze geografiche nella salute in Italia

In effetti, il XXXV congresso dell’Associazione Italiana di Epidemiologia recentemente tenutosi a Torino è stato largamente dedicato a valutare le differenze geografiche nella salute in Italia. E in questa occasione la rivista Epidemiologia&Prevenzione ha scelto di  pubblicare un compendio di dati epidemiologici storici e attuali su queste differenze nella esposizione ai fattori di rischio per la salute (fumo, alcool, sedentarietà, rischi ambientali, rischi da lavoro…), nella mortalità e  nella malattia (cardiovascolare, tumori, salute mentale), e nell’uso dei servizi sanitari. Questo profilo è il punto di approdo di una storia di progressi nella salute che la monografia riassume sia in chiave storiografica sia con dati statistici che, per alcuni indicatori, risalgono al momento dell’unificazione del paese.  Quali priorità indicano all’agenda della sanità pubblica queste differenze?

 

La mortalità per generazione di nascita: una storia di formidabili convergenze e di nascenti divergenze

Biggeri e colleghi hanno rianalizzato i dati di mortalità secondo le generazioni di nascita a partire dalle generazioni del 1889, una tecnica di analisi che permette di attribuire alle storie di ogni generazione la responsabilità della propria aspettativa di vita.
I risultati confermano l’impressionante diminuzione del rischio di morire (che riguarda tutte le voci nosologiche eccetto i tumori) tra gli italiani e in tutte le regioni da una generazione di nascita a quella successiva in entrambi i generi, conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e delle cure sanitarie.
Il risultato inedito riguarda le variazioni nelle differenze tra le diverse regioni, soprattutto tra gli uomini. Infatti si può osservare da un lato una notevole convergenza nel rischio di morte tra le regioni del Nord a maggiore mortalità e quelle del Sud a minore mortalità,  un andamento che però nelle ultime generazioni di nascita non si interrompe portando ad invertire l’ordine delle differenze a sfavore del Mezzogiorno. E questo risultato si ripete in modo enfatizzato in molte importanti malattie che causano la morte, e lascia prevedere un allargamento delle disuguaglianze nel rischio di morte a sfavore del Sud nelle prossime generazioni. Questo potrebbe significare che si sta verificando nel Mezzogiorno un’epidemia nell’esposizione ai principali fattori di rischio per la salute e nell’inefficacia delle cure che possono prevenire la morte, un’epidemia  che sta incominciando a manifestare i suoi primi effetti nel rischio di morte delle più giovani generazioni.

Se questo fosse vero occorrerebbe correre ai ripari con adeguate risposte sia nelle politiche economiche e sociali sia in quelle di sanità pubblica. Prima però di allarmarsi occorre ancora provare ad escludere altre spiegazioni alternative di questo preoccupante fenomeno, in particolare i meccanismi che hanno selezionato sulla base della salute le generazioni che sono sopravvissute fino alla finestra di osservazione del rischio di mortalità per area geografica  (residenti tra 1969 e 2007).
In particolare sarà necessario valutare l’importanza delle migrazioni interne sulla distribuzione della salute; infatti se si considera che i flussi migratori da Sud a Nord nel secondo dopoguerra potevano essere tali per cui migravano soggetti più sani capaci di progetti di lavoro lasciando a casa quelli più malati, allora il crossover che si osserva nell’andamento delle differenze geografiche nel rischio di morte tra le generazioni potrebbe essere il risultato di questi processi di selezione. Il dettaglio dei risultati è disponibile nella versione on line della rivista E&P e aspetta che ognuno studi con attenzione il quadro della propria regione e delle differenze nei confronti del resto delle regioni, per accumulare spiegazioni utili a sciogliere questi dubbi interpretativi e permettere di prevedere il profilo futuro delle differenze del rischio di morte.

 

Se il buongiorno si vede dal mattino: un divario geografico Nord/Sud e un divario sociale nella frequenza di esposizione ai  fattori di rischio?

 

Il punto di approdo di 150 anni di storie di salute ci lascia un’Italia più uguale ed integrata ma nella quale incomincia a far capolino un nuovo divario geografico nei fattori di rischio per la salute.
La monografia di E&P propone una sintesi per schede sintetiche dei risultati del sistema di sorveglianza dei fattori di rischio per la prevenzione messo in piedi dall’Istituto Superiore di Sanità (Cnesps), offrendo  un quadro sinottico delle differenze geografiche e sociali nei principali fattori di rischio, fumo, alcool, sedentarietà, sovrappeso e obesità, qualità dell’aria, rifiuti, siti inquinati, rischi per la sicurezza da lavoro.

Con poche eccezioni (alcool, qualità dell’aria metropolitana e rischi da lavoro) il Mezzogiorno presenta regolarmente i valori più alti di frequenza di esposizione a questi fattori di rischio. Quasi sempre a queste differenze geografiche si affiancano valori più elevati di frequenza di esposizione tra i gruppi sociali più svantaggiati (per  istruzione e reddito). Queste differenze con la dovuta latenza potrebbero tradursi nel futuro in un divario importante per la salute.

Il servizio sanitario nazionale: uno o tanti? E tutti virtuosi?

Il congresso ha passato al setaccio anche le differenze geografiche a cui è approdato il Servizio Sanitario Nazionale, così come monitorate e studiate soprattutto dall’AGeNAS, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Ad un livello macroscopico si osserva che in alcune aree del paese si usano di più i ricoveri, in altri l’assistenza primaria, in altri ancora l’assistenza specialistica e loro combinazioni varie. Questo significa che le culture degli utenti e le caratteristiche dell’offerta producono modelli di servizio sanitario differenziati nelle diverse aree del paese, senza che si possa attribuire un valore positivo o meno a queste differenze nel mix di livelli di assistenza. Questo fatto rende però il sistema un po’ refrattario alla cultura dei costi standard.

Quando però ci si spinge ad esaminare specifici livelli di assistenza, allora incomincia ad emergere un chiaro divario geografico a sfavore del Mezzogiorno, un divario fatto di esempi  di inadeguatezza di offerta come nel caso della diffusione dei programmi di screening dei tumori, o di inadeguatezza nell’offerta e nella qualità dell’assistenza ospedaliera  come nel caso della mobilità sanitaria e degli esiti di salute delle procedure chirurgiche, o dell’offerta nel campo della salute mentale.

Sulla strada del federalismo una delle domande più frequenti della politica è quella di indicare quali siano le regioni che hanno il servizio sanitario più virtuoso, allo scopo di ancorare ai loro indici le decisioni di programmazione (fabbisogno standard, costo standard, appropriatezza…).

In questi ultimi anni sono stati messi in campo diversi modelli di valutazione della performance dei sistemi  sanitari regionali, che mettevano capo a graduatorie non sempre comparabili tra loro. Il congresso di epidemiologia ha dedicato anche uno spazio metodologico a discutere dei problemi di stima della virtuosità delle regioni.

Non occorrono sofisticati sistemi di valutazione per mettere in evidenza i limiti di efficienza, appropriatezza ed efficacia dei servizi sanitari di alcune regioni del Mezzogiorno rispetto alla maggior parte delle altre del Nord. Viceversa le graduatorie tra i più virtuosi o tra i meno virtuosi cambiano molto  in funzione delle scelte di metodo che i diversi modelli di valutazione adottano nello scegliere gli indicatori, nell’interpretarli secondo una scala di virtuosità, nell’attribuirvi un peso differente e nel comporli in una misura o in una rappresentazione grafica sintetica.
Non esistono risposte semplici a domande complesse, se non che la politica e il valutatore devono essere consapevoli di quanto contino le loro scelte di valore e di come possano usare l’epidemiologia per simulare scenari e progettare target.

 

 

I tumori: ci sia ammala di più al nord, ci si muore di più al Sud

Alcune malattie descrivono bene il risultato finale di queste divergenze geografiche nei fattori di rischio, nella malattia, nelle cure e nella mortalità.

Il  nuovo rapporto sulle differenze geografiche nella sopravvivenza dei tumori dell’associazione dei registri tumore (AIRTUM) ha mostrato un quadro preoccupante delle differenze geografiche.
Ci si continua ad ammalare di più al Nord, dove c’è stata maggiore esposizione ai principali fattori di rischio
  dal fumo, all’alcool, all’alimentazione squilibrata,  ai rischi da lavoro ed ambientali, alla storia riproduttiva; anche se la misura di questo svantaggio del Nord è meno evidente dei decenni passati, per una progressiva diffusione nel Mezzogiorno di alcuni di questi rischi negli ultimi decenni.
Ma la sopravvivenza per i tumori è peggiore nel Mezzogiorno, fatto che è associato ad una minore tempestività della diagnosi e a una minore qualità delle cure
. La conseguenza è che anche la mortalità per tumori nelle regioni del Sud sta peggiorando rispetto a quelle del Nord. Iniziano dunque a comparire i primi indizi di un impatto sfavorevole sui risultati di salute delle differenze Nord/Sud nell’esposizione ai principali fattori di rischio e di protezione della salute

 

Cosa si può concludere?

150 anni di storie di salute: si tratta sicuramente di una storia di successo! Il progresso nelle condizioni di vita, la medicina  e l’assistenza sanitaria pubblica hanno fatto la differenza per tutti, portando il paese a unificarsi nella salute molto di più di quanto non sia accaduto ad altre dimensioni del benessere. È vero che non abbiamo a disposizione un contro-fattuale, ma rivedendo adesso da dove siamo partiti sarebbe potuto andare molto peggio!

È però anche vero che qualcuno si è avvantaggiato di questi benefici più in fretta, soprattutto nelle ultime decadi, e cioè le regioni del Centro Nord. È il risultato delle iniezioni di migranti sani da Sud a Nord nel periodo del boom economico? È il risultato di una maggiore capacità di avvantaggiarsi del benessere economico per promuovere salute nella società nell’ambiente e nei comportamenti? È il risultato di una maggiore capacità di progettazione e governo del sistema sanitario per la protezione dei più vulnerabili? Tutte queste spiegazioni sono giustificate e rimandano alla responsabilità di politiche di correzione delle differenze territoriali che sono particolarmente attuali in questa transizione federalista dei nostri sistemi pubblici.

La crisi, lo stato sociale, e le scelte della politica: come può la medicina (l’epidemiologia) aiutare gli amministratori a valutare quali scelte politiche realizzano più beneficio?

Queste sfide sono state rilanciate all’epidemiologia e alla sanità pubblica dall’Amministrazione Comunale che ha ospitato il congresso.

Lo stato sociale italiano è caratterizzato da una forte sproporzione di mezzi a favore dei trasferimenti economici (pensioni e simili, tutti amministrati dal centro) a discapito dei servizi alla persona (amministrati dal livello locale), con l’unica eccezione dell’universalismo dell’assistenza sanitaria.

La crisi economica  e la crisi del paese sottopongono lo stato sociale, a un ulteriore forte ridimensionamento, soprattutto nel campo dei servizi alla persona, già particolarmente poveri e selettivi nel nostro paese, in particolare a livello locale a dispetto della dichiarata priorità strategica di federalismo.

Queste circostanze impongono non solo razionalizzazione ma anche razionamento nell’offerta di servizi a livello locale, e spesso il decisore non ha strumenti per scegliere priorità. Una volta fatte le dovute economie di efficienza produttiva, quali livelli di tutela  possono essere sacrificati a favore di altri? La scelta ha bisogno di informazioni valide dall’impatto atteso da ogni livello di tutela.

Quanto benessere e quanta salute viene garantito da ogni livello di tutela? Disponendo di queste conoscenze il decisore potrebbe giustificare le sue scelte sulla base di una valutazione comparativa: si può razionare o ritardare un livello di assistenza  perché produce un beneficio marginale inferiore rispetto ad un altro livello di assistenza?
Inoltre, a parità di beneficio marginale atteso, il decisore potrebbe preferire di risparmiare un livello di assistenza rispetto ad un altro perché la sua distruzione è più equa. Per fare questa scelta il decisore dovrebbe disporre dunque anche di conoscenze adeguate su come si distribuiscono i benefici attesi per caratteristiche demografiche e sociali della popolazione (età, genere, reddito, istruzione, origine etnica…). Il quesito rivolto ai medici, agli statistici, agli epidemiologi, ai sociologi… è “Quanto siete pronti a dare alla politica queste conoscenze sui livelli di tutela assicurati dalle scelte della politica?” .

Con questo nuovo compito in agenda l’epidemiologia e la sanità pubblica italiana non dovrebbero annoiarsi nei prossimi anni.

Geppo Costa. Dipartimento Scienze Cliniche e biologiche, Università di Torino

 

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