Obesità pandemica: una sfida indifferibile
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- 15 Dicembre 2011
Giovanni Baglio e Anna Lamberti
L’obesità è frutto di una reazione normale, da parte di persone normali, a stimoli provenienti da un ambiente “anormale”.
L’obesità è frutto di una reazione normale, da parte di persone normali, a stimoli provenienti da un ambiente “anormale”. Il punto è che gli individui hanno molte meno possibilità di scelta, in fatto di obesità, di quanto comunemente non si creda.
La notizia choc arriva dalla Gran Bretagna: nel mese di settembre, a Dundee – popolosa città della Scozia sull’estuario del fiume Tay – una coppia si è vista portar via dai servizi sociali quattro dei sette figli, per manifesta incapacità a gestire i loro gravi problemi di obesità. Fin dal 2008 era stato raccomandato ai genitori di tenere una condotta familiare adeguata, a base di esercizio fisico e cibi sani. Ma adesso che l’esperimento è fallito, una parte della prole viene affidata in via definitiva a un’altra famiglia.
Senza voler entrare nel merito della vicenda, che presenta evidentemente numerosi risvolti non chiariti nei frettolosi resoconti della cronaca, bisogna riconoscere che l’obesità va assumendo agli occhi dell’Occidente opulento i tetri contorni dell’incubo che tormenta il sonno dopo la crapula.
Già nel 2006, la “Carta Europea sull’azione di Contrasto all’Obesità”, siglata dagli Stati membri della Regione Europea dell’OMS, aveva definito il fenomeno come una delle minacce più serie per la sanità pubblica[1].
E ancora, il Rapporto OCSE “Obesity and the economics of prevention: Fit not fat” (settembre 2010)[2] delineava con cruda obiettività le dimensioni e le caratteristiche dell’attuale epidemia di obesità: una persona gravemente obesa perde in media 8-10 anni di vita (quanto un fumatore!) e per ogni 15 kg di peso in eccesso, il rischio di morte prematura aumenta del 30%. In diversi Stati membri, più del 50% della popolazione risulta in eccesso ponderale e alcune proiezioni indicano che, entro 10 anni, più di due persone su tre saranno in sovrappeso in Paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e l’Australia (Figura 1).
Figura 1. Tassi di sovrappeso in un campione di Paesi OCSE – Trend e proiezioni[2]

La prevalenza dell’obesità tende a essere più alta tra le donne e nelle classi socialmente più svantaggiate. Sul piano dei costi, nella maggior parte dei Paesi OCSE, l’eccesso ponderale è responsabile dell’1-3% della spesa sanitaria totale (5-10% negli Stati Uniti) ma, con l’aumento delle malattie legate all’obesità, l’impatto economico è destinato a salire rapidamente nei prossimi anni.
Il problema, peraltro, non risparmia neanche i bambini, trasferendosi dalle vecchie generazioni alle nuove come una sorta di peccato originale: i figli di genitori obesi presentano una probabilità 3-4 volte superiore di essere a loro volta obesi, e di assumere comportamenti a rischio quali la sedentarietà, l’alimentazione sbilanciata e l’inattività fisica.
Anche in Italia, il fenomeno ha assunto proporzioni allarmanti, proprio tra i giovani. I dati del sistema di sorveglianza dell’obesità infantile “Okkio alla SALUTE”, diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità[3], indicavano nel 2010 una prevalenza di eccesso ponderale tra gli alunni della scuola primaria pari al 34%, con punte superiori al 40% in alcune regioni del Centro-Sud (Figura 2).
Figura 2. Prevalenza (%) di sovrappeso e obesità bambini di 8-9 anni della 3a primaria, per regione.

Sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE, 2010
Per quanto riguarda gli adolescenti, lo studio europeo HBSC[4] – realizzato nel 2009 anche in Italia con una rappresentatività regionale – ha stimato una prevalenza di sovrappeso-obesità pari al 29% tra gli undicenni maschi e al 19% tra le femmine; valori leggermente inferiori sono stati registrati a carico dei ragazzi tredicenni e quindicenni (Figura 3).
Figura 3. Prevalenza (%) di sovrappeso e obesità per regione e sesso dei ragazzi di 11, 13 e 15 anni

Studio HBSC 2009-2010
A riportare l’attenzione sul problema è adesso la prestigiosa rivista Lancet che, in una serie di articoli dedicati al tema dell’obesità[3], prova a fare il punto su quanto realizzato finora e soprattutto su alcune questioni centrali rimaste a tutt’oggi irrisolte: i carichi crescenti di malattia, che rischiano di portare al collasso i sistemi sanitari, e le strategie più efficaci per contrastare gli stili di vita e i determinanti ambientali obesogeni.
Gli articoli di Lancet muovono da una considerazione basilare: l’obesità è frutto di una reazione normale, da parte di persone normali, a stimoli provenienti da un ambiente “anormale”. Il punto è che gli individui hanno molte meno possibilità di scelta, in fatto di obesità, di quanto comunemente non si creda. L’innovazione tecnologica, alcune politiche fiscali, l’aumento della produzione alimentare su scala industriale hanno abbassato drasticamente il costo dei prodotti, facilitando l’acquisto di cibi “unhealthy” dall’alto contenuto calorico (si veda in proposito il post “Merenda sana o junk snack”). I comportamenti sedentari e l’inattività fisica si sono, inoltre, diffusi nella popolazione come effetti collaterali dell’urbanizzazione massiva, della maggior durata dei turni di lavoro, del crescente ricorso all’auto privata.
Si può dunque, a ragione, sostenere che l’attuale stato di cose dipenda semplicemente da pigrizia o sovralimentazione? O non è forse “la nostra biologia”, come afferma Sir David King nel suo commento agli articoli di Lancet, “ad essere fuori fase rispetto alla società”?
Il risultato è che oggi molti adulti nel mondo sono obesi e il loro modo di vivere sembra destinato a perpetuarsi nel tempo: una specie di deriva inerziale, che gli esperti chiamano “obesità passiva”.
L’articolata riflessione di Lancet si struttura intorno a cinque messaggi fondamentali.
- L’epidemia di obesità richiede una forte assunzione di responsabilità da parte delle autorità pubbliche, che sappia tradursi in politiche efficaci per la salute. Fino a questo momento, in Europa e negli Stati Uniti, i diversi Governi nazionali si sono perlopiù limitati a incoraggiare le iniziative di autoregolamentazione da parte delle industrie alimentari o a promuovere accordi volontari con i produttori (ad esempio, per la pubblicità di alcuni cibi o bevande durante i programmi TV per bambini). Questo perché si sostiene che, in ultima analisi, sono gli individui a dover compiere le scelte giuste in fatto di stili di vita! E così si rinuncia a esercitare ogni forma di controllo e potestà regolatoria.
- Se la situazione si mantenesse ai livelli attuali, o peggiorasse secondo le previsioni, vi sarebbero conseguenze pesanti non solo sul piano della salute, ma anche su quello della spesa e della perdita di produttività. Ad esempio, nel Regno Unito si è stimato che, in assenza di misure efficaci, entro il 2050 il 60% degli uomini e il 50% delle donne potrebbero essere clinicamente obesi, e il carico di malattia derivante da questa condizione arriverebbe a costare circa 45 miliardi di sterline l’anno. Questo è un campanello d’allarme che deve valere anche per il nostro Paese.
- Le previsioni circa la possibilità di agire velocemente su vasta scala e in modo permanente sull’eccesso ponderale si sono rilevate in gran parte errate, perché hanno sottovalutato la portata dei fattori in gioco e la complessità delle loro interconnessioni. Diversi anni fa, l’epidemiologo Geoffrey Rose aveva stimato che riducendo il peso medio della popolazione di appena l’1,25% – meno di 900 grammi per una persona di 70 kg – il numero di persone obese sarebbe diminuito di un quarto. Nessuna delle strategie tentate finora, prese singolarmente, si è però dimostrata efficace nel raggiungimento di un simile (per quanto apparentemente semplice) traguardo.
- È necessario sviluppare sistemi di monitoraggio in grado di raccogliere informazioni non solo sulla diffusione dell’obesità e dei fattori di rischio associati, ma anche sugli interventi effettuati e, soprattutto, sui risultati ottenuti, al fine di orientare le scelte di sanità pubblica verso pratiche di comprovata efficacia.
- L’obesità è un fenomeno complesso e in quanto tale richiede l’adozione di strategie composite e multifaceted, in grado di coniugare interventi rivolti alla popolazione generale (campagne di informazione e di prevenzione, tasse e sussidi, forme di regolamentazione) con approcci focalizzati sui soggetti a rischio (in cui dovrebbe emergere il ruolo centrale dei medici di famiglia).
È cominciata una lunga e difficile sfida per fronteggiare questa dilagante epidemia e far fronte alle nuove cogenti esigenze di salute collettiva. Gli interessi in gioco sono molto forti e talvolta in conflitto tra loro. Per questo, combattere l’obesità implica compromessi, ma soprattutto una stretta cooperazione tra le parti interessate: nella consapevolezza che un fallimento avrebbe conseguenze pesantissime per le generazioni future.
Giovanni Baglio, Responsabile Servizio Offerta ospedaliera e sistemi di rete, Laziosanità – Agenzia di Sanità Pubblica
Anna Lamberti, Ricercatore, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità
Bibliografia
- Carta Europea sull’azione di contrasto all’obesità [PDF: 67 Kb]. Traduzione non ufficiale a cura del Ministero della Salute.
- OECD. Obesity and the economics of prevention: fit not fat. Settembre 2010.
- OKkio alla SALUTE 2010. Risultati principali. [PDF: 775 Kb]
- Health Behaviour in School-aged Children 2009-2010. Risultati principali. [PDF: 1,5 Mb]
- The Lancet’s Obesity Series, 2011; 378
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