Il costo del brain drain sanitario dall’Africa

Guglielmo Riva

La migrazione dei medici dai Paesi africani verso Australia, Canada, Stati Uniti e Regno Unito produce una perdita economica per i Paesi di origine e un risparmio considerevole per i Paesi che reclutano e impiegano i migranti.

Uno studio multipaese[1] ha esaminato gli aspetti finanziari dell’emigrazione dei medici da 9 Paesi dell’Africa sub-sahariana calcolando il costo della formazione dei medici, il mancato ritorno dell’investimento in formazione nei Paesi di origine, il vantaggio economico dei Paesi che impiegano i medici migranti.

I Paesi africani selezionati sulla base di caratteristiche comuni (prevalenza della infezione da virus HIV superiore al 5% della popolazione o numero totale di malati di AIDS superiore a 1 milione; presenza di almeno una facoltà di medicina) sono Ethiopia, Kenya, Malawi, Nigeria, South Africa, Tanzania, Uganda, Zambia, and Zimbabwe. Per ognuno dei Paesi è stato calcolato il costo della formazione (scuola primaria, secondaria, università) sulla base di informazione reperite in banche dati internazionali (es. UNESCO) e, per il costo della formazione universitaria, si è considerato l’ammontare del sussidio pubblico/studente come pubblicato sui siti web delle principali università. Per il calcolo del mancato rientro degli investimenti in formazione si sono considerati tassi di interesse standard nei vari Paesi e durata del servizio all’estero dei migranti.

Il costo della formazione di un medico (finanziato dai governi dei Paesi selezionati) è stato stimato  da un minimo di US $ 21.000 in Uganda fino ad un massimo di US $ 58.000 in Sudafrica.  Il mancato reddito per l’investimento in formazione dei medici emigrati in 4 Paesi industrializzati  (Australia, Canada, Regno Unito e Stati Uniti) è stato stimato complessivamente in US $ 2.17 miliardi con un minimo di $ 2.16 milioni per il Malawi e un massimo di US $ 1.4 miliardi per il Sudafrica. Il risparmio dei Paesi industrializzati relativo all’impiego di medici provenienti dai 9 Paesi (dei quali non hanno finanziato la formazione) è stimato in US $ 4.5 miliardi: 621 milioni per l’Australia, 384 milioni per il Canada, 846 milioni per gli Stati Uniti e 2.7 miliardi per il Regno Unito dove lavora il maggior numero di medici provenienti dai Paesi africani selezionati.

Lo studio in esame migliora la conoscenza sull’aspetto economico della migrazione dei medici e conferma i risultati di altri studi precedenti. Le modalità di calcolo e le variabili considerate forniscono, secondo gli autori,  una stima conservativa della perdita economica per i Paesi africani derivante dall’emigrazione dei medici in quanto si è considerata solo la migrazione in quattro Paesi industrializzati e non il totale del flusso migratorio dai Paesi selezionati. Gli autori riconoscono inoltre di non aver considerato nella stima il valore di alcune variabili quali le rimesse degli emigranti dato che le stesse vanno a beneficio delle famiglie e, solo indirettamente, del Paese che ha finanziato la formazione.

La migrazione di operatori sanitari in cerca di migliori condizioni di vita e di lavoro è una delle cause della carenza di personale sanitario nei Paesi in via di sviluppo. Tale carenza si è resa ancor più evidente nel decennio scorso per varie ragioni: l’incremento del carico di malattie provocato dalla pandemia di AIDS; la revisione delle strategie di sviluppo realizzata dalle Nazioni Unite nota come Conferenza del Millennio[2]; il rinnovato interesse al rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali con l’obiettivo di assicurare la copertura universale dei servizi sanitari di base come riaffermato dall’OMS con il Rapporto 2008 sulla Salute del Mondo[3];  l’incremento degli investimenti nazionali e internazionali in sanità.

Per quanto riguarda le risorse umane in sanità, il Rapporto OMS sulla Salute del mondo del 2006[4] evidenzia, tra l’altro, il grave squilibrio della forza lavoro in sanità. La situazione dell’Africa subsahariana è la peggiore in quanto la Regione detiene il 24% del carico di malattie, il 3% della forza lavoro in sanità e meno del 1 % della spesa sanitaria globale. Il Rapporto denuncia la situazione di crisi per carenza di almeno 2.4 milioni di operatori sanitari (medici, infermieri e ostetriche) in 57 Paesi del mondo e propone un piano d’azione decennale affinché, sia nei Paesi ad alto reddito, sia nei Paesi in via di Sviluppo, si crei la capacità autoctona di formare, assumere, distribuire e gestire  il capitale umano in sanità in ragione della domanda di servizi e secondo le disposizioni dei piani sanitari nazionali. Nei Paesi ad alto reddito, l’invecchiamento della popolazione, la crescente prevalenza di malattie croniche e la ridotta capacità delle famiglie di assistere gli anziani producono un incremento della domanda di servizi che provoca un flusso crescente di immigrazione di operatori sanitari dai Paesi poveri.

Il brain drain in sanità è un fenomeno ampiamente descritto nella letteratura a partire dagli anni 60,  ma l’intensità dei flussi migratori è cresciuta negli ultimi decenni perché molti paesi ad alto reddito si affidano al reclutamento internazionale dei medici e di altro personale sanitario anziché formarli  a livello nazionale. In Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia, tra il 23 e il 28 % dei medici praticanti possiede un titolo di studio acquisito all’estero. Una quota tra il 40 e il 75 % di questi medici proviene da Paesi in via di sviluppo[5].  Gli studi sulla migrazione del personale sanitario sono molto numerosi e l’approccio al problema è abbastanza differenziato a partire dalla terminologia utilizzata: mobilità, reclutamento etico, reclutamento attivo, brain drain. Molti studi denunciano gli effetti negativi della migrazione del personale sanitario sui sistemi sanitari nazionali sopratutto nei casi in cui le carenze di risorse umane sono critiche e la migrazione coinvolge una porzione rilevante dei nuovi diplomati o laureati. Alcuni autori ipotizzano che il reclutamento attivo di operatori sanitari possa essere considerata una pratica criminale[6].

In questo contesto la regolamentazione dei flussi migratori del personale sanitario ha  acquisito nuova urgenza e priorità. Il negoziato in sede OMS su un Codice Globale di Condotta sul Reclutamento Internazionale del Personale Sanitario è stato approvato alla 63° Assemblea Mondiale della Sanità[7] (2010) a seguito un negoziato durato 6 anni. Come riferito nel preambolo, la Dichiarazione di Kampala al Primo Forum Globale sulle Risorse Umane in Sanità (marzo 2008) e i comunicati G8 del 2008 e 2009 hanno incoraggiato l’OMS ad accelerare la sviluppo e l’adozione del Codice.

Il Codice è destinato a tutti gli attori pubblici e privati interessati alla risorse umane in sanità costituisce riferimento e guida per la formulazione di norme nazionali e accordi bilaterali in tema di reclutamento di forza lavoro in sanità. Tra i principi in esso stabiliti si evidenziano:

  • il diritto e la libertà di emigrare ed accettare lavoro all’estero con condizioni di lavoro, trattamento e prospettive di carriera uguale a quella degli operatori del Paese ospitante
  • il dovere, per i Paesi sviluppati, di fornire l’assistenza tecnica e finanziaria possibile per il rafforzamento dei sistemi sanitari dei Paesi vulnerabili per carenza di operatori
  • il dovere di ogni Stato membro di effettuare programmazione, formazione, impiego e distribuzione di personale sanitario in modo da garantire la sostenibilità della forza lavoro in sanità e ridurre la necessità di reclutamento di migranti
  • la necessità di promuovere, a livello nazionale e internazionale, ricerca, raccolta dati e scambio di informazioni sulla migrazione del personale sanitario anche per facilitare la migrazione circolare del personale a beneficio dei paesi di origine e di destinazione

Il Codice propone la collaborazione tra personale sanitario, ordini e organizzazioni professionali e agenzie di reclutamento e richiede che nel processo di reclutamento sia garantita trasparenza, lealtà e completezza di informazione sulle proposte di lavoro che consentano una decisione informata degli operatori interessati. Gli Stati membri sono chiamati a concedere autorizzazione e svolgere supervisione sulle agenzie di reclutamento che si impegnano ad osservare scrupolosamente le norme proposte dal Codice compresa l’astensione da pratiche di reclutamento attivo almeno nei Paesi con gravi carenze di personale sanitario. Gli Stati Membri si impegnano a fornire una relazione periodica sulla migrazione del personale sanitario e sulla implementazione del Codice ogni tre anni e l’OMS si incaricherà di mantenere un Registro delle autorità nazionali incaricate dello scambio di informazioni relative al Codice.

Come segnalato dal Professor Buchan in un recente editoriale sul BMJ[8], il progetto di Risoluzione sul Codice ha suscitato ferma opposizione da parte dei Paesi che maggiormente beneficiano di operatori sanitari immigrati. L’approvazione della Risoluzione è stata possibile solo per l’inclusione nel Codice di alcune clausole: volontarietà nella applicazione e non obbligatorietà di forme di compensazione per i Paesi di origine dei migranti in proporzione al prelievo di risorse umane. Siamo quindi di fronte ad un tipico caso di incoerenza delle politiche dei donatori che investono fondi pubblici per il rafforzamento dei sistemi sanitari dei Paesi meno avanzati e, contemporaneamente, ne riducono le capacità sottraendo ai Paesi stessi gli operatori di maggior qualificazione.

Guglielmo Riva, medico di sanità pubblica

Bibliografia

  1. Mills EJ, Kanters S, Hagopian A, Bansback N, Nachega J, Alberton M, et al. The financial cost of doctors emigrating from sub-Saharan Africa: human capital analysis BMJ 2011;343:d7031.
  2. Resolution adopted by the General Assembly [PDF: 64 Kb]. United Nations Millennium Declaration, 18.11.2000
  3. The World Health Report 2008 – primary Health Care (Now More Than Ever)
  4. The World Health Report 2006 – working together for health
  5. Fitzhugh Mullan, M.D. The Metrics of the Physician Brain Drain. N Engl J Med 2005;353:1810-8
  6. EJ Mills, WA Schabas, J Volmink, RB Walker Should active recruitment of health workers from sub-Saharan Africa    be viewed as a crime? Lancet, 2008
  7. The WHO Global CODE of Practicevon the International Recruitment of Health Personnel [PDF: 300 Kb]
  8. Buchan J. The financial cost of physician emigration from sub-Saharan Africa. A whole government approach is needed to mitigate the impact of the brain drain. BMJ 2011;343:d6817 doi: 10.1136/bmj.d6817

 

2 commenti

  1. Grazie Guglielmo per questo importante riassunto sui costi e le implicazioni del brain drain!

    Il problema è davvero la volontarietà di queste cosiddette “soft laws” come questo codice sul reclutamento internazionale del personale sanitario.
    Con inviti volontari e promesse non mantenute, si otterrà ben poco !

    Nel WHR 2006 si era anche ipotizzata se ben ricordo la regola del fifty-fifty per tutti i partners dello sviluppo in sanità: almeno il 50% degli aiuti nel rafforzamento dei sistemi sanitari (HSS) e non in fondi su malattie o programmi verticali e metà di questi (50% del 50%) per le risorse umane (HRD)in termini sia di infrastrutture e management che di formazione di base e continua.

    Come faremo?

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.