Tutti al Pronto Soccorso
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- 21 Marzo 2012
Nel mezzo della tempesta economica la politica sanitaria italiana naviga a vista senza un governo che abbia il potere e l’autorevolezza per mettere in sicurezza il sistema, con le regioni in ordine sparso, senza idee e strategie. Un ex ministro della sanità dice: “Non ci possiamo permettere un servizio sanitario nazionale”. E tutt’intorno il silenzio.
La questione dei Pronto Soccorso, ampiamente trattata e discussa nei post di Marco Geddes (che riproponiamo in questa newsletter), è stata l’ennesima occasione per mettere in luce tutti i limiti della politica sanitaria italiana, senza un governo che abbia il potere e l’autorevolezza per gestire e mettere in sicurezza il sistema (anche dal punto di vista dei diritti dei cittadini) in un momento di così acuta crisi economico-finanziaria (dove altri diritti vengono seriamente messi in discussione, vedi la vicenda dell’art. 18) e con le regioni in ordine sparso, spesso con interessi contrapposti, con orizzonti limitati alle scadenze elettorali, con idee poche e confuse.
Idee poche e molto confuse, ad esempio, quelle della Regione Lazio che ha deciso di avviare una sperimentazione che prevede la presenza di medici di famiglia all’interno degli ospedali, in locali adiacenti al Pronto Soccorso, per lo smaltimento dei casi di minore gravità (codici bianchi). Vedi articolo Messaggero. Una soluzione strampalata e illogica, destinata ad aumentare l’offerta del Pronto Soccorso e quindi ad accrescere inevitabilmente l’attrazione del pubblico verso questa struttura, decretandone il probabile definitivo collasso (alla voce: eterogenesi dei fini).
Così mentre in Inghilterra si discute se sia giusto affidare ai consorzi di medici di famiglia – Clinical commissioning groups – il 60% delle risorse del servizio sanitario nazionale, in Italia si discetta se assegnargli la responsabilità dei codici bianchi. Tanto per misurare – al di là del merito – la differenza del livello del dibattito di politica sanitaria tra i due paesi.
Nel merito, il servizio sanitario inglese, così come l’abbiamo conosciuto, si avvia a passi da gigante verso la dissoluzione. Il dibattito parlamentare sulla riforma è ormai alle battute finali e sono stati vani i tentativi da parte delle più importanti organizzazioni professionali di convincere il governo a ritirare la legge.
Una riforma, quella voluta dal governo Cameron, dai tratti fortemente ideologici, determinata a cancellare dal sistema sanitario, da subito, ogni offerta pubblica e a aprire le porte – forse, domani – alle assicurazioni private.
Forse, domani. Un’ipotesi. Che il governo ha seccamente smentito, sostenendo che il finanziamento del sistema continuerà a basarsi sulla fiscalità generale.
In Italia, invece, mentre ci si accapiglia sui codici bianchi al Pronto Soccorso, si può leggere sulle colonne del Corriere della Sera una simile frase: ” Chi supera una certa soglia di reddito dovrebbe uscire dalla copertura del servizio sanitario nazionale e rivolgersi alle assicurazioni private. Si formerebbe una categoria a parte, che stimolerebbe il mercato delle assicurazioni.” Firmato: Umberto Veronesi.
Reazioni politiche a una tale esplicita proposta di smantellamento del SSN, espressa da un ex ministro della sanità (del centro-sinistra) a uno dei più diffusi quotidiani nazionali: zero.
Poi ci si meraviglia di quello che succede all’articolo 18.
Sono ormai più di trent’anni che il neoliberismo di stampo tatcheriano/reaganiano sta picconando nelle idee e nei fatti l’organizzazione dello stato sociale in tutto l’occidente. E’ poi arrivata la “crisi” provocata essenzialmente dalla finanziarizzazione dell’economia ed i professori (compresi quelli a cui sono state affidate resposnabilità di governo) non si stancano di ripeterci che i conti di questa crisi devono essere pagati dai pensionati e dai dipendenti, insomma dal lavoro. I prossimi a pagare saranno i “malati”, colpevoli di “costare” troppo alle casse pubbliche. E così, invece di avere il coraggio di denunciare lo scempio che dei soldi pubblici si fa per finanziare l’inappropriatezza, con consumi di prestazioni sanitarie pagati a piè di lista senza curarci minimamente di capire A CHI sono stati riservati e QUALI ESITI hanno generato, le docili pecorelle dell’opposizione (?) sono conniventi in questa transizione verso un modello che rinnega i valori dell’uguaglianza anche e soprattutto nel campo della salute, uno dei tanti beni comuni sempre più sotto attacco e la cui inalienabilità è (sarebbe) il fondamento della democrazia.
E’ giunto il tempo, anzi sta per scadere, che la società civile, che è stragrande maggioranza, faccia sentire la sua voce al posto di oligarchie partitiche che non ci rappresentano più!
Concordo pienamente con il post di Zuppiroli, una opposizione connivente perchè tutta occupata a mettere in salvo i beni accumulati prima che la nave affondi, e totalmente indifferente alle sorti della ciurma che sta già annaspando con l’acqua alla gola.
E’ il momento di rifondare questo paese su basi nuove, di eguaglianza, e non di “equità”, parola chiave, che questo governo ci propina giornalmente, ma non ci è dato saper qual’è il loro termine di paragone.
In questi post evitiamo i deliri post-qualcosa: il capitale, la finanza, l’opposizione connivente. suvvia discutiamo seriamente nei prossimi giorni ora è troppo tardi.
Gavino l’esempio finale sull’art.18 è proprio un refuso ovviamente voluto, ma questa è un’atra storia
Assolutamente daccordo
e non solo per ragioni puramente sociali/umanitarie ma anche perche’ il focus sulla prevenzione e l’accessibilita’ alle cure che solo i SSN sanno garantire sono fattori di PROMOZIONE dell’economia, non fardelli di cui liberarsi per far quadrare i conti! Dove non c’e’ SSN la malattia diviene rapidamente il principale fattore di impoverimento, la forbice sociale si allarga, le famiglie a reddito medio-basso (= la stragrande maggioranza) sono costrette ad un risparmio cauteltativo (peraltro inefficace nel raro caso reale di “malattia disastro”: fate due conti su quanto costa un politrauma, una leucemia giovanile, un insufficiente renale, un trapianto) quindi i loro consumi calano a picco, e’ necessario avere un mercato all’estero per non far crollare le imprese … Veronesi l’ho gia’ letto in altre occasioni, dire o scrivere cose che non stanno ne’ in cielo ne’ in terra (“vivremo 140 anni con organi di ricambio” …) ora questa! Le assicurazioni private NON hanno nessun interesse a coprire chi ha bisogno di cure. Il loro obiettivo e’ il profitto, non la salute pubblica. Provate ad assicurare un bambino emofilico! Guardate cosa succede al premio dopo che un 45enne ha avuto un infarto! Oltretutto nei sistemi privati anche “i ricchi”, non solo “i poveri”, rischiano: overprescription/overtreatment sono la norma: coronarografia (e a seguire tutto il resto) assicurata … per un mal di pancia! E per accertare l’appropriatezza delle cure le assicurazioni hanno un bel daffare (e belle spese, che ricadono sui premi ovviamente).
E’ necessario che la (GRANDE) societa’ civile italiana insorga contro queste follie. Ma perche’ lo faccia e’ necessario che sia correttamente informata. Missione importante per tutti i colleghi.
Giorgio Cortassa, medico di Pronto Soccorso e cooperante internazionale
Avevo anch’io notato l’articolo del Corriere della Sera con l’intervista a Umberto Veronesi. E mi avevano colpito (oltre ad alcuni positivi suggerimenti concernenti la formazione e gli ospedali) non solo la frase citata da Gavino Maciocco ma altri due passaggi ad essa correlati : « Bisogna ragionare alla luce dei tempi di crisi economica » e « …essendo ormai tramontato il sogno di cure gratuite per tutti ». Se mai c’e’ stato un momento di crisi economica acuta e’ durante una guerra : e se certamente in una situazione di guerra c’e’ chi fa ‘categoria a parte’ (i famosi pescicani), si mette al riparo e fa soldi e’ anche vero che la societa’ nel suo insieme ,e lo stato che la riflette, manifesta una reazione dominante di ‘siamo tutti nella stessa barca a rischio’ e di solidarieta’. Come e’ stato moltissime volte sottolineato e’ dallo spirito di solidarieta’ nato durante la seconda guerra mondiale che e’ scaturita la proposta del servizio sanitario nazionale inglese. E’ perche’ la crisi economica non e’ (ancora) abbastanza drammatica che invece di soluzioni che rinforzino la solidarieta’ tra ricchi e poveri e l’universalita’ del servizio fanno capolino soluzioni destinate a aprire e col tempo a strutturare stabilmente divaricazioni tra cittadini di diverse condizioni economiche ? Quanto al sogno di cure gratuite per tutti e’ evidente che le cure gia’ adesso non sono per nulla gratuite perche’ il cittadino paga per il servizio sanitario nazionale . Se il pagamento sia adeguato o insufficiente e’ una questione completamente diversa che richiederebbe, per coinvolgere seriamente il cittadino nella valutazione di questa adeguatezza e quindi nella disponibilta’ a pagare di piu’ o di meno per il servizio sanitario nazionale , una facile e chiara leggibilita’ di quanto ciascuno paga in un anno attraverso diversi canali per il servizio. Probabilmente non sono abbastanza al corrente ma non mi pare che questo servizio di informazione capillare al singolo cittadino sia effettivo in qualche regione. In assenza di questa informazione, ripeto chiara, concreta e individuale, diviene da un lato problematico o impossibile chiedere al cittadino adeguamenti contributivi per il servizio sanitario (basta tasse! ) e dall’altro viene favorita la tendenza alle soluzioni individuali (se devo pagare di piu’ ricorro a consultazioni e assicurazioni private ).
Il problema dei pronti soccorsi e’ una cosa che credo lascerebbe esterefatto un marziano che vedesse dall’esterno il funzionamento di nostri sistemi sanitari : vivo gran parte del tempo in Francia e la situazione non e’ molto dissimile da quella italiana. Con una monotonia assoluta le cifre sono da una anno all’altro, da una localita’ all’altra sempre le stesse : almeno tre quarti delle presentazioni al pronto soccorso non sono di pertinenza di questo servizio e dovrebbero e potrebbero essere filtrate a monte nel territorio, mentre nello stesso tempo i medici generali lavorano almeno il 50% in piu’ dell’ orario considerato standard, sessanta e piu’ ore alla settimana invece di quaranta. Il marziano penserebbe giustamente che un sistema in cui tre quarti della domanda va all’indirizzo sbagliato malgrado l’extra carico sui medici di territorio e’ in realta’ un sistema fondamentalmente disorganizzato. Alfred Sauvy, uno dei piu’ autorevoli demografi francesi, diceva che in effetti i sistemi sanitari non sono per nulla tali nel senso preciso della scienza dei sistemi ma sono dei coacervi o aggregati di funzioni piu’ o meno bene (o male) raccordate : aveva ragione. Se quanto e’ fondamentale in un settore sociale e’ o dovrebbe essere l’oggetto primario della analisi e decisone politica e’ evidente che la fondamentale disorganizzazione di un sistema sanitario emergente nel ‘problema del pronto soccorso’ dovrebbe essere la prima priorita’ di una politica di sanita’.: al di la’ dei discorsi c’e’ qualche segnale serio in questa direzione ?
Ultima annotazione : da quello che si puo’ capire la proposta del Lazio sembra simile a un’esperienza in atto da due-tre anni in un’area dell’Ovest di Londra in cui al pronto soccorso e’ stato affiancato (non so se amministrativamente dipendente o indipendente) un centro di ‘general practice’ con diversi medici e infermieri a cui affluiscono le persone che si presentano spontanemanete alla consultazione. Il contesto urbano di Londra e’ diverso da quello di Roma, e a maggior ragione da quello di citta’ piu’ piccole, ma sarebbe interessante avere informazioni su questa esperienza , che fa capo al Dipartimento di Sanita’ Pubblica dell’Imperial College.
L’Imperial College Healthcare è un’azienda ospedaliera (NHS Foundation Trust) composta di 5 presidi ospedalieri. E’ anche sede universitaria all’interno della quale c’è la specialità di General Practice (medicina di famiglia) e ciò spiega la presenza di ambulatori gestiti da General Practitioners, vedi: http://www.londondeanery.ac.uk/specialty-schools/general-practice/general-practice
Nessuno dice mai che il SSN è fra i meno costosi e i più efficaci al mondo
L’intervento di Veronesi si inserisce perfettamente nella sua parabola clinico politica. Ha fondato una struttura (L’IEO) finanziato totalmente da banche e assicurazioni nella speranza che un domani (cioè oggi) la struttura fosse in grado di reggersi su queste basi. Purtroppo curare il cancro si è rivelato per le assicurazioni estremamente oneroso e foriero di costi elevati e mancati guadagni, per cui oggi anche l’IEO non naviga in buone acque! Per cui questa “uscita” apparentemente fuori luogo proprio tale non è!
Per quanto riguarda gli accessi al PS c’è poco da fare! Se il SSN ammette “due porte d’accesso” cioè la Medicina Generale (di cui io faccio parte) e il PS è un po’ difficile spiegare ad uno che ha mal di testa e che pensa di avere un ictus (perchè così viene ripetuto dalle campagne di “sensibilizzazione” che spesso affollano gli inserti salute dei quotidiani e dei palinsesti televisivi..) di andare dal suo Medico di famiglia per ..cosa?? Un esame neurologico “vecchio” di quasi 100 anni, quando in 15 minuti ti fanno una Tac??
Siamo seri, l’accesso al PS è uno dei risvolti della medicalizzazione della società moderna, dove l’incertezza diagnostica non è più tollerata e dove il “rischio” di non fare diagnosi non viene più accettato. Pensate che se un Medico di famiglia “liscia” una diagnosi si trova solo contro il mondo a difendere la sua professionalità, mentre se un collega di PS , pur attrezzato per ogni tipo di diagnostica, sbaglia, trova un “Ospedale” a difenderlo tramite il suo ufficio legale. Pensate ancora che qualcuno abbia voglia di rischiare per così poco? Pensate che la “percezione” di essere “curati” da parte dell’utenza sia la stessa se tratto io una cefalea o se lo fa un neurologo al PS dopo aver tranquillamente visionato una TAC?
A questo proposito vi segnalo una iniziativa che va controcorrente che sta nascendo negli USA…magari tra dieci anni ne riparliamo..ok.;))
http://choosingwisely.org/
A completamento del mio post precedente ecco la sintesi perfetta della motivazione per gli accessi al PS tratta dai post in coda all’articolo segnalato del Messaggero…leggeteli e capirete molto!
“Preferisco per esperienza diretta aspettare anche 6 ore e più purché si abbia la certezza che ci si affidi a persona altamente qualificata e mai più vorrei che un medico di guardia che in presenza di un malato con un infarto in atto diagnostichi una presunta influenza virale.”
Proposte?? Idee migliori??
Una premessa metodologica alla querelle sulla crisi dei PS e’ doverosa: l’intasamento del PS e’ chiaramente un problema sociale ed organizzativo complesso, al pari della disoccupazione, criminalita’ mafiosa, convivenza etnica etc…, che non potra’ essere risolto con soluzioni semplici o semplicistiche, del tipo trovare UNA causa, UN colpevole, UN comodo caprio espiatorio, UNA soluzione definitiva e semplice etc..
Precondizione per ipotizzare una soluzione adeguata alla complessita’ del problema e’ un’analisi schematica delle concause del problema stesso – abbozzate anche in un documento del ministero del 2009 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_946_allegato.pdf – elencate in ordine di rilevanza:
1-l’aumento della domanda di prestazioni, per via dell’invecchiamento della popolazione, la cronicita’, le comorbilita’, la medicalizzazione dell’esistenza, le attese irrealistiche della gente, i miti collettivi sull’onnipotenza di una medicina salvifica, il SSN supermarket gratis per tutti etc..
2-la riduzione dei posti letto ospedalieri, per via della perenne crisi finanziaria del sistema, e quindi della possibilita’ di assorbire con la degenza il surplus dei contatti pseudo-urgenti, aggravata dal fatto che l’offerta di prestazioni ambulatoriali non riesce a smaltire le lunghe liste d’attesa
3-l’orientamento dell’ospedale verso la gestione della sola acuzie per via della travolgente prevalenza della tecnologia biomedica e per il punto precedente
4-il parallelo e grande sviluppo tecnologico/organizzativo del PS e di sistemi di ES, in risposta all’esigenza precedente, che offrono una gamma di prestazioni diagnostiche e specialistiche inimmaginabile anche solo 15 anni fa e quasi in tempo reale, rispetto ai tempi di attesa extra-ospedalieri
5-il contemporaneo viraggio dei servizi extra-ospedalieri, e in particolare delle cure primarie, verso la presa in carico della cronicita’ e il tendenziale abbandono dell’acuzie per varie motivazioni, in primis l’impossibilita’ di una gestione appropriata dal punto di vista tecnologico (il mancato filtro del MMG nell’attivazione dell’ES e’ un sotto-problema, che tuttavia ha uno scarso impatto numerico nella genesi del problema accesso improprio dei codici bianco/verdi).
Queste concause generano la complessità del problema che si estrinseca in alcuni circoli viziosi SISTEMICI, che si automantengono e si rafforzano nel tempo, di cui il principale e’ quello descritto piu’ volte e in base al quale l’offerta, specie se sempre disponibile e gratis, genera nuova e crescente domanda propria e imporpria. In sostanza quanto piu’ il PS si dimostra efficiente ed efficace nel rispondere alla domanda (propria e impropria) tanto piu’ attirerà nuovi assistiti in cerca di rassicurazioni e di prestazioni veloci ed efficaci, evitando nel contempo pastoie burocratiche, risvolti economici, liste d’attesa bibliche etc.. a fronte di un bisogno avvertito come impellente e urgente, non raramente a torto. A sua volta la medicalizzazione dell’esistenza, gli allarmi e le notizie di malasanita’ enfatizzate dai media creano un clima sociale e collettivo di paura ed incertezza/ansia diffusa, che in alcuni individui diventa’ intollerabile al punto di spingerli a recarsi in PS per futili motivi, saltando la M.G. povera di tecnologia e non specializzata (cioe’ i generici-mutualistci).
Da un punto di vista dell’analisi sistemica delle organizzazioni l’ospedale ha subito un radicale cambiamento nei rapporti con il proprio ambiente. In passato il PS era un semplice filtro passivo all’accesso al nososcomio, secondo lo schema: cure immediate per gli infortunati e ricovero ospedaliero per tutti gli altri casi. Con l’aumentare dei contatti, la diversificazione della domanda e la riduzione dei posti letto si e’ aggravato l’effetto imbuto descritto da Geddes, intasando il PS di casi da gestire sul posto, specie dal punto di vista diagnostico. Di conseguenza il nososcomio ha trasferito una parte delle prestazioni diagnostico-terapeutiche dal suo “interno” a quello che e’ a tutti gli effetti una struttura di “confine” tra il sistema e l’ambiente, ovvero il PS (non a caso viene usata spesso la metafora della trincea). In questo modo difende il proprio “nucleo tecnico” dalla perturbazioni ambientali ma lo puo’ fare solo incrementando notevolmente l’offerta di prestazioni in tempo reale al suo confine, finendo per attirare quindi inevitabilmente nuova domanda, anche perche’ entra in concorrenza con le altre strutture territoriali di offerta, che hanno tempi e modi di erogazione delle prestazioni assi meno pronti ed efficienti. In pratica un’esigenza omeostatica tutta “interna” (mantenere l’equilibrio organizzativo interno a fronte dello squilibrio tra domanda e offerta) viene a ritorcersi sulle strutture di confine/interfaccia tra sistema e ambiente, proprio perche’ queste in notevole misura “si proiettano” ed influenzano il proprio ambiente (l’offerta che crea la propria domanda).
Riassumendo, il tema del contendere e’: media, politici e amministratori, assecondati improvvidamente alcuni sindacalisti, sostengono coralmente che tocca alla MG associata risolvere i problemi del PS, intercettando i codici bianco/verdi con l’H12 o meglio ancora 24.
Contro argomentazione: non e’ affatto detto che l’apertura H12 risolva i problemi del PS, anzi per la legge dell’offerta che induce nuova domanda potrebbe avere effetti perversi che non spostano la questione del PS, tipo attirare in ambulatorio domanda di prestazioni futili e inutili che nulla hanno a che fare con l’emergenza/urgenza (tipo prescrizioni di esami, ricette di farnaci, misurazioni di PA etc..). Infatti non esistono dimostrazioni empiriche che l’apertura per 12 ore degli studi medici possa ridurre significativamente gli accessi impropri del PS, problema che attanaglia tutti i sistemi sanitari dell’occidente, anche quelli dove la MG e’ piu’ organizzata e si esercita in forma associata.
Perche’, secondo i MMG, il fattore chiave e’ l’attrazione fatale che la tecnologia biomedica/specialistica, offerta senza filtri o limitazioni in PS, esercita sulla gente in preda all’ansia/incertezza, anche se poi gli esami tecnologici non finiscono mai, nel senso che spesso dopo una serie di test se ne devono fare altri per ridurre i residui margini di incertezza o per medicina difensiva!
Proviamo ora a schematizzare il processo/accesso al PS in questo modo, con un’avvertenza: dall’anilisi sistemico-organizzativa ci stiamo calando nei comportamenti e nelle decisioni individuali, di matrice micro-psicologica, che tuttavia si riverberano sul livello superiore per gli effetti di composizione macro-sistemica degli stessi.
1-l’assistito si reca al PS in preda all’incertezza, anche per un disturbo minore, perche’ vuole avere risposte immediate e/o tecnologiche e/o specialistiche per sedare la propria ansia
2-qui avviene il “contagio”, perche’ anche il medico del PS non riesce a contenere l’incertezza altrui + la sua quota di incertezza professionale diagnostico-terapeutica, sebbene dotato di strumenti razionali per ridurla (il metodo clinico basato sulla semeiotica classica: ascultazione, palapazione etc…), e quindi
3-ricorre alla tecnologia prontamente disponibile in funzione “sedativa”, prendendo pure i classici due piccioni con una fava, visto che riduce anche il rischio clinico/legale, che aleggia ormai su tutto il sistema e che alimenta una pervasiva medicina difensiva (circolo vizioso che attira altra domanda impropria in PS, visto che la gente ottiene AGRATIS esami e visite specialistiche in poche ore, invece che sottostare a mille pastoie burocratiche e tenpi biblici di attersa).
Ora il punto e’: cosa differenzia il cittadino, il MMG e quello del PS in fatto di gestione dell’ansia/incertezza? La differenza e’ sia cognitiva individuale che “socio-organizzativa” e quindi di matrice collettiva. Vediamole schematicamente.
Quella del cittadino e’ ansia allo stato puro, nel senso del sintomo psichiatrico classico e come tale piu’ difficile da controllare quando e’ acuta, tant’e’ che gli ansiosi affollano ambulatori e PS non a caso.
I medici invece, a vario titolo e in diverso grado, riescono a trasformare l’ansia in incertezza da maneggiare e gestire grazie all’approccio razionale derivato dalla logica probabilistica. Infatti si parla di incertezza ogni volta che e’ possibile quantificare il rischio statistico, nel senso delle probabilita’ frequentistiche (oggettive) piuttosto che soggettive associate ad un certo evento. Questo “ancoraggio” culturale e razionale permette al medico di manggiare con maggiore distacco e freddezza l’ansia generata dalle situazioni di sofferenza, dolore e pericolo per l’integrita’ psicofisica, specie quando puo’ fare ricorso a strumenti conoscitivi oggettivi come gli accertamenti diagnostici, anch’essi pero’ soggetti alle variabili statistico/probabilistiche e non certo fonte di certezze deterministiche (sensibilita’, specificita’, valori predittivi etc.. etc..).
Tuttavia c’e’ un’altro aspetto rilevante che gioca nelle scelte degli assistiti: il contesto istituzionale del PS che, in una prospettiva di analisi psicoanalitica delle organizzazioni, ha una potente funzione di rassicurazione e sedazione delle ansie, ipotesi avanzata a suo tempo da Bion mi pare.
Riporto da un sito di psicosocioanalisi: “le organizzazioni possono essere considerate dei sistemi specializzati nella gestione dell’ansia. Ad esempio:
1-la sanità ad un livello esplicito (visibile) persegue la promozione della salute, mentre ad un livello più profondo (invisibile) si fa carico di paure che affliggono tutti gli individui, come quella di morire, di provare dolore, di invecchiare e decadere nel corpo e nella mente, di perdere forza ed autonomia.
2-alla scuola ed all’università si attribuisce un esplicito e visibile compito di fornire istruzione, educazione, conoscenze e competenza, ma ad un livello invisibile si tratta essenzialmente di organizzazioni destinate a
gestire l’ansia (di genitori e figli) circa la possibilità di riuscire a sopravvivere, nel futuro, valorizzando forme “ufficiali” di “azione cooperativa”.
A loro volta, peraltro, le organizzazioni hanno dei problemi a gestire l’ansia degli operatori, tant’e’ che si sviluppano verie tipologie di difesa intra-organizzativa, mentre il burn-out potrebbe essere interpretato come un fallimento nei processi di gestione e controllo individuale e collettivo delle ansie di origine organizzativa. Proprio su queste motivazioni tra l’altro si innesta un altro circolo vizioso relazionale: il pz. ansioso si rivolge al PS per sedare la sua incertezza e trova paradossalmente un clima di tensione, attese interminabili e si sente trascurato da operatori spesso esasperati per la rssa e i ritmi di lavoro, se non in burn-out, e quindi per niente disposti a quell’atteggiamento empatico e di soccorso che ci si aspetterebbe, ma anzi freddi e distaccati. Non a caso i reduci dalle lunghe attese in PS riferiscono un vissuto di frustrazione e trascuratezza da parte degli operatori (un collega romano ha addirittura ipotizzato che le lunghe attese nella piazzetta del PS fossero una sorta di “punizione” degli operatori per coloro che avevano varcato impropriamente la soglia del PS!).
Se quindi leggiamo l’intasamento e l’afflusso improprio al PS con questa chiave di lettura si puo’ capire anche l’impari compito del generalista nell’intercettare i codici bianco/verdi, rispetto all’istituzione ospedaliera, che e’ tanto piu’ “attraente” e sedativa quanto piu’ si dimostra efficiente e pronta nel fornire prestazioni tecnologiche e ovviamente specialistiche, richieste a gran voce dagli utenti ed ottenute in tempi ragionevoli e senza oneri burocratico-enconomici.
La risposta logica e consequenziale all’analisi riportata in premessa sarebbe semplice: a fronte del dislivello tra domanda e offerta, specie di tecnologia e specie in periodi ben definiti dell’anno, si dovrebbe incrementare l’offerta stessa con una manovra che interessa sia l’ospedale (recupero di una quota di posti letto eliminati specie nei reparti medici, che possono svolgere un ruolo di compensazione e di filtro, riorganizzazione dei P.S. con maggiore flessibilita’ organizzativa nei periodi di maggiore morbilita’) e il territorio con potenziamento dell’offerta di specialistica ambulatoriale per risposte piu’ celeri in caso di accertamenti diagnostici dirimenti (canali diversificati in funzione dell’urgenza: esempio codici per accetamenti a 48 ore, a 5-10 giorni e cosi’ via in modo da fornire risposte alternative all’offerta immediata del P.S.). Un certo ruolo potrebbero avere anche le Unita’ Complesse come le forme orgnizzative che si stanno diffondendo in alcune regioni del nord, che richiedno pero’ tempi medio-lungi e investimenti ingenti. E invece del tutto irrealistico che le AFT possano svolgere un qualsiasi ruolo nel ridurre gli accessi impropri al PS, per ovvii ed evidenti motivi, che tuttavia sfuggono incomprensibilmente al segretario della FIMMG.
In effetti l’analisi preliminare del documento ministeriale sulle proposte di soluzione dei problema presenta alcune vistose lacune e un’impostazione generale troppo semplificata, in quanto non tiene in debita considerazione la natura sistemica e processuale del problema, ovvero il fatto che sul PS convergono alcune delle maggiori contraddizioni organizzative generate dal sistema a diversi livelli.
La compessita’ e l’inestricabilita’ dei nodi problematici del PS sta’ proprio nel fatto che inter-retroagiscono e si concentrano, quasi fisicamente, nel PS diversi fattori “genetici” di livello
macro-sistemico (l’allocazione delle risorse e gli assetti organizzativi nazionali, ad esempio le politiche di riduzione dei posti letto ospedalieri e gli effetti dei DRG)
meso-sistemico (l’organizzazione dei servizi di emergenza-urgenza a livello regionale e di ASL e l’assetto della rete ospedaliera) ed infine
di natura micro-sistemica (i comportamenti dei diversi attori che rispondono a logiche organizzative, bisogni e motivazioni diversificate e talvolta divergenti, senza considerare le culture organizzative e le strutture locali).
Ad esempio nella parte iniziale di analisi del problema il documento del ministero omette due concause ESSENZIALI in un approccio sistemico e “cibernetico” (passatemi il termine, nel senso dei feed-back negativi e positivi che generano i ben noti circoli viziosi/virtuosi), vale a dire:
I-la riduzione dei posti letto ospedalieri e la “reigenierizzazione” dell’ospedale in direzione della gestione di casi acuto/chirurgici piuttosto che medici (basta vedere a livello di cliniche private quanto
siano prevalenti i reparti chirurgici) indotta dal sistema dei DRG, che accentua la remunerativita’ di tutti gli interventi chirurgici a scapito dei DRG medici (non a caso i reparti medici tipo la nefrologia/dialisi sono
stati accollati agli ospedali pubblici e nessun privato li gesctisce, perlomeno nella mia zona). Questo orientamento si riverbera sull’approccio clinico del PS: se si presenta un pz. con un dolore toracico vengono attivati e seguiti scrupolosamente i relativi protocolli mentre l’anziano polipatologico con sintomi aspecifici, tipico problema di gestione della cronicita’, puo’ venire trascurato e la diagnosi misconosciuta (non a caso si stanno ipotizzando percorsi specifici per questi pz. nello stesso PS).
II-la spinta agli accessi impropri dovuta all’allungamento delle liste d’attesa nei servizi specialistici, che devia sul PS una quota di domanda che non trova altri sbocchi in servizi di diagnostica ambulatoriale. Ovviamente il PS nel momento in cui risponde in modo sollecito a questa domanda ne attira altra, per un classico feed-back positivo (informale) mentre contemporaneamente il pagamento del ticket per gli accessi impropri dovrebbe attivare meccanismi dissuasivi a feed-back negativo.
C’e’ un passo che sottolinea dal punto di vista semantico i limiti di analisi sistemica e processuale del documento: infatti si cita la “la convinzione del cittadino di ottenere un inquadramento clinico terapeutico
migliore e in tempi brevi” come un fattore di accesso improprio. Altro che convinzione! E’ un dato di fatto che in PS si fa di tutto e di piu’ (proprio per il motivo precedente) e che questa offerta di prestazioni genera la propria domanda, per la ben nota legge dell’economia sanitaria, nella misura in cui viene a compensare il deficit di offerta da parte di altre strutture specialistiche ambulatoriali alternative sul territorio. In buona sostanza e’ il comportamento prescrittivo dei medici del PS che attira nuova domanda inappropriata: il fatto e’ che il giudizio sull’appropriatezza, ovvero sulla natura cromatica dell’accesso in P.S., viene dato solo a posteriori, ovvero dopo avere eseguito tutti quegli accertamenti clinici che, se negativi, sono essenziali per formualare il giudizio stesso, per “certificarne” l’inappropriatezza e i cui costi dovrebbero essere accollati al pz. stesso, pur essendo stati decisi dal medico del PS: mi sembra un paradosso non da poco (perche’ il codice bianco/verde non viene affibiato a priori, senza richeiede una pletora di esami inappropriati, come fa il MMG nel suo studio? vedi il caso paradigmatico qui sotto)!
Per giunta il documento Ministeriale non menziona affatto, sempre nella parte iniziale di analisi delle concause del fenomeno, l’intreccio tra tecnologia prontamente disponibile in PS e medicina difensiva, argomento evidentemente spinoso e che non puo’ essere apertamente ammesso dal ministero, sebbene sia una realta’ di fatto (e si sa contro i fatti e’ inutile polemizzare).
Giuspeppe Belleri
MMG a Flero (BS)