Cina: esecuzioni capitali e traffico di organi
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- 10 Aprile 2012
In Cina migliaia di organi sono prelevati ogni anno dai condannati a morte e inviati immediatamente ai centri trapianto. Non basta denunciare tale crimine. Bisogna anche intervenire per disincentivare la domanda in Occidente.
La Cina potrebbe diventare la nuova meta per chi ha bisogno di un trapianto e non lo può ottenere in patria. Sull’onda della disperazione, in attesa di un organo che forse non arriverà in tempo, chi non ha scrupoli morali già oggi si può rivolgere alla Cina dove un trapianto di fegato costa tra i 40 e i 75.000 dollari, il tempo di attesa medio è di 13 giorni e la sopravvivenza a un anno dall’intervento anche se non è eccellente è pur sempre accettabile, pari a circa il 73 per cento. Sono dati pubblicati sulla rivista scientifica Experimental and Clinical Transplantation, e risultano da uno studio su quindici pazienti egiziani sottoposti a trapianto di fegato in Cina.
Tutto questo, però, non tiene conto di un gravissimo problema etico. In Cina vi è una tipologia di “donatori” che non esiste in nessun altro paese del mondo. Migliaia di organi sono prelevati ogni anno dai condannati a morte dopo l’esecuzione con un colpo di fucile alla nuca e inviati immediatamente ai centri trapianto. I pazienti, pertanto, vengono convocati in ospedale in una data precisa, e gli organi arrivano sempre in orario. Ciò fa supporre che il trapianto sia pianificato in accordo con l’ospedale e il carcere, e a questo punto non è da escludere che l’esecuzione possa essere stabilita sulla base della compatibilità tra il prigioniero e l’ammalato, nel giorno in cui fa più comodo ai medici e al paziente. Che la pena di morte sia parte integrante del programma di trapianti della Cina è un fatto assolutamente inaccettabile, una violazione dei diritti umani e un orribile sfruttamento commerciale del corpo dei prigionieri.
È una situazione che va denunciata e fermata spingendo la Cina a diventare più trasparente e a rispettare le regole etiche condivise da tutti i paesi del mondo. Secondo notizie recenti, il Governo cinese avrebbe deciso di porre fine entro cinque anni a questo sistema di espianto di organi dai condannati a morte. Tuttavia, in attesa che questo accada davvero, saranno ancora tanti i prigionieri sfruttati orribilmente.
A mio parere, nel frattempo, bisogna intervenire per disincentivare la domanda in Occidente. Nel corso della mia carriera da chirurgo ho visto centinaia di pazienti disperati e la prima domanda che ogni malato pone, appena entra in lista di attesa, è sempre la stessa: quando arriverà l’organo per me? L’ansia è tremenda e recarsi in paesi privi di regole etiche può sembrare una utile scorciatoia. Ma la necessità personale del malato non può giustificare mai lo sfruttamento di altri uomini più deboli perché economicamente disagiati. Non ci sono scuse, comprare un organo è un crimine orrendo. Nella donazione non ci possono essere contropartite economiche di alcun tipo. Quindi, anche se può sembrare un po’ duro, l’unico modo per combattere questo crimine è agire sulla domanda. Sappiamo che nei paesi in cui abbonda l’offerta le leggi non ci sono o vengono tranquillamente aggirate. E agire sulla domanda significa punire chi torna dall’estero con un organo acquistato illegalmente. Non sarebbe difficile nè scoprire nè perseguire chi prima era in dialisi e ora improvvisamente non lo è più, senza che possa dimostrare la provenienza legale del suo nuovo rene. La prospettiva di passare 15 anni in carcere stroncherebbe il fenomeno all’origine.
Questo fenomeno penoso, inoltre, va combattuto anche da ciascuno Stato al proprio interno, cercando di incidere quanto più possibile sulla sproporzione tra la disponibilità di organi da trapiantare ed il numero di malati in attesa. In Italia, ad esempio, l’attesa resta drammatica, mentre crescono le denunce internazionali sul traffico di organi in Paesi dove nella povertà proliferano atti criminali e un rene può essere prelevato da una persona indigente per poche centinaia di euro. A mio parere, è necessario in un paese come l’Italia incrementare in modo considerevole l’attività di trapianto da vivente.
In tanti anni di lavoro come chirurgo dei trapianti ho incontrato migliaia di pazienti affetti da insufficienza renale, con una qualità della vita compromessa dal vincolo delle sedute di dialisi tre o quattro volte a settimana, e spossati da un’esistenza condizionata da diete rigidissime. Ogni volta che ho spiegato loro l’opportunità di ricorrere alla donazione di un rene da un familiare, non ho mai incontrato resistenze o diffidenza. Quando lavoravo come chirurgo in Sicilia dove ho fondato e diretto l’Ismett (l’Istituto Mediterraneo Trapianti di Palermo), ricordo l’incontro con una donna di circa cinquant’anni, alta e magrissima, provata da lunghi anni di dialisi. La figlia era disposta a donarle il rene ma dagli esami risultò non compatibile e la prospettiva del trapianto sfumò. Aveva un altro figlio che, probabilmente spinto dai sensi di colpa, un giorno mi chiese un appuntamento per parlarmi nel mio ufficio in ospedale: “Vede dottore, io sono giovane, mi piace lo sport, correre, nuotare, viaggiare. Se dono un rene chissà se potrò continuare a fare tutte queste cose, la mia vita cambierà, sarò un invalido e magari morirò prima del tempo con un rene solo”. Domande legittime, che fanno comprendere quanto sia importante comunicare con i pazienti e informarli sempre correttamente. Così gli spiegai prima di tutto gli aspetti negativi: i rischi collegati, e inevitabili, all’intervento chirurgico, le visite e i controlli periodici, il dolore che avrebbe provato al risveglio, la ferita da medicare. Poi lo tranquillizzai rispetto alla qualità della vita che avrebbe avuto, perché sarebbe stata assolutamente identica, anzi, forse sarebbe vissuto più a lungo perché nel corso della sua esistenza avrebbe fatto più controlli medici. Non ne parlammo più, ma dopo un paio di mesi si presentò in reparto, pronto a sottoporsi agli esami e determinato a donare un rene per salvare sua madre.
Bisognerebbe approntare una massiccia campagna di informazione e sensibilizzazione sulle donazioni da vivente mossi da sentimenti di amicizia e affetto, in particolare per il trapianto di rene. Se le persone sapessero da giornali, tv, radio e internet, che si può donare un rene ad una persona cara condannata alla dialisi, i trapianti di rene potrebbero aumentare del 30-50%. Quasi tutti hanno una persona che li ama, il marito o la moglie, la mamma, il papà oppure un cugino o uno zio disposto a questo bellissimo gesto d’amore che permette di liberarsi dalla schiavitù della malattia e di ritornare a una vita piena. Certo, esistono situazioni in cui all’interno della cerchia familiare non si trova un parente compatibile, per cui la strada rimane quella di attendere un organo da cadavere. Se l’opzione della donazione da vivente, che potrebbe azzerare le liste di attesa, non viene eseguita in Italia, non è certo per la scarsa sensibilità delle famiglie. E se non sono i motivi clinici a dettare le scelte, l’unica risposta è la cultura, o meglio la mancanza di cultura, da parte di una classe medica che, al di là di alcune eccezioni, si dimostra diffidente e con il suo atteggiamento ostacola il ritorno al benessere di migliaia di persone attraverso una tecnica che si è dimostrata affidabile e sicura già dal 23 dicembre 1954, quando venne eseguita per la prima volta da Joseph Murray, premio Nobel per la medicina. Un’altra ragione, ancora peggiore e inaccettabile, è che non si vogliano incentivare le donazioni da vivente perché questo farebbe crollare il numero di pazienti in dialisi e, dato che la maggior parte dei centri dialisi italiani sono privati, si taglierebbe una gran bella fetta di un business che arricchisce alcuni imprenditori forse più attenti al proprio tornaconto economico che alla salute dei pazienti.
Ignazio Marino, chirurgo e presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale
Risorse
Death Penalty & Organ Harvesting | Laogai Research Foundation
Questo post mi fa ricordare una storia: uno zio del nonno paterno di mio padre, tal Alberto Benedetti, classe ’79 (del 1800), dopo una serie di vicissitudini familiari passò la vita viaggiando. Ancora oggi conservo alcuni oggetti riportati dai luoghi più lontani e una lunga serie di racconti orali tramandati fino a me. Tra questi, il suo ricordo di aver visto, proprio in Cina, in Manciuria, i condannati a morte sepolti vivi, sepolti con soltanto la testa fuori dalla terra.
Pratica orribile e “medievale”, ma in confronto alla quale l’idea del traffico d’organi ad hoc oggi appare ancor più aberrante.
Apprezzo molto questo post e in particolar modo le riflessioni della seconda parte (dal versante occidentale). Un argomento così grave e rilevante, così concreto anche nel dramma quotidiano di ogni paziente, non può che necessitare di informazione, partecipazione e conseguente legislazione.
Complimenti,
Guido Benedetti
concordo sulle linee di principio e di merito contenute nell’ articolo. perfettamente concordo soprattutto sull’ icentivare il trapianto da vivente e sulla trasparenza nell’ accesso e nella possibilità, a fronte di una domanda di tal tipo, di essere documentati al fine di cogliere i vantaggi che ne scaturiscono sia sulla linea personale, sia sulla disincetivazione di “business anomali”. ancor più pregnante il concetto agire sulla domanda con chiara sanzione di fruitori che fanno sì macabro shopping: offensivo culturalmente, moralmente ed eticamente. il nostro occidente deve ridiscutere molti aspetti inerenti il welfare ed il concetto di sanità pubblica.
complimenti e piena condivisione di valori e contenuti.
Ancora una volta occorre fare i complimenti al Sen. Marino che, come in occasione delle inchieste sugli ospedali psichiatrici giudiziari, anche questa volta si occupa degli ultimi (in tale caso detenuti lontano dalla nostra attenzione per molti senza alcun diritto e pertanto alla stregua di oggetti da depredare): di questi tempi un grande esempio di politico e medico!
Confesso che il tema dei trapianti è un tema scottante e sempre di grande attualità ma occorre evitare di strumentalizzare e legittimare il bene del paziente con strategie che comportino la prevaricazione e la perdita della dignità della persona.
Come nefrologo ovviamente non posso che essere solidale con i pazienti ma al tempo stesso sono assolutamente d’accordo con il Sen. Marino quando afferma che l’unico modo per contrastare queste tendenze è considerarle un crimine contro l’umanità. Fortunatamente nella mia esperienza tra i pazienti dializzati non serpeggia, nemmeno per scherzo, il volere “abusare” dei più deboli al fine del trapianto.
Le opzioni per superare il gap tra domanda e offerta del Sen. Marino non hanno bisogno di commenti e sono assolutamente legittime e condivisibili poichè non è facile convivere con la dialisi. Per quanto possibile, pur con i propri limiti il personale sanitario, deve contribuire con le competenze e con il proprio atteggiamento a rendere meno pesante questa realtà.
Al tempo stesso occorre sfatare il concetto che il trapianto sia un’opzione percorribile per tutti e a tutti i costi. La consapevolezza di ciò in molti casi è un evento drammatico ma è anche vero che la qualità di vita di un paziente dializzato è sensibilmente migliorata negli ultimi anni. Occorre quindi sottolineare e ribadire con forza esperienze positive di pazienti emodializzati e la loro voglia di vivere, pur condizionata da una relativa scarsa autonomia.
IJ
l problema della utilizzazione di organi dei condannati a morte per trapianti è noto da diversi anni e aveva suscitato scalpore in Cina negli ambienti dei medici e xpatriates . Ricordo atale proposito una visita da me fatta accompagnando un medico italiano presso un ospedale in cui si effettuavano trapianti. Alla domanda sui tempi di attesa e origine degli organi il collega cinese tergiversò ed era evidente il suo imbarazzo . Il governo cinese tentò di risolvere la situazione secondo una notizia apparsa su China Daily se non ricordo male nel 2006 spiegando che d’ora in avanti sarebbe stato chiesto il consenso al condannato non si sa con quali resultati.
Rigrazio il Senatore Marino per aver fatto luce sul drammatico esproprio dei diritti dei condannati a morte cinesi il cui corpo è fatto merce e di aver allertato sugli interessi economici di strutture sanitarie private che fanno merce del corpo dei dializzati (..”si taglierebbe una gran bella fetta di un business che arricchisce alcuni imprenditori”). Spero ne nasca una profonda vergogna,una presa di coscienza ed un’assunzione di responsabilità.
Grazie per questa informazione e per le Sue riflessioni. Forse la cosa più scioccante è che non mi sento scioccata. Quasi come se, pur non avendo mai sentito parlare prima di esecuzioni allo scopo di trapiantare organi, mi aspettassi una notizia del genere. Così come mi veniva spontaneo pensare, mentre leggevo questo articolo nella parte in cui parla di trapianti di rene tra viventi, agli interessi economici sottostanti.
Mi sconvolge il fatto di non essere così sconvolta da queste notizie come sarebbe naturale esserlo. Forse mi sono abituata all’orrore? All’ingiustizia? All’indifferenza? Agli interessi economici che hanno più forza sugli interessi di salute? Non voglio abituarmi a questo e per questo mi sento ancora più motivata a cercare nel mio piccolo di contribuire come posso per un mondo migliore.
Grazie
il divario tra la crescente potenza economica cinese e la sua realtà culturale, non accenna a regredire;l’elenco degli orrori su donne, bambini, feti e tutto e tutti quelli attraverso i quali, si possa realizzare un congruo proficuo, s’allunga.
la rete consente di far affiorare in pochi secondi anche a distanza di chilometri richieste d’aiuto, come denuncia di realtà infamanti per l’umanità intera; sono del parere che un sistema non s’automantiene, e purtroppo, i cinesi sono molto bravi ad imitare più che a creare;sono grandi analisti dei mercati, vedono dove è maggiore la domanda e s’adeguano.
non dimentichiamo che orrori simili venivano denunciati nel sud america, dove le vittime erano bambini rapiti sulle strade e torturati ancora vivi per espiantare organi da rivendere.laddove esiste sofferenza, e dove è possibile lucrare è più facile che si nasconda il losco; a chi spetta impedire il perpretrarsi di simili stragi a carico d’innocenti?governo, oms, o ciascuno di noi.
siamo sicuri che i riceventi sappiano da dove provenga l’organo che gli verrà trapiantato? o si vuole solo porre fine al suo calvario o a quello di un familiare?
mettiamo mano nella nostra sanità, iniziando dalle piccole realtà.
io stessa nella seppur breve esperienza potrei elencare tante cose che non vanno; terapie inutili e costose, mancanza d’informazione, condizioni igieniche precarie, sprechi.
forse divago?non credo perchè che se la classe medica fosse quella di diversi anni fa, in cui si faceva il medico per missione e non per profitto, i cinesi non avrebbero mercato perchè i chirurghi si rifiuterebbero di procedere all’intervento con gli organi provenienti dai condannati; sempre poi fermarsi a pensare se sia più etico salvare una persona che soffre, piuttosto che fare la morale per qualcuno che non c’è più.
la barbarie è che non dovrebbe più avere luogo un esecuzione, spesso usata contro dissidenti del regime e non per quei delinquenti che, pur con tutta la buona volontà, anche un santo, a volte vorrebbe vedere morto tra atroci sofferenze, per i delitti di cui s’è macchiato.