Ready to Use Therapeutic Foods. Il cibo come farmaco per trattare la malnutrizione

Federica Pozzi

La tendenza odierna a promuovere l’utilizzo di un prodotto commerciale, costoso ed importato, come strategia su larga scala per  la cura e la prevenzione della malnutrizione infantile  globale, nei paesi in via di sviluppo, è una strategia inadeguata e non sostenibile.


Si stima che oggi 925 milioni di persone nel mondo non abbiano abbastanza cibo; il 98% vive nei paesi in via di sviluppo, dove  la malnutrizione colpisce circa 200 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni (uno su 3)[1].

Esiste un consolidato consenso sulle condizioni di base necessarie per migliorare lo stato nutrizionale infantile e prevenire la malnutrizione globale. In particolare è ormai accettato  il concetto di “ finestra di opportunità” che indica il periodo compreso fra la nascita e l’età di 24 mesi, come la fase critica in cui intervenire preventivamente per la promozione di una crescita ottimale[2].

Il dibattito oggi si concentra sul modo migliore per raggiungere questi obiettivi e sul relativo investimento, per lo sviluppo di una strategia preventiva e curativa. Accanto ai tradizionali   programmi decentralizzati con un approccio ampio di tipo educativo sociale, fortemente basato sul coinvolgimento comunitario, la tendenza oggi è quella di affrontare il problema con strategie verticali e schemi di intervento predefiniti, replicabili e strettamente tecnici.

 

La recente crisi alimentare mondiale ha infatti determinato un netto rallentamento della velocità di eradicazione della malnutrizione globale, con una riduzione della popolazione malnutrita di soli 3 milioni di persone dal 1990 ad oggi, rispetto alla riduzione di 100 milioni ottenuta negli anni 80[3]. Ne è derivato il riemergere di un forte interesse a livello internazionale, sulle strategie di controllo soprattutto della malnutrizione acuta severa (MAS), una condizione clinica grave, ad insorgenza rapida, conseguente ad una carenza di cibo spesso in contesti di emergenza umanitaria ed associata ad un rischio elevato di mortalità a breve termine. Al pari di una vera urgenza sanitaria, la malnutrizione acuta severa richiede una risposta rapidamente disponibile, standardizzata e preferibilmente acquistabile. Da qui  il concetto di “cibo come farmaco” che ha portato alla nascita dei RUTF (Ready to Use Therapeutic Foods), alimenti  pronti all’uso con elevato valore energetico, arricchiti di micronutrienti  (minerali e vitamine), oggi approvati per il trattamento a breve termine (dalle 6 alle 8 settimane) della malnutrizione acuta severa a base comunitaria, senza necessità di ospedalizzazione[4].

 

Il dibattito sui RUTF emerse dopo l’introduzione del principale prodotto utilizzato nel mondo,  chiamato Plumpy Nut, inventato nel 1990 dal pediatra francese Andre Briend  e successivamente  brevettato e prodotto su scala industriale dall’azienda francese Nutriset. Si tratta di una pasta di burro di arachidi, arricchita con vitamine e minerali, fornita in sacchetti da 92 g, ciascuno dei quali fornisce circa 500 kcal. Nel 2005 il grande successo del suo utilizzo da parte di MSF (Medici Senza Frontiere) nell’emergenza della carestia in Niger, lo portò all’attenzione di tutti i principali attori, nel panorama della lotta alla malnutrizione[5].

Nel 2007  WHO e Unicef in una dichiarazione congiunta, definirono l’uso del Plumpy Nut, come il trattamento in assoluto migliore per la malnutrizione acuta severa nei bambini fra 6 e 24 mesi, aprendo immediatamente la strada alla produzione e alla distribuzione massiva del prodotto[6].

Nel solo 2009 infatti Unicef acquistò dalla Nutriset 14.500 tonnellate di Plumpy Nut (rispetto alle 4000 tonnellate del 2005) e il fatturato totale  dell’azienda passò da 16 a 52 milioni di US $ in pochi anni[7]. Alla fine del 2010, la produzione complessiva annuale di Plumpy Nut  dichiarata dall’azienda francese, ammontava a 100.000 tonnellate (di cui il 77% prodotto in Francia e la restante parte in America Centrale, Africa e Asia), un quantitativo stimato sufficiente per trattare 5.3 milioni dei 19 milioni di bambini con malnutrizione acuta severa nel mondo, acquistato prevalentemente dalle due grandi agenzie internazionali Unicef e Programma Alimentare Mondiale[8]. Parallelamente all’aggressiva promozione del Plumpy Nut, come la nuova rivoluzionaria soluzione per i problemi della malnutrizione infantile, emergevano anche dubbi e controversie[9].

L’efficacia dei RUTF nel trattamento della malnutrizione acuta severa è stata dimostrata in numerosi studi, realizzati prevalentemente in Africa e in situazioni di emergenza estrema (carestie e conflitti), in cui  non è possibile garantire alcun tipo di accesso al cibo locale. I vantaggi offerti dai RUTF, in questi specifici contesti,  sono  l’alta densità energetica associata al bilancio ottimale fra macro e micronutrienti, la possibilità di utilizzo immediato senza bisogno di diluizione con acqua (anche se il rischio di contaminazione batterica non è inesistente)[10] e la facile conservazione per tempi lunghi anche a temperature elevate. Nonostante il suo consumo aumenti fortemente il fabbisogno idrico nei bambini, rendendo necessaria l’assunzione di acqua che, nei contesti descritti, non è assolutamente priva di rischio batteriologico, l’efficacia del Plumpy Nut non vuole essere messa in discussione, purché ci si  attenga strettamente alle indicazioni di utilizzo, ovvero il trattamento di breve durata, in contesti di emergenza, dei soli bambini con malnutrizione acuta severa[11].

 

Il problema nasce nel momento in cui il successo di questo intervento apre la strada alla promozione  dello stesso approccio, fortemente medicalizzato e commerciale, per il trattamento della malnutrizione in generale (compresa la malnutrizione acuta moderata e cronica) o addirittura come strategia preventiva, in contesti di non emergenza[12]. Con il supporto della letteratura scientifica infatti, sono progressivamente entrati a far parte dei “pacchetti nutrizione” anche i RUSF (Ready to Use Supplementary Food), alimenti simili al Plumpy Nut per composizione, prodotti e commercializzati sempre da Nutriset con il nome di Supplementary Plumpy o Plumpy Doz,  proposti come supporto nutrizionale alla crescita e ampiamente distribuiti nei paesi in via di sviluppo[13-15].

Quello che non convince è come si possa conciliare l’attuale promozione di questi programmi preconfezionati con le iniziali dichiarazioni programmatiche dei primi anni 90 che affermavano: “food is not the only answer”, rivendicando l’importanza di health (assistenza sanitaria) e care (adeguate cure) per la  realizzazione di un intervento veramente efficace[16].

 

Il caso di Haiti

Prendiamo l’esempio di Haiti, un paese particolare in cui l’ emergenza nutrizionale  si è sovrapposta ad un problema cronico di malnutrizione, dalle radici culturali e socio economiche complesse.

Secondo l’ultima inchiesta condotta su tutto territorio nazionale nel 2006, in Haiti il 58% della popolazione non arriva a coprire il fabbisogno minimo di calorie giornaliere, con una dieta priva di diversificazione alimentare[17]. Il  20% dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre di malnutrizione cronica. Il tasso di malnutrizione acuta globale invece si attesta sul 5% dei bambini al di sotto dei 5 anni, di cui il 2% in forma severa[18].

L’interesse al problema della malnutrizione di Haiti è riemerso dopo l’emergenza terremoto che, nel gennaio 2010, creò una situazione di insicurezza alimentare acuta nelle aree urbane e peri urbane di Port au Prince, affrontata dalle maggiori agenzie internazionali con i programmi di sostegno alla malnutrizione acuta severa, basati sull’utilizzo dei RUTF. L’inchiesta nutrizionale della Banca Mondiale, realizzata sei mesi dopo, nelle aree colpite dal  sisma, ha mostrato solo un lieve incremento (0.46%) della malnutrizione acuta severa nella fascia di età fra 6 e 59 mesi[19], inferiore al valore soglia di rischio del 10%, a dimostrazione del successo dell’intervento tempestivo, che oggi mantiene lo stesso approccio di assistenza a causa dell’ingente numero di sfollati ancora nelle tendopoli.

Tuttavia  anche nelle aree rurali, dove vive il 60% della popolazione e dove l’impatto del sisma è stato assolutamente trascurabile, solo il 13.1% delle famiglie riesce a coprire i bisogni alimentari giornalieri. Anzi, la prevalenza  della malnutrizione cronica sale dal  12.5% dell’ambiente urbano fino al 28% dell’ ambiente rurale. La crisi della produzione agricola (non più del 9.6%  della popolazione lavora la terra per l’auto sostentamento) crea una forte dipendenza dall’acquisto dei prodotti alimentari (per il 52% derivati da importazioni estere), che obbliga le famiglie a spendere per l’alimentazione fino al 55% del proprio reddito[20].

 

Nonostante le enormi differenze di contesto, l’approccio nutrizionale, definito in maniera ufficiale dal Ministero della Salute con il supporto di Unicef , nel Protocole National de Prise en Charge de la Malnutrition Aiguë Globale en Haïti  del marzo 2010, applica indistintamente lo stesso schema:  RUTF (Plumpy Nut)  per la malnutrizione acuta severa e RUSF (Supplementary Plumpy) per la malnutrizione acuta moderata.

Eppure se consideriamo i dati ufficiali riportati, in Haiti oggi il 98% dei bambini al di sotto dei 5 anni non soffre di malnutrizione acuta severa e pertanto, attenendoci alle reali indicazioni con cui sono stati approvati i RUTF, non necessita di Plumpy.

Ribaltando la prospettiva, se osserviamo lo stato nutrizionale globale della popolazione infantile come mostrato nel grafico,  emerge immediatamente la preponderanza della malnutrizione cronica  (Figura1)

E’ possibile immaginare che tutta questa enorme fetta di popolazione infantile possa consumare regolarmente Plumpy per i prossimi anni?

Figura 1. Prevalenza della malnutrizione infantile globale in Haiti (Enquête Mortalité, Morbidité et Utilisation des Services, Haïti, 2005-2006)

 

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Il problema della sostenibilità economica a lungo termine della distribuzione gratuita degli alimenti pronti all’uso non è da sottovalutare. Il prezzo per il trattamento di un bambino con Plumpy per un mese è di circa 30 US $, costo oggi sostenuto dalle grandi agenzie. Se può sembrare una spesa ragionevole per salvare una vita in contesti di emergenza, diventa irrealistico ed inaccettabile, se applicato su larga scala a scopo preventivo. Un recente lavoro dell’economista Jeffrey Sachs stima provocatoriamente che il costo diretto per fornire Plumpy per un anno al bilione di bambini a rischio malnutrizione nel mondo sarebbe di 360 bilioni di US $ all’anno[21].

Le soluzioni  alternative, nate dal basso, basate sulla valorizzazione delle produzioni locali, esistono e sono percorribili,  al costo di un investimento più complesso ma anche più sostenibile. Haiti per esempio fu uno dei primi paesi in via di sviluppo negli anni 60 a lanciare programmi educativi sulla nutrizione attraverso le comunità locali[22]. Nei centri di riabilitazione rurali si trasmettevano i messaggi corretti alle madri e si promuoveva  un alimento nutrizionalmente adeguato, localmente prodotto,  per il recupero e la prevenzione della malnutrizione, chiamato Akamil (Ak-1000), composto da una miscela di  mais e fagioli[23].  Oggi solo una minoranza degli interventi nutrizionali nel paese valorizza la produzione dell’Akamil, una strategia volta non solo ad assicurare una soluzione indipendente dalle donazioni straniere ma anche il mantenimento dell’identità culturale del paese.

 

In conclusione il rischio è che il Plumpy, in tutte le sue forme, diventi una soluzione semplice per affrontare rapidamente un problema complesso, che richiederebbe invece un’ analisi approfondita dei determinanti contesto specifici.

La WHO ha messo in stretta relazione lo stato nutrizionale dei bambini da 0 a 24 mesi  con le pratiche corrette di alimentazione e di cura all’interno del nucleo familiare, promuovendo la strategia IYCF (Infant and Young Child Feeding Practice) i cui pilastri sono l’allattamento esclusivo al seno fino ai 6 mesi e l’introduzione dell’alimentazione di complemento dopo i 180 giorni, proseguendo l’allattamento fino ai 2 anni[24].

In Haiti solo nel  32% dei bambini fra 0 e 24 mesi, le pratiche alimentari rispettano gli standard minimi definiti dall’IYCF e  solo il 24% dei bambini sono allattati esclusivamente al seno dopo i 4 mesi. (Figura 2)

 

Figura 2. IYCF  in Haiti  (Enquête Mortalité, Morbidité et Utilisation des Services, Haïti, 2005-2006)

 

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Oggi, in un paese ad alta prevalenza di malnutrizione cronica, in cui le cause sono fortemente legate alla povertà,  alla scorrettezza delle pratiche alimentari, favorita da fattori educativi e culturali e accentuata dalla crisi della produzione agricola, i RUTF rappresentano davvero la risposta giusta?

Una delle evidenze indiscusse e  più semplici che abbiamo è che l’allattamento al seno  riduce la mortalità infantile,  non solo prevenendo la malnutrizione ma anche le principali malattie infettive[25]. Proprio in ragione degli immensi benefici dimostrati e del relativo basso costo, il supporto al breastfeeding è universalmente considerato l’intervento di sanità pubblica più efficiente e sostenibile [26].

E’quindi assolutamente necessario che vengano sviluppate linee guide specifiche per la produzione, la commercializzazione e la distribuzione dei RUTF nei paesi in via di sviluppo, affinché questa strategia, promossa per rispondere dall’alto ad un bisogno nutrizionale immediato, non distolga attenzione e risorse economiche  da programmi e interventi razionali e sostenibili a lungo termine, primo fra tutti la promozione e il sostegno dell’allattamento al seno.

 

Federica Pozzi, specialista in Medicina Interna, cooperante in Haiti

 

Bibliografia

  1. World Food Programme (2010) ‘Hunger stats’.
  2. Martorell R, Kettel Khan L, Schroeder DG. Reversibility of stunting: epidemiological findings in children from developing countries. Eur. J. Clin. Nutr. 1994; 48 (sup.1): S45-S57.
  3. The state of food insecurity in the world [PDF: 326 Kb]. Rome: FAO, 2006
  4. Gaboulaud, V. et al. ‘Could nutritional ehabilitation at home complement or replace centre-based therapeutic feeding programmes for severe malnutrition?’ Journal of Tropical Pediatrics 2007; 53(1): 49–51.
  5. Chaparro CM, Dewey KG. Use of lipid-based nutrient supplements (LNS) to improve the nutrient adequacy of general food distribution rations for vulnerable sub-groups in emergency settings. Maternal & Child Nutrition 2010; Supplement 1:1-69, 374: 1-2.
  6. World Health Organization/UNICEF/World Food Pro­gramme/United Nations Standing Committee on Nutri­tion. 2007 Joint statement on community-based management of severe malnutrition.
  7. Mamane Zeilani, Scaling up Production of RUF [PDF: 643 Kb], Interna­tional Workshop on the Integration of CMAM. FANTA/AED/Washington. 28-30 April 2008, Washington, DC
  8. Arie, S. Hungry for profit. British Medical Journal 2010; 341: c5221
  9. Ready-to-use therapeutic food  RUTF stuff. Can the children be  saved with fortified peanut paste? Journal of the World Public Health Nutrition Association 2011; 2(2)
  10.  Centers for Disease Control and Prevention (2009). Multistate outbreak of Salmonella infections associated with peanut butter and peanut butter-containing products, 2008-2009. Washington DC: CDC.
  11. Collins S, Dent N, Binns P, Bahwere P, Sadler K, Hallam A. Management of severe acute malnutrition in children. Lancet 2006;368:1992–2000.
  12. De Pee S, Bloem MW. Current and potential role of specially formulated foods and food supplements for preventing malnutrition among 6 to 23 month-old children and for treating moderate malnutrition among 6 to 59 month-old children. Food and Nutrition Bulletin 2009; 30 (3)- supplement: S434-63.
  13. Nutriset (2010). Plumpy’doz. Nutritional supplement for the growing child
  14. Patel M, Sandige HL, Ndekha MJ, Briend A, Ashorn P, Manary MJ. Supplemental feeding with ready-to-use therapeutic food in Malawian children at risk of mal­nutrition. J Health Popul Nutr 2005;34:351–7.
  15. Defourny I, Harczi G, Seroux G, Kader I. Management of moderate malnutrition with RUTF in Niger. Field Exch 2007;31:2–4.
  16. Jonsson U. The causes of hunger. Food and Nutrition Bulletin 1990; 3, 2. UNICEF, New York.
  17. Cayemittes, Michel, Marie Florence Placide et al. Enquête Mortalité, Morbidité et Utilisation des Services, Haïti, 2005-2006. Ministère de la Santé Publique et de la Population.
  18. Enquête Nationale sur la Nutrition 2009 (MSPP, Action Contre la Faim, Union européenne, UNICEF).
  19. Promoting nutrition security in Haiti: an assessment of pre and post earthquake conditions and recommendations for the way forward, Sept 2010.
  20. Enquête sur les perceptions de la pauvreté en Haïti, 2005.
  21. Sachs J, Fanzo J, Sachs S (2010). Saying nuts to hunger. Huffington Post, Sept 6.
  22. Bengoa JM. Nutrition Rehabilitation Programmes.  J Trop Pediat 1964; 10: 63-64
  23. King W, Fougere W, BeghinLD. Un Melange de proteins vegetates (AK-1000) pour les enfants haitiens. Ann Soc Belg Med Trop 1966; 46:741-5
  24. World Health Organization. Global Strategy for Infant and Young Child Feeding. Doc A55/15. Geneva: WHO, 2002
  25. Child Survival Series. The Lancet 2003; 361.
  26. Pugh LC, Milligan RA, Frick KD, Spatz D, Bronner Y. Breastfeeding duration, costs and benefits of a support program for low-income women. Birth 2002; 29:95-100.

 

5 commenti

  1. Bellissimo post, complimenti, su un argomento che non solo è importantissimo in sé (visto il peso della malnutrizione in questo nostro povero mondo), ma è paradigmatico di cosa succede quando si permette al mercato di prendere il sopravvento sulla salute. Basta lasciare lo spiraglio aperto con i classici “public/private partnership”, “win-win situation”, “let’s involve all stakeholders” etc, e il privato sa benissimo cosa fare per prevalere sul pubblico. L’archetipo è Henri Nestlé (1860’s): con la sua farina lattea dice di aver salvato la vita di un prematuro senza mamma e quindi senza latte materno (un tipo di evidence, tra l’altro, che non reggerebbe ad un moderno trial clinico randomizzato), e dopo 50 anni (ma oggi il mercato è molto più veloce, come dimostrano i RUTF) il latte artificiale era già ampiamente diffuso tra i bambini sani e a termine. Da questo archetipo discendono tutti gli altri, e non solo in ambito nutrizionale.
    Per fortuna io appartengo a IBFAN (http://www.ibfan.org e http://www.ibfanitalia.org/), e mi pare che l’autrice del post potrebbe benissimo far parte della stessa associazione, visto ciò che scrive. Noi di IBFAN (ma anche gli iscritti a NoGraziePagoIo (http://www.nograziepagoio.it/) abbiamo il naso allenato ad identificare rapidamente problemi di questo tipo. Vedi per esempio la posizione ufficiale di IBFAN sui RUTF, del 2011 ma a seguito di un dibattito interno e con altre associazioni che durava già da 4-5 anni, (http://www.ibfanaw.com/en/IBFAN%20RUFs.pdf), e vedi la battaglia per non “legalizzarli” all’interno del Codex Alimentarius (http://www.ibfan.org/news-2011-1126.html). Per fortuna ci sono altre associazioni che hanno un simile atteggiamento critico (Terres des Hommes, per esempio), ma la maggioranza segue il gregge, soprattutto quando i pastori sono UNICEF e OMS, con alle spalle la schiera dei donatori internazionali e appena dietro l’industria.

  2. Complimenti alla collega in Haiti. Si tratta di un argomento da sviluppare e spero che il lavoro del team AVSI in Haiti possa dare risultati che, come brillantemente argomentato dall’autrice, contribuiscano a un realistico affronto della malnutrizione cronica in contesti così complessi come le aree rurali e urbane del paese caraibico.

  3. 30 anni fa in Tanzania si scriveva che era proibito offrire cibo europeo ai bambini malnutriti(Malentlema,TFNC), tassativo. Io sono ‘cresciuto’ con questo approccio. David Morley insegnava che la mamma doveva essere informata che la curva di crescita del suo bambino stava deflettendo: aveva proposto un suo metodo di marcare il peso sulla carta di crescita in cui c’era il coinvolgimeto diretto della madre.Il Growth monitoring(GM) era un pilastro sulla strada per la salute infantile, insieme a ORT,Breast feeding e Immunization(GOBI).
    Poi….poi un giorno(brutto) due articoli ‘scientifici’ misero in ombra il GM : ossia, il semplice atto di pesare i bambini ogni mese senza un ‘qualcosa in aggiunta’(offerta di cibo per esempio) non cambiava la situazione generale di malnutrizione, la prevalenza rimaneva tale. Da qui in poi il GM ha perso di importanza: in Afghanistan non pesano i bambini, in Sudan nemmeno, in entrambi i Paesi c’e’ uno stra-uso di Plumpynut(esperienza diretta).In Darfur le madri lo chiamano ‘biscuit’, al mercato si possono trovare gli involti del PN per terra.
    Mi pare che il PN non sia stato accettato dalle autorita’ sanitarie indiane: l’India ha 8 milioni di bambini gravemente malnutriti,ci vorrebbero navi intere di PN ogni giorno.

    I genitori di un bimbo malnutrito quasi sempre non sanno che la causa di quella condizione e’ la scarsa nutrizione, lo ignorano,dicono, pensano che sia lo stato di malattia cronica oppure un malocchio a determinare lo scadimento generale delle condizioni(dimagrimento, mancanza di appetito,diarrea). Da qui il ricorso ai medici tradizionali, alle scarificazioni sulle zone edematose e altro. Cercano quindi un rimedio, una cura, un farmaco,che puo’ essere anche il plumpynut.

    Pesare i bambini, coinvolgere le madri, allertare quando la curva deflette, rivedere i bambini a rischio a intervalli piu’ ravvicinati,raccomandare nutrizione migliore con CIBI LOCALI(che ci sono, che vanno procurati dalla famiglia, dal padre) sono azioni logiche e io credo efficaci(se svolte bene).
    Ma non sono in grado di scrivere articoli scientifici per dimostrarlo.

    Brava Federica e ciao.
    Massimo Serventi
    Dodoma

  4. Impeccabile lo scritto di Federica Pozzi e pure il commento di Adriano Cattaneo.
    – Il Plumpy Nut va considerato SOLO come un farmaco e utilizzato con tutte le cautele dei farmaci, considerandone tutti i “side effects”.
    – E’ pericoloso anche perché è facilissimo da usare ed è distribuito in enormi quantità.
    – La concentrazione esagerata di calorie, ottenibile solo con molti grassi, è l’incipit di una trasformazione del bambino da malnutrito a malnutrito (cioè da denutrito a obeso).
    – Oggi l’obesità è espressione di povertà e non di ricchezza.
    – Il noto problema del “bulky food” ossia del cibo con molte scorie, il cui volume rende sazio il bambino prima che abbia introdotto un sufficiente apporto nutrizionale NON si risolve andando all’eccesso opposto.
    – Bambini che hanno mangiato il Plumpy Nut o prodotti similari hanno un’alterazione del gusto che fa loro rifiutare il cibo domestico creando disagi e spese aggiuntive alle famiglie povere.
    – Spesso si altera la domanda di cibo e il Paese si volge a colture diverse, introducendo sementi dall’estero e ottenendo raccolti da piante non ben acclimatate e quindi fragili acclimatate.
    – Sudditanza invece che sviluppo, enfasi su doni “avvelenati” invece che educazione alla corretta nutrizione con risorse locali: il tutto con la complicità di scienziati poco integri, di agenzie in cerca di grandi donatori per poter prosperare e donatori che inducono falsi bisogni per i propri interessi.

  5. Cara Federica, grazie di aver puntato l’attenzione su Plumpy’nut (PN) stimolando un dibattito che spero possa continuare con l’arricchimento delle esperienze di ciascuno.
    Il tuo lavoro serio e puntuale mette in luce molti aspetti discutibili sull’uso del PN e condivido la tua analisi. Non conoscevo la situazione di Haiti, ma i dati che tu ci dai sono raffrontabili a quelli delle molteplici realtà africane che conosco per le lunghe esperienze di lavoro come nutrizionista.
    Aggiungo qualche osservazione partendo proprio dai bambini affetti da Malnutrizione Acuta Severa (MAS).
    – Spesso i bambini affetti da MAS sono anche disidratati. Enfatizzare il fatto che il PN è “pronto per l’uso” e che non occorra acqua pulita per consumarlo, fa quasi intendere che si possa scavalcare il problema del reperimento e della somministrazione di acqua pulita al bambino. Questo fatto è molto grave nel momento in cui, d’altro lato, si evidenzia che il “trattamento terapeutico” (perché di questo si tratta) viene affidato alla mamma, o a persona dell’ambito famigliare, che può non considerare indispensabile una adeguata somministrazione d’acqua. ( Le pappe della tradizione locale opportunamente arricchite includono un certo quantitativo d’acqua.)
    -Le mucose del bambino affetto da MAS sono spesso irritate o ulcerate per la concomitante avitaminosi A ed E e questo rende sgradevole se non dolorosa la vischiosa pastosità del PN.
    – E’ già stato detto della negatività di alimenti troppo calorici.

    Eppure è l’UNICEF a suggerire questi vantaggi del PN nei suoi documenti informativi, usando le stesse parole utilizzate dalla Nutriset per piazzare il suo prodotto. Da ” Plumpynut, un nuovo alleato dell’UNICEF contro la malnutrizione infantile”: …“non ha bisogno di essere diluito, eliminando così il rischio di malattie dovute all’acqua impura. I bambini possono succhiarlo direttamente dalla confezione, evitando di toccarlo con le mani sporche..”. … “le mamme possono somministrarlo a casa senza essere obbligate a restare per giorni con il proprio figlio nei Centri nutrizionali terapeutici…”

    C’è da chiedersi dov’è finita l’UNICEF che aveva accolto con entusiasmo la Dichiarazione di Alma Ata del 1972 ed i concetti del Primary Health Care; con la sua esperienza e la sua attenzione ai problemi della malnutrizione quando i ‘Centri Nutrizionali Terapeutici’ erano anche un’occasione per informare le mamme sulla corretta alimentazione del bambino, sulle proprietà nutritive dei prodotti locali e sulla loro scelta, e serviva a rafforzare il senso di responsabilità, di dignità, di appartenenza. Soprattutto si evitava che il bambino, ricadendo a volte negli errori di gestione della sua crescita, ritornasse ad una situazione di MAS, come spesso succede.
    Con l’inizio degli anni 90 la politica degli Organismi Internazionali incomincia ad assecondare gli interessi economici privati. Nel 1993 il Rapporto sulla Sanità della Banca Mondiale apre al concetto degli Health Services to Private Sector. Dal 1997 si privilegia la fortificazione degli alimenti, nelle aree più soggette al problema della malnutrizione, sulla promozione e lo sviluppo dell’agricoltura locale. Questo spalanca le porte alle industrie, soprattutto alle multinazionali.
    World Food Programme, nello studio delle strategie per ridurre il problema della malnutrizione, ha, tra i partner, Unilever e DMS.

    Va chiarito che il PN può avere un suo ruolo importante nelle situazioni di emergenza (così come lo avevano pensato i suoi ideatori: un’evoluzione pratica del Corn Soya Blend) come guerre, carestie, epidemie… e quindi per periodi limitati in cui il suo flusso venga monitorato.
    SOLO in questi casi ed a queste condizioni i RUTF sono la risposta giusta.
    Ma questo non è avvenuto, come spiega così bene Massimo Serventi nel suo commento: “stra-uso di Plumpynut”, lo chiama, dal Sudan all’Afganistan, con il contemporaneo allontanamento dalla conoscenza continua dello stato di salute del bambino e l’allontanamento dalla propria cultura e dalle proprie risorse.
    L’ondata di PN invade Stati con problemi di malnutrizione: spesso è impossibile rifiutare. Allora
    i paesi si trovano ad affrontare la sua gestione in genere con la maggiore correttezza possibile.
    Un caso come esempio. Il 10 ottobre 2007 il Ministero della Sanità Mozambicana sollecita le direzioni provinciali ad utilizzare il Plumpynut “armazenato em quantidades relativamente grandes” seguendo rigorosamente le prescrizioni , ma visto l’avvicinarsi della data di scadenza, ne suggerisce l’uso anche per gli adulti con malnutrizione grave. Così, inevitabilmente, il troppo facile e diffuso uso di un prodotto “pronto”, appetibile “come la Nutella”, distrae dalla confidenza nei propri prodotti locali che la storia coloniale dell’Africa ha già così mortificato ed emarginato.
    C’è da aggiungere qualcosa. La drammatica aggressione dell’AIDS sulle popolazioni africane ha avuto, in generale, un effetto impensabile: nella disperazione e nella volontà di farcela si è fatto ricorso a tutto quanto poteva essere positivo nella lotta. Molto spesso ci si è affidati alla propria cultura per trovare indicazioni e risorse; si è ricominciato a valorizzare la sapienza dei vecchi per conoscere ed usare frutti e piante selvatiche di grande valore nutritivo e resistenti a condizioni climatiche avverse. Sono stati rivisti tabù che in qualche caso impedivano l’uso di alimenti pregiati come il latte di capra. E’ iniziato un processo di riappropriazione anche culturale del nutrirsi. Su questo stavamo lavorando in Zimbabwe quando nel febbraio 2006 l’UNICEF ha proposto come alternativa l’uso del Plumpynut.

    Del resto è frequente il caso di invio di enormi quantità di “aiuti alimentari”, a volte prossimi alla scadenza (se non inadatti, in quanto per uso animale, “not fit for human consumption”, vedi Corn Soya Blend in Zimbabwe, maggio 2005) che si è costretti ad utilizzare al di là delle necessità e contro l’interesse dei piccoli produttori locali o che restano a marcire nei depositi periferici con costi di smaltimento considerevoli.
    Qui il discorso si farebbe ampio anche se non inutile.
    Non mi resta che augurarti buon lavoro con uno spirito veramente solidale.
    Marina Repola

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