La terza Assemblea del People’s Health Movement chiama all’azione

Chiara Bodini, Ilaria Camplone, Riccardo Casadei, Alessandro Rinaldi, Susanna Zecca

Ad Assemblea conclusa, torniamo da Cape Town non solo rafforzati nella convinzione che un mondo più giusto è possibile (e necessario), ma consapevoli che in tante parti del pianeta – soprattutto quelle più oppresse e svantaggiate dall’attuale sistema – le persone riunite in movimento stanno facendo la differenza.


Oltre 800 persone da più di 90 Paesi si sono riunite a Cape Town, Sud Africa, dal 6 all’11 luglio scorsi. Tra queste, anche noi: giovani medici di sanità pubblica e medicina generale attivi in Italia sulle tematiche della salute globale e del suo insegnamento. Contenti di trovare, tra gli italiani presenti, una rappresentanza significativa di AIFO (da tempo ‘contatto’ italiano del movimento).

Il People’s Health Movement (PHM) è un movimento globale per il diritto alla salute. Nato nel 2000 in occasione della prima Assemblea per la Salute dei Popoli, svoltasi in Bangladesh, è cresciuto da allora ad oggi grazie alla creazione in numerosissimi Paesi di ‘cerchi’, reti locali e nazionali che – con ampia autonomia di tematiche e strategie – svolgono azioni di advocacy e di mobilizzazione sul territorio. Il PHM non è un’organizzazione ma un vero e proprio movimento sociale, affine (e in parte affiliato) a quelli sorti al termine degli anni Novanta per dare voce a una corrente politica e di pensiero critica rispetto alla natura egemone, distruttiva dell’ambiente e generatrice di disuguaglianze della globalizzazione neoliberista. La struttura è pertanto estremamente leggera (le persone stipendiate si contano sulle dita di una mano), e l’appartenenza dei membri è basata semplicemente sulla lettura e la sottoscrizione della Carta per la Salute dei Popoli, manifesto del movimento. La direzione generale è data da un ‘coordinamento’ di oltre venti persone, in rappresentanza di tutte le aree geografiche del pianeta, il quale nomina un ‘gruppo esecutivo’ più ristretto incaricato di dare corso ai programmi globali, supportare la comunicazione e appoggiare lo sviluppo del movimento a livello dei Paesi. Infine, il cuore operativo è il ‘segretariato’, attualmente tripartito tra le sedi di Città del Capo, Cairo e Delhi.

Ben più rilevanti delle strutture centrali sono però i cerchi-Paese, vera e propria linfa del movimento. Molto radicati e presenti soprattutto nel subcontinente indiano, in Asia e in America Latina, negli ultimi anni sono cresciuti un po’ in tutta l’Africa, grazie a un investimento di mobilizzazione pianificato nella seconda Assembla (svoltasi a Cuenca nel 2005). Il processo parte sempre dalla base e dal territorio ed è molto autodeterminato per quanto riguarda struttura, tematiche e strategie di azione. Spesso, l’innesco avviene grazie alla partecipazione di persone a uno dei programmi chiave del movimento, l’International People’s Health University (IPHU). Si tratta di un corso intensivo di 12 giorni sull’economia politica della salute e sul diritto alla salute, combinazione di analisi, conoscenze e pratiche orientata a formare ‘attivisti’ non solo competenti, ma posizionati e capaci di iniziare o rinforzare la mobilizzazione sul territorio. Dal 2005 ad oggi sono state svolte oltre 20 edizioni dell’IPHU, prevalentemente in Paesi del sud del mondo, a cui hanno preso parte più di 1000 tra professionisti sanitari, studenti e ricercatori universitari, agenti comunitari di salute, attivisti, sindacalisti e semplici cittadini.

Sono anche queste le persone che si sono ritrovate a Cape Town: in gran parte membri attivi del movimento, riunitisi per riflettere e discutere insieme rafforzando l’analisi della situazione globale, ma soprattutto per valutare le azioni finora condotte ed elaborare le strategie da attuare fino alla prossima Assemblea, prevista tra cinque anni.

Nella visione del PHM, la salute delle persone è gravemente minacciata dall’attuale crisi del sistema economico dominante, che si articola in crisi finanziaria, politica, economica e alimentare e che è responsabile della crescita delle disuguaglianze sia all’interno che tra i Paesi. A queste tematiche sono state dedicate le prime due giornate di Assemblea, in cui al contributo analitico di figure di spicco nel panorama scientifico e accademico mondiale (come Ronald Labonte, Fran Baum e David Sanders, per citarne solo alcuni) si sono alternate testimonianze provenienti dagli innumerevoli contesti in cui i processi descritti hanno l’impatto più devastante. Tra le altre, abbiamo ascoltato – dalla voce diretta dei protagonisti – di come i contadini di moltissimi Paesi sono costretti ad abbandonare le proprie terre per l’invasione dei mercati interni da parte di beni alimentari sovvenzionati provenienti dal nord del mondo, della minaccia crescente che la pervasiva invasività dell’industria estrattivo-mineraria rappresenta per le popolazioni indigene, di come la salute dei lavoratori è messa a rischio dall’assenza di sicurezza e di norme adeguate sul posto di lavoro, oltre che per la degradazione ambientale e l’inquinamento, e di come le persone povere nei contesti urbanizzati sono rese dipendenti da cibi malsani e patogeni, più disponibili ed economici di quelli tradizionali.

Nella terza giornata, dedicata all’assistenza e ai sistemi sanitari, abbiamo sentito di come a milioni di famiglie, soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito, è tuttora negato l’accesso a servizi di salute primaria universali e comprensivi, e di quanto nei Paesi ricchi i servizi pubblici sono crescente oggetto di tagli e delegittimazione. Al Sud come al Nord del mondo si espande invece il settore privato, a livello di finanziamento, gestione e offerta di servizi nonché nella produzione e vendita di farmaci, sostenuto da un paradigma riduzionista, industriale e biomedico che bene si articola con la progressiva mercificazione della salute. Accordi di ‘libero’ commercio multi-, pluri- e bilaterali erodono sempre più la sovranità dei governi e il loro potere di regolare le attività del settore privato economico e finanziario, la cui espansione si traduce in una riduzione nell’accesso e nell’universalità dei servizi. A livello di produzione farmaceutica, medesimi meccanismi politico-economici mantengono l’esclusione di larga parte della popolazione mondiale dall’accesso a farmaci essenziali.

Dopo aver costruito e condiviso insieme analisi e visione, le ultime due giornate di Assemblea sono state dedicate all’elaborazione di strategie d’azione. Non sulla base di idealizzazioni astratte, bensì di esperienze concrete messe in atto dal basso nei numerosissimi e diversificati contesti di provenienza dei delegati. Tra le più significative, la campagna per il diritto alla salute che, in diversi stati indiani, ha preso le forme di ‘monitoraggio comunitario’. Grazie a schede di rilevazione della presenza e del funzionamento dei servizi (schede iconografiche, per evitare barriere di alfabetizzazione), la popolazione è diventata parte attiva e soprattutto voce in capitolo rispetto alla loro organizzazione e gestione. Audizioni pubbliche hanno amplificato tale voce e l’esito trasformativo è stato efficace e diffuso, non solo nel risultato ‘finale’ di miglioramento dei servizi, ma soprattutto in quello ‘processuale’ di riequilibrio di potere tra cittadini e governo (nonché di coesione sociale e capacitazione). Su scala più piccola ma non meno significativa, il PHM Kenya sta realizzando azioni di supporto per la popolazione del nord del Paese, afflitta da siccità e fame, mobilizzando la comunità per interrompere i perversi circuiti di dipendenza innescati dall’aiuto internazionale e restituire sovranità alimentare e dignità alle persone. Ancora, nell’ambito dell’accesso ai farmaci e della proprietà intellettuale, reti affiliate al PHM come Health Action International e Thirld World Network stanno combattendo battaglie di alto profilo tecnico-legale, accompagnate da informazione su vasta scala volta alla mobilizzazione sociale. Vista la sede dell’Assemblea, non poteva mancare in questo ambito una significativa rappresentanza della Treatment Action Campaign (TAC), organizzazione capofila della storica battaglia contro la lobby farmaceutica e in favore della politica del governo sudafricano per l’accesso ai farmaci antiretrovirali. Zackie Achmat, carismatico leader di quella campagna, ha condiviso un’appassionata analisi della sua esperienza di attivismo, resa ancora più viva dalla partecipazione all’Assemblea di numerosi membri di TAC – in gran parte sieropositivi – provenienti da una delle zone più povere della città, dove l’organizzazione ha sede.

In chiusura, c’è stato il tempo per un bilancio della crescita del movimento dall’ultima Assemblea e del suo stato attuale, ma soprattutto per definire insieme le strategie d’azione e le priorità a cui dare corso. La discussione in merito era in realtà iniziata molto prima, a livello dei Paesi e delle regioni, e continuata durante tutti i giorni di Assemblea in uno spazio pomeridiano dedicato alla redazione di quella che è poi divenuta la ‘Cape Town call to action‘. Benché il documento sia ancora aperto a contributi e pertanto non disponibile nella sua versione finale, le linee generali sono state condivise e approvate. Dopo un’analisi puntuale e articolata delle criticità del sistema vigente, viene delineata la visione alternativa che il PHM persegue, a partire da un cambiamento radicale che riporti al centro le persone e le comunità nonché i valori di benessere (personale/collettivo/ambientale), equità e giustizia sociale. Oltre a nuovi sistemi economico-produttivi, al servizio delle persone e rispettosi dell’ambiente, il PHM  chiede dinamiche e istituzioni politico-economiche più eque e democratiche, una migliore governance della salute globale e la presenza di sistemi sanitari pubblici universalistici e comprensivi. Infine, quella che è stata giudicata la sezione più importante della ‘call to action’ è interamente dedicata alla costruzione del movimento: solo la mobilizzazione delle persone, si afferma infatti, sarà in grado di produrre un cambiamento sociale nel senso auspicato. Dato tuttavia l’attuale squilibrio di potere a vantaggio delle elite politiche, economiche e finanziarie, perché tale mobilizzazione si realizzi e sia efficace è necessario lavorare per incrementare il potere sociale e politico delle persone e delle comunità.

Le strategie in questo senso sono indirizzate in primo luogo a rafforzare il movimento, sia in termini di presenza in nuovi Paesi che soprattutto di legami tra Paesi e tra regioni. A tal fine è stato dato spazio durante l’Assemblea a incontri regionali, che hanno portato all’elaborazione di piani di lavoro adatti alle priorità specifiche e commisurati allo sviluppo del movimento in ogni regione. Come le altre, anche l’Europa ha fatto la sua parte, grazie soprattutto alle rappresentanze di Italia, Belgio, Germania, Regno Unito, Olanda e Grecia. Tra questi Paesi solo il Regno Unito ha ad oggi un vero e proprio ‘cerchio’ PHM, rafforzatosi negli ultimi mesi grazie alla forte esposizione nelle battaglie – finora purtroppo perse – a difesa del sistema sanitario pubblico. Tuttavia anche Germania e Belgio hanno attivato processi promettenti, mettendo in rete intorno al diritto alla salute e alla difesa dei servizi pubblici ONG, accademici, gruppi studenteschi e sindacati. Si tratta di esperienze vicine che offrono un esempio e uno stimolo utile anche all’Italia. A tutti, infine, è parsa evidente la necessità di costruire e rafforzare i rapporti di solidarietà tra Paesi europei in quanto l’attacco – incombente o già in atto – ai sistemi pubblici di sicurezza sociale, inclusi quelli sanitari, è una realtà condivisa, talora diversificata nelle modalità ma sostanzialmente uguale nelle cause e negli effetti.

La seconda linea strategica portante, decisa a Cape Town, è quella di costruire alleanze con altri movimenti sociali attivi su tematiche inerenti alla salute e ai suoi determinanti (ambiente, lavoro, genere, sovranità alimentare, ecc.), nonché di seguire da vicino alcuni processi di advocacy che puntano a rendere il diritto alla salute esigibile a livello internazionale (tra questi, la campagna per una convenzione quadro sul diritto alla salute). Come è stato ripetuto in molte occasioni, non si tratta di creare nuove strutture o di imporre il ‘marchio’ PHM su realtà esistenti, bensì di utilizzare le potenzialità che il movimento offre in quanto piattaforma per rafforzare sinergicamente le azioni che ognuno sta già portando avanti, connettendo da un lato istanze, territori e popolazioni, dall’altro il piano locale con quello globale/strutturale.

Infine, è stato approvato un rinnovamento degli organi di coordinamento, volto a integrare membri giovani e a migliorare l’equilibrio di genere e la rappresentatività regionale, ed è stata deliberata la continuità di programmi strategici come l’IPHU, la pubblicazione del Global Health Watch, il monitoraggio dell’OMS (WHO Watch) e la campagna per il diritto alla salute (Right to Health Campaign, RTHC).

Ad Assemblea conclusa, torniamo da Cape Town non solo rafforzati nella convinzione che un mondo più giusto è possibile (e necessario), ma consapevoli che in tante parti del pianeta – soprattutto quelle più oppresse e svantaggiate dall’attuale sistema – le persone riunite in movimento stanno facendo la differenza. La combinazione di analisi e attivismo su scala locale e globale che il PHM incarna non ha uguali e pare, ad oggi, una delle poche se non l’unica strategia in grado di promuovere e agire un’alternativa.

 

Chiara Bodini, Ilaria Camplone, Riccardo Casadei, Alessandro Rinaldi, Susanna Zecca, Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale

 

Guarda i video dell’Assemblea

Leggi e sottoscrivi la Carta dei Popoli per la Salute

Contatta i membri italiani del PHM: csiunibo@gmail.com

 

 

4 commenti

  1. Un modesto contributo, il mio.
    Negli ultimi 7 anni ho lavorato in 2 paesi asiatici e 4 africani, sono tornato in Tanzania da un anno.
    La costante: l’eccessiva medicalizzazione, in particolare dei bambini. Si traduce in troppi farmaci (antibiotici) e troppi esami di laboratorio prescritti. Fatti pagare dalle famiglie. E’,credo’ il risultato del diffondersi della privatizzazione in medicina. Non dovrebbe essere consentito che prescrizione e vendita di farmaci avvengano nello stesso centro di salute: chi prescrive(medico)non deve/dovrebbe avere il suo stipendio generato dalla vendita di farmaci e/o dalla esecuzione di test di laboratorio.Invece questa e’ la norma, almeno nelle citta’.
    IMCI(Integrated Management of Child Illness) e’ stata una buona iniziativa, lo scopo era di Ottimizzare l’uso dei farmaci in pediatria. I risultati NON si vedono. Anzi, con l’arrivo nelle citta’dei rappresentanti farmaceutici si diffondono antibiotici sofisticati e cari.
    Chi paga e’ la famiglia, povera il piu’ delle volte.
    Un test obsoleto e inattendibile come il Widal test e’ largamente prescritto. Domani,in Tanzania, migliaia di persone saranno diagnosticate affette da salmonellosi/tifo e trattate con cloramfenicolo. Una vera manna per la clinica privata, test e 14 giorni di trattamento.
    Grazie.
    Massimo (Serventi)
    Dodoma
    ser20@hotmail.it

  2. Grazie Chiara, Ilaria e compagnia per questo bel articolo con un panorama dell’assemblea di Cape Town.

    Personalmente mi è piaciuta molto anche la presentazione di Mark Heywood su come mobilitare le persone per realizzare la framework convention sulla salute e penso che possiamo imparare molto dall’esperienza sud africana per la cura di HIV/AIDS.

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