Spending review in sanità
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- 2 Luglio 2012
Nerina Dirindin
In Italia la spesa sanitaria pubblica è sotto controllo. Secondo la Corte dei Conti “il settore sanitario è l’esperienza più avanzata e completa di spending review”. il Governo sta ora lavorando a una ulteriore revisione della spesa sanitaria. Una revisione che rischia di interferire brutalmente con i processi già in atto (difficili e incompleti, ma certamente in buona parte efficaci) e di imporre restrizioni anche là dove non è più possibile contenere la spesa.
“È indubitabile che quella sperimentata in questi anni dal settore sanitario rappresenti l’esperienza più avanzata e più completa di quello che dovrebbe essere un processo di revisione della spesa (spending review)”. Così recita il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti (2012) pubblicato nello scorso mese di maggio (vedi Risorse).
Il documento prosegue affermando che “da settore in squilibrio strutturale, di cui era difficile prevedere la dinamica della spesa, quello sanitario oggi testimonia i risultati, seppur graduali, che è possibile conseguire nella definizione di una cultura della gestione con la collaborazione tra livelli di governo anche negli anni di crisi.” [pag. 227].
Il rapporto della Corte dei Conti contribuisce a quella operazione “verità” di cui la sanità pubblica ha enorme bisogno, soprattutto in questo particolare momento storico in cui i (pur necessari) interventi di risanamento della finanza pubblica rischiano di vanificare il faticoso processo di recupero di governance e di riequilibrio strutturale che negli anni passati ha prodotto risultati molto significativi (non senza criticità).
Vediamone gli aspetti essenziali.
Una spesa programmatica più volte aggiornata al ribasso
Una prima indicazione emerge dall’analisi della spesa programmatica, ovvero delle previsioni pluriennali di spesa contenute nei documenti di finanza pubblica, utili per la definizione del finanziamento a carico del bilancio dello Stato. La spesa programmatica incorpora infatti gli effetti delle manovre imposte di anno in anno al settore sanitario, in relazione agli obiettivi di finanza pubblica.
La spesa programmatica ha subìto nel corso degli ultimi anni continui aggiornamenti al ribasso. Prendendo come punto di partenza le previsioni contenute nel Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) del 2008 per gli anni fino al 2013, la spesa programmatica è stata oggetto di una serie di importanti revisioni al ribasso per ciascuno degli anni successivi. Si badi bene: in valore assoluto la spesa programmatica aumenta, ma aumenta sempre di meno rispetto a quanto originariamente ipotizzato.
Per il 2012, rispetto alle previsioni originarie inserite nei documenti di finanza pubblica nel 2008, la spesa tendenziale stimata dal Ministero dell’Economia si è ridotta complessivamente dell’8,5%, ben 10,6 miliardi di euro in meno (Corte dei Conti, 2012). Il che significa che, in assenza di manovre, la spesa programmata per il 2012 sarebbe stata pari a 125 miliardi, anziché 114,5 come indicato nel Def (Documento di economia e finanza) del 2012[a].
Una riduzione superiore a quella registrata per la spesa pubblica complessiva (sempre programmatica), la cui riduzione (se correttamente considerata al netto della spesa per interessi) è stata pari nel periodo esaminato al 6,9%. Tanto è vero che il peso della sanità sulla spesa pubblica primaria è sceso, sempre in termini programmatici, dal 16,08% al 15,80%. Un segno delle restrizioni imposte, ma anche del contributo del settore sanitario al risanamento finanziario.
Ancora più consistenti sono le riduzioni previste per l’anno 2013: i tagli imposti alla spesa programmatica -rispetto alle previsioni formulate nel 2008 – ammontano a oltre 15 miliardi di euro, di cui ben 4,9 successivi a quelli già introdotti nelle stime del dicembre 2011 (che incorporavano gli effetti della manovra di luglio). Ne discende – inspiegabilmente – una spesa programmatica per il 2013 sostanzialmente pari a quella del 2012!
Il fenomeno è sintetizzato nella Figura 1 che descrive, sulla base dei dati elaborati dalla Corte dei Conti, la dinamica della spesa programmatica prevista nei documenti di finanza pubblica approvati dal Governo dal 2008 ad oggi. Risulta evidente che la spesa subisce continue revisioni al ribasso, in coincidenza con le diverse manovre.
Figura 1. La spesa programmatica nei documenti di finanza pubblica

Fonte: Corte dei Conti, 2012
Il finanziamento statale aumenta meno della spesa programmatica
La spesa programmatica è la base per la determinazione del finanziamento cui concorre lo Stato (ovvero del finanziamento complessivamente assicurato dal livello centrale, sostanzialmente con la compartecipazione all’Iva, l’Irap e l’addizionale Irpef). Il concorso statale è comunque sempre inferiore alla spesa complessiva perché calcolato al netto delle risorse che le Regioni devono garantire a copertura della spesa stessa (partecipazione delle regioni a statuto speciale, entrate da ticket, intramoenia, ecc).
La Tabella 1 indica, sulla base delle previsioni rideterminate tenuto conto del DL 98/2011 (la manovra finanziaria del luglio 2011, quindi prima degli aggiornamenti effettuati con il Def 2012), i valori programmatici del concorso dello Stato al finanziamento della sanità per il periodo 2011-2014. Pur mantenendo un peso contenuto, la quota di finanziamento cui non concorre lo Stato aumenta in maniera consistente dal 2011 al 2014 (+32,2%), a fronte di un concorso statale che cresce in maniera irrisoria (+ 3,6%).
Tabella 1. Spesa programmatica e finanziamento dopo il DL 98/ 2011 (mln euro)
2011 | 2012 | 2013 | 2014 | Δ 2014-11 | |
Spesa programmatica – dic 2011 (a) | 114.941 | 117.491 | 119.602 | 121.412 | + 5,6% |
Finanziamento cui concorre lo Stato dic 2011 (b) | 106.905 | 108.780 | 109.294 | 110.786 | + 3,6% |
Differenza (a-b) | 8.036 | 8.711 | 10.308 | 10.626 | + 32,2% |
Fonte: Caruso e Dirindin, 2012
Fin qui con riguardo alla spesa e al finanziamento programmatici. Passiamo ora alla spesa effettiva, storicamente sempre superiore a quella programmata.
Un risultato del tutto straordinario nel 2011
Particolare attenzione merita il risultato della gestione della sanità pubblica nel 2011: a consuntivo le uscite effettive risultano inferiori a quelle programmate!
A fronte di una spesa che nel corso del 2011 era stata programmata pari a 114,9 miliardi, i dati provvisori (al quarto trimestre 2011) registrano una flessione (112 miliardi) sia rispetto alle attese (2,9 miliardi in meno rispetto al programmato), sia rispetto all’anno precedente (-0,6% rispetto al 2010)[b]. Un risultato del tutto straordinario che, se confermato dai dati definitivi, dovrebbe comportare una riduzione della spesa sanitaria sul Pil dal 7,3% del 2010 al 7,1% del 2011. Ed è proprio tale straordinario risultato che ha indotto il Governo a inserire, nel Def del 2012, una nuova revisione al ribasso della spesa programmatica per gli anni 2012 e seguenti. Le misure di contenimento e i Piani di rientro producono effetti che i documenti di finanza pubblica si affrettano a incorporare in via definitiva per gli anni a venire.
Il risultato del 2011 presenta andamenti molto differenziati per regione. Alcune regioni del nord si pongono in controtendenza rispetto alla dinamica nazionale, registrando un aumento della spesa rispetto al 2010 (Friuli V.G., Lombardia, p.a. Trento e Bolzano, Veneto), mentre tutte le regioni in Piano di rientro (con l’unica eccezione della Sicilia) registrano una riduzione della spesa (in alcuni casi piuttosto consistente: Puglia, Campania e Calabria). Il risultato ottenuto nel 2011 è quindi da attribuire soprattutto al mezzogiorno e agli interventi in attuazione dei Piani di rientro.
Secondo i dati diffusi nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese, il 2011 registra anche il più basso livello di disavanzi degli ultimi anni. I dati indicano disavanzi sanitari per circa 1,8 miliardi di euro (contro i 2,2 mld del 2010 e i 3,3 mld del 2009). Anche in questo caso si tratta di un risultato molto significativo, che sembrerebbe chiudere definitivamente con i ripiani ex post a carico dello Stato. Gli attuali disavanzi sono infatti interamente a carico delle Regioni e delle Province autonome che li hanno generati.
I dati di cui sopra sono ancora provvisori e possono divergere in parte da quelli resi disponibili sulla base di criteri di elaborazione lievemente diversi, ma confermano quanto sostenuto dalla Corte dei Conti: il settore sanitario è l’esperienza più avanzata e completa di spending review. Un esempio quindi da prendere come riferimento.
Anche i recenti dati Oecd confermano che la spesa sanitaria italiana è complessivamente inferiore alla media dei paesi Oecd (9,3% contro una media di 9,5%) e nettamente inferiore a quella dei paesi con livello di sviluppo simile al nostro (Francia e Germania spendono l’11,6% del Pil, il Regno Unito il 9,6%, l’Olanda il 12%, per non parlare degli USA, 17,6%).
Ma anziché essere preso come riferimento, il settore sanitario rischia di essere considerato alla stessa stregua di tutti gli altri settori, ovvero come se si partisse da zero e come se fosse ancora possibile intervenire con azioni drastiche, non calibrate sulle specifiche situazioni. Anzi, per quanto attiene al sistema di tutela della salute, è legittimo temere che la spending review rischi di diventare l’occasione per un rovesciamento dei principi alla base del nostro sistema di welfare.
Appare quindi legittimo domandarsi quali prospettive si aprano per il settore sanitario in vista dei nuovi interventi che il Governo sta predisponendo con la spending review.
Una nuova spending review irrompe nel settore sanitario
Dopo le manovre di riduzione dei finanziamenti statali di cui sopra, il Governo sta ora lavorando a una ulteriore revisione della spesa sanitaria. Una revisione che rischia di interferire brutalmente con i processi già in atto (difficili e incompleti, ma certamente in buona parte efficaci) e di imporre restrizioni anche là dove non è più possibile contenere la spesa.
I documenti preliminari presentati nei mesi scorsi sulla Spending review sono motivo di preoccupazione. Le perplessità nascono dal fatto che non è chiaro come si intenda affrontare la crisi senza farla ricadere (ancora più pesantemente di quanto non stia già accadendo) sulle fasce più deboli della popolazione.
La spending review viene spesso presentata e/o percepita come una strumento per spendere meno, mentre dovrebbe essere uno strumento per spendere meglio, cioè per qualificare la spesa. È comprensibile che chi è posto a guardia dei saldi di bilancio preferisca affermare che è necessario “spendere meno”, ma sappiamo da tempo che non sempre spendere meno vuol dire spendere meglio, mentre spendere meglio in molti casi vuol dire spendere anche meno.
Il settore sanitario è estremamente complesso e non può essere governato con strumenti grossolani. Richiede conoscenza concreta delle specifiche realtà, coinvolgimento delle professioni, determinazione nella difesa degli interessi generali, strumenti di contrasto della illegalità, continua promozione dei valori etici, ecc. Insomma, molto di più del semplice obiettivo di spendere meno.
Stupisce in particolare la scarsa attenzione alla forte variabilità interregionale dei problemi della sanità pubblica, e delle conseguenti soluzioni. Il rischio è che si continui a guardare solo ai saldi di bilancio, senza guardare dentro i sistemi regionali; il rischio è che si continui a disegnare interventi sostanzialmente lineari, somministrando la stessa medicina a pazienti che soffrono di patologie molto diverse! Se così fosse, le regioni più virtuose (ovvero quelle che autonomamente hanno già realizzato ampi interventi di riqualificazione) rischierebbero di soccombere e finirebbero con l’aderire (in assenza di alternative) a ipotesi di riduzione dei livelli di garanzia. Mentre le regioni sotto Piano di rientro vedrebbero venir meno uno stimolo a recuperare i divari. Esattamente l’opposto di quanto dovrebbe essere fatto. Il tutto nonostante la sanità abbia (come abbiamo visto) una ormai lunga esperienza di interventi di razionalizzazione che nessun altro settore pubblico ha mai neanche minimamente avviato.
In momenti di difficoltà, è quasi inevitabile che i provvedimenti non siano il risultato di un lavoro di fine cesellatura, anche se molto potrebbe ancora essere fatto in modo mirato e personalizzato. Quello che preoccupa è che tagli indiscriminati possano essere funzionali a un altro obiettivo: il superamento dell’universalismo e della globalità della tutela sanitaria pubblica. Ci sono sufficienti ragioni per ritenere che, se dovesse avvenire, ciò comporterebbe un costo per la collettività (soprattutto a carico dei più deboli) superiore al beneficio che la stessa otterrebbe con la riduzione del prelievo tributario conseguente alla riduzione della spesa pubblica. Il rischio è che decisori miopi, e disattenti nei confronti dei meno abbienti, guardino solo al breve periodo (la riduzione del disavanzo e del prelievo) e non anche al medio periodo (l’aumento dei costi per i cittadini). Per questo è indispensabile che tutti collaborino affinché si riesca ovunque a spendere meglio!
Nerina Dirindin, Università di Torino e Coripe Piemonte
Risorsa
Presentazione del Rapporto 2012 sul Coordinamento della finanza pubblica [PDF: 110 Kb]
Bibliografia
- Caruso e Dirindin. Il sistema sanitario alla ricerca della sostenibilità, in A. Zanardi (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2012. Il Mulino, 2012
- Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo. Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2012
- Ministero dell’Economia e delle Finanze. Documento di Economia e Finanza 2012. Roma, 2012
- Ministero dell’Economia e delle Finanze. Relazione Generale sulla situazione economica del Paese 2011. Roma, giugno 2012.
- Oecd, How Does Italy Compare, OECD Health Data 2012.
a. Il Def 2012 (Documento di economia e finanza) aggiorna le previsioni per il periodo 2012-2015 sulla base delle risultanze del 2011, del nuovo quadro macro economico e degli effetti finanziari associati a tutti i provvedimenti legislativi approvati a tutto marzo 2012.
b. I recenti dati della RGSEP indicano una spesa appena superiore a quella del 2010 (+0,1%), ove calcolata al netto degli ammortamenti degli investimenti (da quest’anno per la prima volta contabilizzati nella spesa delle regioni).
Ieri 4 Luglio molti quotidiani e testate di telegiornali annunciavano una spending review nella Sanità, con misure abbastanza pesanti, ma presentate come “necessarie” dal Consiglio dei Ministri. Nella tarda serata giravano notizie, confermate oggi 5 Luglio, che il Ministro Balduzzi, contestava i tagli. La domanda è la seguente: se il Ministro Balduzzi è un Ministro tecnico e non politico, come mai non condivide quanto gli altri Ministri tecnici hanno deciso? Se vogliamo essere acora più espliciti la domanda è: i Ministri tecnici sono in realtà Ministi politici? A mio parere, il tecnico deve garantire un’azione tecnica che deve prescindere da condizionamenti e/o concertazione, se il Consiglio dei Ministri ha indicato ancora margini di tagli per risparmi e miglioramenti, un Ministro tecnico che dichiara quanto avrebbe dichiarato il Ministro Balduzzi, non è un Ministro tecnico ma politico, ed alimenta la confusione del provvedimento della spending review.
Bisogna comunque stare attenti perchè lo scostamento tra spesa programmata e spesa effettiva è dovuto in gran parte al trasferimento dei costi alle tasche dei cittadini: per intere aree assistenziali ( diagnostica di laboratorio, visite specialistiche) il combinato disposto tra peso dei tickets e tempi di attesa ha reso più conveniente ( costa meno) e tempestivo ( si fa molto prima) il ricorso al privato.