Spending review. La posta in gioco
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- 9 Luglio 2012
La sopravvivenza del nostro servizio sanitario nazionale è messa a rischio da chi, puntando sullo sfascio, ha pronte soluzioni assicurative (com’è avvenuto in questi giorni in Spagna) e dai sostenitori dello status quo, dai difensori di interessi consolidati che quasi mai coincidono con gli interessi dei cittadini e dei pazienti. È necessario contrastare il metodo dei tagli lineari della spending review. Ma ciò non basta: è necessario riformare in profondità il nostro sistema sanitario. È possibile spendere meno e meglio, migliorando la salute della popolazione e la qualità dei servizi.
È chiaro che intorno alla spending review si gioca una partita che ha come posta in gioco la sopravvivenza del servizio sanitario nazionale (SSN). La prospettiva di un SSN sottofinanziato, stremato, reso inefficiente e iniquo da una continua, ripetuta sottrazione di risorse è un invito a nozze per coloro che non aspettano altro per lanciare la campagna finale a favore di assicurazioni o mutue private. In Spagna, alla fine dello scorso aprile, è successo esattamente questo: con un Regio Decreto, senza neppure una discussione in parlamento e nella disattenzione generale, è stato soppresso l’impianto universalistico del servizio sanitario spagnolo e introdotto il sistema assicurativo, vedi il post Servizi Sanitari nel mirino (“Capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti”, Naomi Klein).
Ma la sopravvivenza del SSN è messa a repentaglio anche dai sostenitori dello status quo, dai difensori di interessi consolidati che quasi mai coincidono con gli interessi dei cittadini e dei pazienti, da coloro che raccontano impunemente la favola del sistema sanitario italiano “secondo al mondo, l’ha detto l’Oms”. Ormai è ben noto che quella classifica dell’Oms del 2000 era alterata da gravi bias metodologici[1-2], mentre meno conosciuta è la classifica dei sistemi sanitari europei prodotta annualmente dall’ Health Consumer Powerhouse, organizzazione indipendente di Stoccolma, che annualmente produce il rapporto “Euro Health Consumer Index”. Il documento del 2012 (vedi risorse) pone l’Italia al 21° posto su 34 paesi. Siamo superati non solo dai nostri tradizionali concorrenti (Germania, Francia, Regno Unito, al primo posto in classifica l’Olanda), ma anche da paesi dell’ex Europa orientale come Repubblica Ceca, Slovenia e Croazia.
Dobbiamo ammettere che il nostro sistema sanitario è pieno di falle e di iniquità. Abbiamo in Italia una delle popolazioni più vecchie del mondo e non si fa niente per porre un freno al dilagare delle malattie croniche. Prevenzione zero anche per paura di inimicarsi le multinazionali del cibo e delle bevande, mentre i ragazzi italiani sono secondi solo ai greci nella classifica europea di obesità e sovrappeso. Innovazione solo negli ospedali e nelle attività specialistiche, mentre poche briciole vanno ai servizi territoriali e alle cure primarie, l’ambito dove sarebbe più appropriato e efficace intervenire nella lotta contro la cronicità. Poiché l’attuale modello di sistema sanitario è basato sui consumi – di farmaci, di attività diagnostiche, di ricoveri – (in larga parte inappropriati, spesso inutili e talora dannosi), i tagli “lineari” si scaricheranno inevitabilmente sulle famiglie, sia in termini finanziari che di impegno assistenziale.
È possibile spendere meno e meglio, migliorando la salute della popolazione e la qualità dei servizi. Per fare questo è necessario un modello di sanità completamente diverso da quello attuale, economicamente sostenibile, attento all’equità e ai bisogni delle persone e delle comunità, orientato al contrasto delle malattie croniche.
Questo nuovo modello di sanità, sperimentato con successo in diverse realtà internazionali, si basa su tre fondamentali pilastri:
- la prevenzione
- il coinvolgimento delle comunità e delle persone nei processi di cura
- la riorganizzazione e il rafforzamento della medicina di famiglia e dei servizi territoriali.
In questo senso, la prevista riduzione di quasi 18 mila posti letto per raggiungere in tutte le regioni lo standard di 3,7 posti letto per 1000 abitanti è un’occasione per trasferire risorse dal settore ospedaliero a quello territoriale, per trasformare piccoli e inefficienti ospedali in case della salute. Infatti, la riduzione dei posti letto ospedalieri ha un senso solo se è accompagnata dal rafforzamento di un’offerta di servizi alternativa e più adeguata ai bisogni delle persone.
Infine, come suggerisce il recente post di Alfredo Zuppiroli, sta anche ai medici promuovere un nuovo modello di sanità basato sulla sobrietà, sull’appropriatezza e sull’efficacia. Basato sull’idea che si può avere una buona sanità a basso costo, come suggerisce un editoriale del New England Journal of Medicine[3], da cui abbiamo tratto questo brano:
“Noi non tolleriamo l’incertezza. Non volendo che niente di male possa accadere, di riflesso eccediamo nei test e nelle terapie al fine di proteggere i nostri pazienti – e noi stessi. Ci sentiamo giudicati da tutti – da noi stessi, dai nostri colleghi, dai nostri pazienti, dal sistema sanitario, e dagli avvocati. Il significato di “primo non nuocere” è cambiato per noi. Pensiamo che “fare ogni cosa possibile” sia la migliore pratica e la strada per prevenire un danno, con l’idea che ciò ci proteggerà dalle critiche. Noi prescriviamo esami e terapie solo perché sono disponibili, a prescindere dall’appropriatezza, della sicurezza, e della valutazione costo-benefico.” (…) “Chi è realmente il beneficiario quando noi ordiniamo un esame: il paziente, il laboratorio, la compagnia che l’ha prodotto, gli amministratori dell’assicurazione sanitaria, o i loro azionisti? E chi priviamo dell’assistenza sanitaria quando noi spendiamo quei dollari? ” (…) “Tutto ciò sta mandando in bancarotta il nostro sistema sanitario, privando molte famiglie dall’accesso all’assistenza sanitaria.” (…). “Noi dobbiamo insegnare ai nostri pazienti che “più medicina” non è “migliore medicina” e che è il cattivo sistema sanitario a indurre i medici a prescrivere troppi esami e troppi farmaci, e che interventi costosi non significano affatto una migliore assistenza sanitaria. Allo stesso modo con cui ci interessiamo dei loro bisogni personali, noi dobbiamo spiegare ai nostri pazienti che noi dobbiamo usare le nuove tecnologie mediche con prudenza e saggezza. Una spesa sanitaria indiscriminata non è fiscalmente sostenibile e di fatto impedisce di raggiungere la copertura universale.”
Risorsa
Euro Health Consumer Index 2012: Report [PDF: 2,2 Mb]. Health Consumer Powerhouse
- Blendon RJ, Kim M, Benson JM. The public versus the World Health Organization on health system performance. Health Affairs 2001; 20(3):10-20.
- Murray CJL, Evans DB. Health Systems Performance Assessment, Debates, Methods and Empiricism. Geneva: WHO, 2003.
- Palfrey S. Daring to Practice Low-Cost Medicine in a High-Tech Era. N Engl J Med 2011; 364:e 21March
Caro Gavino son d’accordo con te che a volte i nostri colleghi a volte chiedono esami laboratori che radiologici che non richiedono i sintomi che accusano il malato(un po per il basso livello della preparazione dei colleghi e un po per interessi reciproci) e cosi anche quando vengono prescritti medicinali.
D’accordo con te anche di potenziare 1.la prevenzione
2.il coinvolgimento delle comunità e delle persone nei processi di cura(coscientizzare il publico sulla Sanita).
3.la riorganizzazione e il rafforzamento della medicina di famiglia e dei servizi territoriali(valutare la situazione sanitaria e agire per migliorare in merito).
Per quanto riguarda coloro che difendono loro interessi e’ molto notato in Stati Uniti d’America dove e’ sotto controllo dal sistema che lascia una enorme massa della popolazione che non riesce avere servizio sanitario e questo supratutto e’ dovuto dalla chiusura(effettuata dal sistema) che pone difficolta’ per ottenere la Licenza per la professione medica (step 1, step 2 e step 3 quando una volta negli anni 70 era soltanto un esame)difficolta da non permettere l’aumento del numero dei medici-migrati in America(per mantenere monopolio del servizio sanitario) ed e’ lo stesso per gli infermieri.
Quando invece aumentando il numero dei medici ed infermieri ponendo uno solo esame seriamente organizzato(e poi anche se sono tre o quattro steps ma abbassando il costo per sostenere tali esami, inquanto molti del terzo mondo, dove esistono ben qualificati medici, non possono permettersi di pagare la somma che richedono per sostenere tali esami(e allora il sistema sa nitario rimane chiuso e controllato aperto per alcuni e non per altri della popolazione).
Dico facilitando migrare medici, si poteva cosi’ avere nel territorio medici di vari prezzi e cosi anche di basso prezzo per chi non puo’ pagare molto al medico e cosi quasi tutti i cittadini ci riescono usufruire il servizio sanitario(di basso costo ed anche buono oppure anche il migliore).
Vedete se l’idea puo’ essere applicato anche in Europa(considerando anche i tempi che occorrono della difficolta economica mondiale: trovare nel proprio territorio un elemento-medico/infermiere gia qualificato penso che sia un vantaggio nazionale ed occorre permettere la migrazione).
“Pero’ caro Gavino in questo modo vedo che priviamo il terzo mondo del loro elemento-medico/infermiere che era utile, e non so se e’ da incoraggiare la migrazione, che ne dici?!”.
Mugne
Ho letto le considerazioni di Dirindin, Geddes e Caltabellotta, molto interessanti, sulla spending review.
Nella salvaguardia del SSN universale ed equo, non posso che sottoscrivere con forza la proposta di Maciocco sulla nuova gestione delle persone affette da malattie croniche e sull’opportunità di ridurre i costi a livello ospedaliero spostando, finalmente, risorse e non briciole verso le cure primarie e l’assistenza territoriale! gli studi evidenziano che tale nuova gestione dimostra significativi risultati positivi.
Inoltre, Dirindin segnala quanto recita il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti (2012):“È indubitabile che quella sperimentata in questi anni dal settore sanitario rappresenti l’esperienza più avanzata e più completa di quello che dovrebbe essere un processo di
revisione della spesa (spending review)”. A fronte di ciò, l’esperienza in linea mi permette di segnalare una forte sofferenza delle organizzazioni sanitarie, soprattutto territoriali, nel fronteggiare, in particolare, le contrazioni degli organici, soprattutto fra gli infermieri ed i terapisti della riabilitazione, ma anche fra i medici ed altre figure professionali. Sarebbe indispensabile tener conto di tali sofferenze prima di por mano ad altri tagli non oculatamente orientati: ansie ed emozioni, fatica e frustrazioni, informano fortemente la motivazione a continuare a sostenere, col proprio lavoro, il delicato SSN.
Prima si riorganizza, poi si assume. Sicuramente medici non mancano, anzi. Il problema però è dato dal fatto che è facile non dare (assistenza ai cronici), difficile togliere (esami e terapie ininfluenti) col richio che arrivi qualche denuncia o qualche magistrato che imponga anche ciò che non è dimostrato veramente utile (vedi le polemiche sulla cura Di Bella e, in parte, sulla CCSVI). Per questo , e per altro ancora, ci vuole senso di responsabilità individuale e collettivo (i partiti) e metterci la faccia, che pochi fanno.
il livello di inappropriatezza raggiunto in Italia (e altrove) si mangia almeno il 30% della spesa sanitaria. Il radicale e ineliminabile conflitto di interesse che riguarda i professionisti sanitari (traducono in domanda il bisogno percepito di salute, dispongono o erogano la prestazione diagnostico terapeutica, se le cose vanno bene è merito loro, se vanno male è il corso della natura nella migliore delle ipotesi, altrimenti è colpa del paziente e dei suoi vizi) si controlla solo con la sistematica valutazione della qualità effettuabile solo a livello di comunità, perchè a livello individuale niente è possibile dire non disponendo della prova controfattuale. E la comunità deve essere messa in grado di avere consapevolezza del suo stato e deve essere promossa la ssua capacità di controllo sul suo stato di salute (public health literacy, invece che health literacy).
La necessità della valutazione, condizione essenziale per verificare e promuovere la professionalità, deriva dall’incertezza insita in ogni conoscenza scientifica, che, nel caso della salute, si basa sulle prove di efficacia.
Le prove di efficacia, anche per i limiti ineliminabili di limitazione del contesto in cui vengono acquisite (quando non distorte da falsificazioni assurte sempre più spesso agli onori/orrori della cronaca), hanno proprio perche scientificamente acquisite un conosciuto margine di incertezza. Quindi la valutazione nella pratica è conditio qua non per la verifica e la promozione della professionalità.
Non è difficile dimostrare che se nella comunità esistono differenziali negli indicatori di salute per stratificazione sociale.
si può affermare che la qualità è minore di quella acquisibile in quel contesto e con quelle risorse, anche per i better off e non solo per i worst off. per questo un sistema sanitario pubblico ha ragione di esistere se è in grado di ridurre gli effetti sulla salute delle disuguaglianze sociali
il potenziamento dei servizi territoriali è stato proposto con il Progetto Obiettivo Materno Infantile, varato nel 2000, ma proposto nelle sue linee generali dalla fine degli anni 80 (è stato il mio contributo più importante alla sanità pubblica.
E’ stato sistematicamente ignorato (pur essendo legge) e boicottato da politici nazionali e locali, amministratori, dirigenti e professionisti, per non parlare degli ordini professionali e delle (sic!) società scientifiche. Fissare obiettivi di salute misurabili con indicatori di esito, e con il corredo di quelli di processo e di risultato è sempre apparsa una bestemmia. Indicare chi, come, quando , come, dove e cosa fare è stato visto un inaccettabile vincolo all’arbitrio decisionale.
Si potrebbe dire che il POMI riguarda un settore particolare ma si deve tener presente che l’ambito della salute della donna e dell’età evolutiva è paradigmatico. è un ambito in cui la maggior parte delle attività riguarda la fisiologia dove l’inappropriatezza è particolarmente odiosa, si tratta di persone verso le quali l’investimento in termini di promozione della salute è più redditizio (anche per gli effetti di irraggiamento) rispetto a qualunque altro settore. ma la promozione della salute (intesa secondo la Carta di Ottawa) si realizza con strategie operative che permettono di verificare la qualità (tutto delineato nel POMI) e ciò è in contrasto con il tradizionale modello paternalistico direttivo caratteristico dell’approccio autoreferenziale del taumaturgo.
tanto per non rimanere nel vago, qualcuno mi deve spiegare perchè nell’interruzione volontaria di gravidanza in Italia viene impiegata l’anestesia generale invece che quella locale, come raccomandato a livello internazionale, anche per migliore tutale della salute della donna, con un costo aggiuntivo dell’ordine di 100/150 milioni di euri/anno. denunciamo l’inappropriatezza in tutte le sedi (dal parlamento ai convegni scientifici) da trenta anni senza che ci sia un ripensamento e un cambiamento (ecco un esempio serio di spending review).
qualcuno mi deve spiegare dove sta il razionale della priorità (per me anche della utilità comunque) della vaccinazione contro l’HPV, quando l’efficace offerta attiva del pap test, che comunque si deve fare, da sola risolve meglio il problema. questo ci costa circa 80 milioni l’anno.
Non sono sprechi della stessa portata degli F35, ma sono solo due esempi di sprechi accettati senza significative opposizioni.
Difendere la sanità pubblica a parole non è difficile, formulare proposte operative verificabili per la loro efficacia è più complesso e doloroso per gli interessi autoreferenziali.
nota a margine: è per me particolarmente odioso sentire affermazioni che scaricano sui cittadini la responsabilità della richiesta di interventi inappropriati. Biasimare le vittime è un esercizio infame.
michele grandolfo