W la Spending review! W il Servizio Sanitario Nazionale!

Marco Geddes

Si esce dalla crisi con la consapevolezza che l’universalismo si basa sul rigore; che lo si mantiene se vi è la capacità di combattere diritti acquisiti e privilegi consolidati; che dobbiamo intraprendere una operazione di revisione della spesa che richiede il bisturi e non l’accetta e in particolare che necessita di una idea del Paese, e non una ideologia di cassa.


Il processo di revisione della spesa può imboccare due strade che, nell’attuale governo e nella eterogenea maggioranza che lo sostiene, hanno entrambe i loro sostenitori: un processo di rafforzamento del servizio sanitario nazionale ovvero un avvio (o, per alcuni versi, un ulteriore passo) al suo smantellamento, una “picconata” all’universalismo che lo caratterizza e ai principi costituzionali su cui si fonda.

Esaminiamo entrambi gli scenari per valutare i pericoli di questa operazione e le necessarie proposte in difesa del Servizio sanitario nazionale.

Iniziamo con i pericoli, connessi all’attuale manovra, già delineati dal contributo di Nerina Dirindin, precedente all’approvazione del Decreto[1]. L’effetto dei nuovi provvedimenti sul sistema sanitario, deve essere letto all’interno delle misure già assunte nel corso degli ultimi due anni, misure che investono il triennio 2012 – 2014: interventi sul personale (art. 9 comma 16, L. 122/2010); economie di spesa farmaceutica (art 11 comma 123, L. 122/2010); reintroduzione super ticket 10 euro (art 17 comma 6, L. 11/2011); tagli vari e 2 mld di nuovi ticket dal 2014 (art. 17, L. 11/2011)  etc.

Nella intenzione di una parte del governo e delle forze politiche, tramite la spending review, si mira ad una ridefinizione dell’intervento pubblico con la finalità di orientare la domanda verso il settore privato dell’economia. Si riaffaccia l’idea, ma meglio definirla l’ideologia, che la soluzione dei problemi e dei costi della sanità sia da ricercare ampliando lo spazio del privato e non tanto in termini di erogatori, ma di gestori – finanziatori del sistema. Non importa se i dati dicono il contrario, se le regioni in cui la presenza del privato è maggiore – come il Lazio – sono quelle in cui la spesa è più elevata e sono soggette a manovre di rientro, se la spesa pro-capite in Italia è inferiore del 40% rispetto a Francia e Germania (uno spread al contrario); se il libero mercato nella sanità non ottimizza il funzionamento per una asimmetria dell’informazione, come riconoscono i maggiori economisti e anche dirigenti di grandi gruppi industriali e farmaceutici[2].
L’ideologia è – appunto – senza necessità di riferimento ai dati di fatto!

I tagli generici, decisi centralmente, e i nuovi ticket, già disposti dalle ultime manovre finanziarie, compromettono il diritto costituzionale alla salute e all’assistenza. I ticket peraltro non hanno più una funzione di contenimento della domanda, ma si pongono unicamente come una imposta al consumo, che, data l’entità che assumono per varie prestazioni in relazione anche al reddito, esortano i soggetti a orientarsi verso l’offerta privata, che appare spesso più vantaggiosa.

La riduzione del 5% delle spese in servizi di supporto, imposta dal Decreto “spending review”, che comprendono ad esempio i trasporti, le pulizie e la sanificazione, la gestione impiantistica delle strutture sanitarie, gli interventi ordinari, perpetua un antico vizio italico contro il quale si è – inutilmente battuto – un economista quale Andreatta che era solito esclamare “Lo vuol capire o no che i problemi dell’economia sono essenzialmente problemi di manutenzione” e nella manutenzione mancata di grandi e piccole cose di ogni giorno c’è la metafora etica di un Paese[3].

Un intervento che parte dalla riduzione del finanziamento della sanità, comporta una riduzione solo temporanea della spesa (pubblica), tagliando dove vi sono meno resistenze, dove i poteri di interdizione sono più deboli e non introduce risparmi strutturali.

Il quadro si completa – negativamente – con la ormai pressoché totale assenza di politiche sociali, che alle problematiche sanitarie sono strettamente connesse. Pochi dati sono sufficienti ad illuminare il “disastro” in cui versa tale settore dell’intervento pubblico: per la famiglia le risorse in percentuale rispetto al PIL ammontano all’ 1.4% (UE 2,3%);  per disoccupazione 0.8% (UE 1.8%); per le politiche abitative 0.0% (UE 0.6%); per la esclusione sociale 0.1% (UE 0.4%) !

Questo è il quadro che ha spinto personalità  e associazioni a lanciare un appello per il diritto alla salute[4].

Cosa dovrebbe quindi proporre una spending review finalizzata a rinforzare il servizio sanitario nazionale e renderlo compatibile con i problemi economici della nazione nei prossimi anni? In primo luogo assumere come finalità tale obiettivo, con la consapevolezza che in un periodo di crisi economica, di difficoltà per larga parte della popolazione italiana, di riduzione dei consumi (con conseguente “avvitamento” della crisi, della produzione interna, della occupazione), un antidoto potente è quello di mantenere e potenziare la assistenza sanitaria. Il sistema sanitario nazionale inglese fu concepito proprio negli anni successivi alla grande crisi, come risposta in difesa dei bisogni fondamentali della popolazione e di garanzia in momenti di difficoltà assistenziale ed economica, proprio per facilitare la ripresa dei consumi, la coesione sociale, la fiducia collettiva. Analoghi propositi hanno guidato il presidente  Obama negli Usa: proteggere i bilanci familiari, evitare bancarotte familiari per motivi sanitari, mantenere la potenzialità di spesa delle famiglie, tutelate rispetto a una problematica assistenziale sotto il profilo economico.

La manovra dovrebbe partire inoltre da processi di revisione della spesa già in atto nel sistema sanitario, che devono essere potenziati ed estesi alla totalità delle regioni, poiché quella sperimentata in questo anni, come ha certificato la stessa Corte dei Conti, è l’esperienza più avanzata e completa di tale processo. Uno sguardo ad un parametro spesso citato, anche in questa occasione: i posti letto. Dal 1978 al 2008 i posti letto sono passati dal 485.578 a 190.176 con una eliminazione di 295.402 posti letto, pari al 61%! Ulteriori tagli devono essere selettivi, interessare prevalentemente alcune regioni, la sanità privata (che si è ridotta assai meno), i grandi policlinici universitari, dove le doppie, triple, quadruple strutture con identiche prestazioni sono conseguenza di scelte baronali.

Non si tratta di spendere meno, ma di spendere meglio, con la consapevolezza che – come dimostra il confronto fra le varie regioni – quando si spende meglio si spende meno.

Pochi giorni fa sono state avanzate precise proposte in tal senso[5], con la sollecitazione a riprendere un cammino spesso interrotto, sui temi della appropriatezza, dell’efficacia, dell’equità. Riprendiamo e integriamo alcune delle proposte, che potrebbero essere attuate nel corso di un biennio, portando benefici strutturali al servizio sanitario:

  • Definizione dei bacini di utenza per le grandi tecnologie, dato che il nostro paese ha un “parco macchine” (ad esempio le Tac) triplo rispetto all’Inghilterra, con un numero di Tac (rispetto agli abitanti) in Calabria che è il doppio e in Campania triplo rispetto all’Emilia Romagna!
  • Volumi minimi di attività, al di sotto dei quali è necessario accorpare i servizi anche al fine di renderli efficaci.
  • Revisione del prontuario terapeutico con obiettivi puntuali e realistiche (iniziare con la eliminazione di quello che non serve).
  • Revisione delle tariffe regionali ospedaliere e specialistiche.
  • Trattamento fiscale dei fondi integrativi recuperando una parte consistente delle risorse che vengono rastrellate attraverso i ticket
  • Ridefinizione, attraverso un confronto con le categorie interessate, di criteri e modalità di utilizzo del personale medico e infermieristico: affrontare le modalità di turnazione degli infermieri (il turno in quarta); la guardia festiva e notturna di chirurghi e ortopedici, il cui impegno – sempre più prezioso anche per la scarsezza di tali professioni, deve concentrarsi nella diagnostica e nella sala operatoria; eliminare forme di semplice privilegio per alcune categorie, quali i 15 giorni di congedo aggiuntivo per rischio radiazioni.
  • Norme giuridiche e assicurative a tutela degli operatori sanitari, finalizzate anche a limitare la medicina difensiva e favorire una Choosing Wisely[6]
  • Riconversione dei piccoli ospedali non in base ad una azione centralistica sui posti letto, ma concertando con le regioni, in relazione ai volumi di attività e alla distanza da altri  Presidi. Si tratta di una operazione importante se si vuole dotare, con tale riconversione, il territorio di strutture efficienti per una prima presa in carico dei pazienti e per assicurare l’assistenza nella fase successiva al ricovero.

Il tema che abbiamo di fronte è: come usciamo da questa crisi?

Con la consapevolezza che l’universalismo si basa sul rigore; che lo si mantiene se vi è la capacità di combattere diritti acquisiti e privilegi consolidati; che dobbiamo intraprendere una operazione di revisione della spesa che richiede il bisturi e non l’accetta e in particolare che necessita di una idea del Paese, e non una ideologia di cassa.

Bibliografia

  1. Dirindin N. Spending review in sanità. Saluteinternazionale.info 02.07.2012
  2. Intervista a Daniel Vasella, presidente della Novartis di F. Zakaria, Washington Post, riportata sul Corriere della Sera 08.07.2012.
  3. Roberto Napolitano. Sole 24 ore, 30.10.2011
  4. Per il diritto alla Salute colpire gli sprechi, spendere meglio, ma fermare i tagli !
    Appello [PDF: 70 Kb]
  5. Diritto alla Salute, spending review, universalismo [PDF: 1,2 Mb]. Roma: discussione pubblica 06.07.2012
  6. Luppiroli A. Da “Spending Review” a “Choosing Wisely” . Saluteinternazionale.info 09.07.2012

4 commenti

  1. Bello quano due persone che si stimano manifestano lo stesso giorno, senza alcun accordo, le proprie idee sullo stesso argomento.
    Ecco le mie caro Marco e lettori dei SaluteInternazionale.

    Nelle polemiche che hanno accompagnato il doloroso processo di spending review, nessuno ha citato l’art. 6 (Qualità professionale e gestionale) del Codice di Deontologia Medica: “il medico agisce secondo il principio di efficacia delle cure nel rispetto dell’autonomia della persona tenendo conto dell’uso appropriato delle risorse”.

    Considerata l’urgenza delle misure previste dal Ministero della Salute nel processo di spending review, è inevitabile e indispensabile il coinvolgimento dei medici che non possono più lamentarsi di tagli indiscriminati se non collaborano con la loro professionalità a individuare e contenere gli sprechi evitabili.

    Leggi tutto a: http://www.ninocartabellotta.it/2012/07/spending-review-la-soddisfazione-nascosta-dei-professionisti/

  2. …. “Combattere diritti acquisiti” ???????

    Il taglio dell’articolo è “cerchiobottista” e finisce per collimare, diciamocelo chiaramente, con la posizione del PD e di Napolitano che, incapaci (?)di sviluppare un minimo di analisi critica del biocapitalismo e della rendita finanziaria ne sono oggi i più organici sostenitori, arrivando – appunto – a “combattere diritti acquisiti” pur di garantire l’interesse di banche e finanza con la quale hanno evidentemente legami il cui mantenimento rappresenta un fine in sè.

    Così i diriti da combattere sono quelli degli esposti al rischio e dei malati, quelli di chi produce valore con la sua vita e non quelli della rendita finanziaria!

    Il paese viene tenuto fermo tramite l’azione dei partiti e dei sindacati, i movimenti sociali vengono duramente repressi il tutto per continuare a fare bella figura nei circoli esclusivi frequentati dall’1%.

    E’ giunto il momento di scegliere!

  3. L’assicurazione sanitaria integrative: una falsa buona soluzione? i dubbi dall’esperienza francese

    Di fronte alla situazione dei conti pubbblici sempre più in Europa c’è chi promuove la pensione integrativa o ancora l’assistenza sanitaria integrrativa come soluzione per estendere un secondo Welfare volontario e responsabile
    da tempo la Francia è diventato il regno dell’assicuarazione sanitaria integrativa: accanto alla assistenza pubblica obbligatoria dell’assicurazione malattia della Sécurité Sociale che copre 100% della popolazione salvo gli immigranti irregolari, infatti 95% degli assititi hanno cosi una assicurazione sanitaria integrativa, due terzi mutualistica integrativa e un terzo assicurativa-commerciale
    Oggi questa assicurazione integrativa finanza più del 10% della spesa sanitaria complessiva mentre il pagamenti diretto out of the pocket rimane limitato a circa 7%: una situazione atipica nel panorama dei sistemi sanitari europei.
    L’assicurazione sanitaria integrativa copre una parte della spesa ambulatoriale 40% e farmaceutica 50% con tickets, franchigie e eliminazione dal prontuario farmaceutico, sempre più abbandonate dal finanziamento pubblico della Sécurité Sociale in stallo relativo e sempre più concentrata sula costosa spesa ospedaliera classica e diurna
    L’assicurazione integrativa in quanto volontaria e non obbligatria ha oggi per i governi europeisti il vantaggio di non apparire come una spesa pubblica ma privata dunque non sottostante ai parametri di Maastricht e del FiskalPakt, Inoltre il suo carattere ancora prevalentemente mutualistico no profit in Francia permette di nascondere la sua essenza privata in quanto basata su una solidarietà limitata, professionale, territoriale o aziendale o su mecanismi di su una mutualizzazione meramente assicurativa (la parte no profit è in lenta regressione di fronte alla crescita aggressiva della parte commerciale sostenuta dalla direttiva europea di impostazione liberista sulle mutue non pubbliche).
    Per questi motivi oltre alla copertura medica universale CMU introdotta nel 1999 per i “poveri” (specie di Medicaid alla francese sulla base di una assicurazionemalattia base obbligatoria e professionale poi universale) e che copre anche una assicurazione integrativa pubblica per 5 milioni di persone, i governi di destra al potere dal 2002 hanno cercato di estendere l’assicurazione integrativa addiritura creando nel 2004 un voucher pubblico per favorire l’accesso all’assistenza integrativa privata mentre cercavano di ridimensionare l’assistenza pubblica (una logica parallela a quella della pensione dove viene defiscalizzata una parte dell’integrativa mentre si taglia quella pubblica)
    A tal punto che il governo Sarkozy-Fillon nel 2010 proponeva di staccare completamente le cure dentistiche e quelle oculistiche dall’assitenza sanitaria pubblica e di affidarle all’assitenza integrativa privata diventata allora sostitutiva. Già accanto al NHS britannico operano parallelamente assicurazioni private organizzando reti e filiere sanitarie come lo fa anche l’assicurazione francese AXA nella Regione Lazio.
    Assistenza integrativa oggi, assistenza sostitutiva domani?
    Però studi recenti dell’IRDES istituto di economia sanitaria parigino finanziato per parte dal Ministero della salute mostrano le disugualianze di adesione alle assicurazioni integrative: se il 5% non assicurato è spesso formato di disoccupati, precari, operai troppo “ricchi” per aver diritto alla CMU (oggi circa 700 E. per un single adulta), le assicurazioni integrative sono molto diverse a secondo della categoria: in sintesi quelle collettive spesso cofinanziate dalla grande azienda per dirigenti, ingegneri e dipendenti stabili a miglior profilo di rischio sono quelle più generose mentre quelle individuli più care e meno generose in prestazioni sono quelle concordate da dipendenti di piccole e medie aziende o da precari a peggior profilo di rischio (piove sul bagnato, per cosi dire)
    L’IRDES che fa regolari inchieste sulla rinunncia di assistiti alle cure ambulatoriali, dentistiche ed oculistiche (causa del sovraffollamento dei pronti soccorsi) nota che il tasso di rinuncia è più elevato tra quelli senza assistenza integrativa e quelli con una assistenza integrativa individuale spesso di alto costo e di bssa qualità
    Insomma l’assicurazione sanitrria integrativa (come la pensione integrativa volontaria) viene usata in un Welfare aziendale nel contesto dell’erosione progressiva e programmata del Welfare pubblico universale: al contrario del Welfare aziendale-paternalistico di fine Ottocento, oggi i sindacati neocorporativi in una cogestione di quel neo-Welfare aziendale ne possono ricavare soldi, potere e riconoscimento, ma un sindacatto confederale interessato all’equità concepita come ugualianza dovrebbe prima di tutto difendere e migliorare ll Welfare universalistico.
    L’apparente paradosso è che gli stessi opinion- and decision-makers esperti/giornalisti/politici che riducono le garanzie deil diritto del lavoro per equiparare i garantiti “privilegiati” ai precari flessibili promuovono d’altra parte un Welfare aziendale consonne al dualismo del mercato del lavoro che pretendono denunciare. Il paradosso apparente invece si scioglie se referito alle logiche del Finanzkapitalismo contemporaneo e se la sedicente scienza economica viene vista come una economia politica (neoclassica), non scienza ma doxa per dirla alla Pierre Bourdieu: maschera ideologica della privatizzazione.
    L’assistenza sanitaria integrativa: un cavallo di Troia della privatizzazione subdola del finanziamento in sanità, come lo ritiene l’associazione Attac Francia?
    lPer finire, la spesa privata inoltre fa difficoltà ad essere regolatacome ‘illustrano gli USA almeno fino all’Obamacare: oltre agli argomenti di equità, un vero tentativo di controllo dei costi complessivi della sanità e dunque dell’efficienza sistemica richiede dunque una quota importante di spesa pubblica efficace.
    Dunque, l’assicurazione sanitaria integrativa, sarebbe una falsa buona soluzione in Europa, come era ieri nel contesto dei programmi di aggiustamento strutturale FMI in Africa la compartecipazione out of the pockets delle famiglie alla spesa sanitaria pubblica?

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