“Good health at low cost”: il caso Etiopia
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- 26 Novembre 2012
Sandro Accorsi e Vincenzo Racalbuto
Il sistema sanitario etiopico ha raggiunto alcuni importanti risultati. Tuttavia non mancano delle criticità. Il sistema infatti evidenzia dei chiari successi nel caso di programmi “verticali” (vaccinazioni, Hiv/Aids), ma viceversa dei fallimenti quando si tratta di far funzionare il sistema sanitario nel suo complesso, 24h su 24h, come l’assistenza alla gravidanza e al parto.
Si possono ottenere buoni risultati di salute (Good Health) con risorse limitate (Low cost)? Uno studio [2] risponde affermativamente, descrivendo i risultati ottenuti in alcuni paesi (Bangladesh, Kyrgyzstan, Ethiopia, Thailandia e lo stato indiano del Tamil Nadu).
Questo post è dedicato all’Etiopia il cui piano strategico nazionale (“Health Sector Development Program” – HSDP), avviato nel 1998, individuava i seguenti obiettivi generali:
- rafforzamento del sistema sanitario distrettuale con integrazione dei servizi comunitari con quelli sanitari di base (preventivi e curativi) e quelli ospedalieri nell’ambito dello sviluppo del sistema di riferimento sanitario
- coordinamento ed armonizzazione fra governo e donatori
- collaborazione intersettoriale
- capacità di pianificazione delle attività e monitoraggio dei risultati con conseguente trasparenza, “accountability” e “ownership”
- “leadership” politica
- partecipazione comunitaria[1].
I risultati
I risultati raggiunti rappresentano un successo dell’Etiopia in un contesto difficile di povertà, sottosviluppo e carenza infrastrutturale, che merita di essere documentato e analizzato nei suoi aspetti (pur contraddittori) di innovazione e sostenibilità.
L’Etiopia ha mostrato una forte diminuzione della mortalità sotto i 5 anni (da 217 a 88 per 1000 nati vivi nel periodo 1990-2011)[3,4,5], con una performance migliore rispetto alla media dei paesi dell’Africa sub-Sahariana (da 180 a 129 per 1000 nati vivi nello stesso periodo)[6].
Con una riduzione media della mortalità sotto i 5 anni del 2.4% prima del 2000 e di oltre il 5% nel periodo 2001-2010 (5,2% nel periodo 2000-2005, e 5,7% in quello 2005-2010), l’Etiopia è in linea con il raggiungimento del “Millennium Development Goal” (MDG) 4: ridurre di 2/3, fra il 1990 ed il 2015, il tasso di mortalità nei bambini sotto i 5 anni[7](Figura 1).
Indicatori di servizio derivati dal sistema informativo di routine (“Health Management Information System” – HMIS) mostrano un quadro simile di miglioramento: per esempio, è stato registrato un aumento della copertura vaccinale per il morbillo dal 38% nel 1990 all’82% nel 2010/11[8], che è molto maggiore di quello osservato nell’Africa sub-Sahariana nello stesso periodo (dal 55% al 68%)[6].
Figura 1. Comparazione del trend della mortalità sotto i 5 anni (per 1000 nati vivi) in Etiopia (in rosso) e nell’Africa sub-Sahariana (in grigio): trend reali nel periodo 1990-2010 (con linee in grassetto) e trend teorici necessari per il raggiungimento del MDG 4 entro il 2015 (con linee tratteggiate).

In maniera simile, l’Etiopia è in linea con il raggiungimento di altri MDG, non solo relativi alla salute (per esempio, MDG 6), ma anche per l’educazione, l’igiene ambientale ecc[9]. Quindi, nonostante l’elevato livello di povertà (l’Etiopia è il 174° paese su 187 in termini di “Human Poverty Index”[10], con 39% della popolazione al di sotto della “income poverty line”[11]), la ricorrente siccità, e la perdurante insicurezza alimentare, l’Etiopia mostra una performance migliore rispetto agli altri paesi dell’Africa sub-Sahariana, rappresentando pertanto un potenziale esempio a livello internazionale di “good health at low cost”.
È tuttavia importante notare che risultati diversi si registrano riguardo alla mortalità materna che è stata stimata dalle surveys che si sono succedute nell’ultimo decennio a 871, 673, e 676 morti per 100000 nati vivi, rispettivamente, nel 2000, 2005 e 2011[3,4,5], con una performance simile a quella dell’Africa sub-Sahariana6 ed inadeguata per il raggiungimento del MDG 5 (ridurre di 3/4, fra il 1990 ed il 2015, il tasso di mortalità materna7) (Figura 2).
Figura 2. Comparazione del trend della mortalità materna (per 100000 nati vivi) in Etiopia (in rosso) e nell’Africa sub-Sahariana (in grigio): trend reali nel periodo 1990-2010 (con linee in grassetto) e trend teorici necessari per il raggiungimento del MDG 5 entro il 2015 (con linee tratteggiate).

Discussione
Questo quadro ha importanti implicazioni in termini di politiche di salute: infatti, mentre la copertura dei servizi sanitari è, in generale, migliorata nel corso dell’implementazione dell’HSDP, un’ineguale performance è stata osservata nei diversi programmi. In particolare, i servizi sanitari che possono essere pianificati nell’ambito delle attività di routine (vedi vaccinazioni) o realizzati nel quadro di interventi settoriali (vedi Hiv/Aids) hanno raggiunto una copertura più elevata rispetto a quelli che richiedono un sistema sanitario funzionante (disponibilità sufficiente di personale, fornitura adeguata di attrezzature e farmaci, sistema di finanziamento efficiente, disponibilità ed uso dell’informazione per la presa di decisione basata sull’evidenza ecc.), con fornitura dei servizi per 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana (“24/7”).
Per esempio, la copertura vaccinale per il morbillo (82% nel 2010/11) e quella della terapia antiretrovirale per i pazienti affetti da HIV/AIDS (62% nel 2010/11) sono molto più elevate rispetto alla percentuale di parti assistiti da personale sanitario qualificato (17% nel 2010/11)[8]. Nonostante l’evidenza che la grande maggioranza delle morti materne possono essere evitate con l’accesso a servizi di qualità prima, durante e dopo il parto (in particolare, con l’assistenza al parto, che è considerato l’intervento più importante per ridurre la mortalità materna), la percentuale di parti assistiti in Etiopia è non solo estremamente bassa (17%)8, ma anche largamente inferiore alla media dei paesi dell’Africa Sub-Sahariana (46%)[6].
È sorprendente che tale aspetto critico, ampiamente riconosciuto dal Ministero della Sanità etiopico[8] e largamente dibattuto a livello nazionale ed internazionale[12,13], non sia preso in considerazione nel capitolo sull’Etiopia di “Good health at low cost”. In particolare la mortalità materna pubblicata nella tabella riassuntiva “Ethiopia at a glance” è stimata a 150 per 100000 nati vivi[2] (Tabella 1), che è meno di un quarto di quella stimata nel più recente EDHS 2011 (676 per 100000 nati vivi)[5]; inoltre, tale stima fa riferimento ad un articolo pubblicato su “Lancet” in cui la mortalità materna in Etiopia è stimata, sulla base di modelli epidemiologici a fini comparativi internazionali, a 590 per 100000 nati vivi[14].
Tabella 1. Profilo dell’Etiopia.
Fonte:[2]
È ancora più sorprendente che tale stima di 150 morti materne per 100000 nati vivi, non corrispondente né al risultato dell’EDHS né alla fonte citata in bibliografia, venga attribuita all’aumento della copertura dei parti assistiti da personale qualificato (che è invece uno dei più bassi in Africa) dovuto all’attività delle “Health Extension Workers” (HEW). Infatti, le HEW, avendo una formazione di un solo anno presso le scuole di formazione professionale (“Technical and Vocational Education and Training Centers” – TVET), non possono avere la qualifica di “skilled birth attendant” (v. pag. 95: “the creation of a cadre of HEWs has greatly expanded access to (…) basic obstetric and neonatal care (thereby increasing the availability of skilled birth attendants)”[2]. Quindi, sulla base di stime errate giustificate da spiegazioni infondate, non si coglie un elemento critico del sistema sanitario etiopico: la focalizzazione su programmi verticali (che hanno raggiunto un elevato livello di copertura) a scapito del rafforzamento dei sistemi sanitari (con conseguente bassa percentuale di copertura dei programmi che richiedono continuità del servizio “24/7”).
Infatti, nel corso dell’HSDP, non solo la spesa sanitaria in Etiopia è stata troppo bassa (16,1 USD nel 2007/08)[15] per rispondere ai bisogni di salute della popolazione, ma anche le risorse disponibili sono state maldistribuite, con una forte concentrazione in alcuni programmi verticali largamente supportati dai donatori (quale quello per la lotta all’HIV/AIDS, in un paese con una prevalenza HIV di 1,5% nella popolazione adulta[5]), mentre la differenza maggiore fra risorse disponibili e quelle necessarie per il raggiungimento dei MDG è stata riscontrata nell’area strategica di sviluppo di sistemi. Nella Fig. 3 è rappresentato il “gap”, stimato dal Ministero della Sanità etiopico nell’HSDP III (2005/06-2009/10)16, fra risorse disponibili (in rosso) e risorse necessarie per le diverse componenti dell’HSDP sulla base di tre scenari finanziari, di cui solo il terzo (in blu) permetterebbe il raggiungimento degli MDG.
Figura 3. Differenza fra risorse disponibili e risorse necessarie per il raggiungimento degli MDG per le diverse componenti dell’HSDP III (2005/06-2009/10).

Questo quadro evidenzia la priorità di assicurare non solo la mobilizzazione di maggiori risorse, ma anche una loro migliore utilizzazione ed una più equa distribuzione fra le diverse componenti dell’HSDP, in particolare a favore delle priorità sanitarie e dello sviluppo di sistemi. Tale situazione è migliorata nel corso degli ultimi anni, con l’uso di fondi di programmi verticali (compresi il “Global Fund”, la “Global Alliance for Vaccines and Immunization” – GAVI, e il “President’s Emergency Plan for AIDS Relief” – PEPFAR) anche per il rafforzamento dei sistemi sanitari. Inoltre, la maggior parte dei donatori ha aderito ai principi di armonizzazione, con conseguente utilizzazione di strumenti finanziari armonizzati e comuni (per esempio, “Protection of Basic Services” e “MDG Performance Fund”), rispondenti ad un unico programma nazionale condiviso (HSDP), un unico sistema di monitoraggio e valutazione, ed un unico sistema di governo congiunto (secondo il principio di “one plan, one budget, one report”).
Per quanto riguarda il finanziamento del sistema sanitario etiopico, la spesa sanitaria pro capite, pur rimanendo inadeguata, ha mostrato un aumento da 7,1 USD nel 2004/05[17] a 16,1 USD nel 2007/0815, con una forte variazione nella sua composizione: infatti, il contributo dell’aiuto esterno (“rest of the world”) e della spesa sanitaria pagata dall’utenza (“out of pocket”) sono aumentate sia in termini assoluti (+ 143% e +176%, rispettivamente), che in termini percentuali sul totale della spesa (dal 37% al 40% e dal 31% al 37% nello stesso periodo). Il contributo governativo, pur essendo aumentato in termini assoluti (+71%), è diminuito di circa un quarto in termini percentuali (dal 28% al 21% nello stesso periodo È in corso quindi un progressivo sbilanciamento verso il pagamento da parte dell’utenza ed il contributo da parte degli organismi donatori, ponendo quindi problemi di equità, sostenibilità e dipendenza. Inoltre, sono state attuate manovre di compensazione (“offsetting”) di tali fondi da parte del governo etiopico, con diminuzione del contributo governativo per programmi ed attività finanziate con l’aiuto esterno. Lo sviluppo di due schemi di assicurazione sanitaria (“Community Health Insurance” per il sistema informale e “Social Health Insurance” per quello formale) dovrebbe contribuire ad affrontare tali problemi.
In conclusione, una visione più critica basata su dati disponibili ed affidabili, e con una maggiore focalizzazione sui problemi di sviluppo dei sistemi sanitari, avrebbe contribuito ad una migliore comprensione delle dinamiche in corso in Etiopia e delle loro implicazioni in termini sia di politiche di salute che di riproducibilità in altri contesti, dando quindi una maggiore credibilità al rapporto ed un migliore contributo alla documentazione della esperienza-paese di “good health at low cost”.
Sandro Accorsi, medico epidemiologo, Bologna.
Vincenzo Racalbuto, medico, DGCS – MAE
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L’esperienza di anni sul campo (Somali Region e Bale) ci consente di introdurre un’altra componente non riferita dall’articolo di SI per spiegare il ricorso sporadico ai servizi sanitari in materia di salute materna.
In studi etnografici ed antropologici fatti dal CCM Comitato Collaborazione Medica è stato sottolineato come le donne ritengano il parto come un aspetto “normale” della vita di una donna, e come tale questo vada gestito in famiglia. Solo eccezionalmente si cercherà l’aiuto di una levatrice di villaggio e questa, eventualmente, indirizzerà ad una struttura sanitaria vera e propria, con personale formato specificamente.
Per questo il Ministero della sanità Etiope punta molto alle attivita’ sanitarie di comunita’, attraverso cui le donne possono essere raggiunte piu’ facilmente dagli operatori sanitari. A questo scopo, oltre alle Health Extension Worker (HEW), il Ministero sta rafforzando il sistema delle Women Development Army (WDA). Le WDA sono donne formate a livello locale, che dovrebbero diventare modelli di comportamento igienico-sanitario e influenzare altre donne e famiglie nell’acquisizione di nuove pratiche e nel cambiamento del comportamento all’interno delle proprie comunità di appartenenza.
Nel 2004 in Bale il risultato di uno studio etnografico poteva essere riassunto nella frase “se devo morire di parto meglio a casa, con un ambiente familiare ed accogliente, rispettoso delle tradizioni”. Nel 2012 i servizi sanitari che si occupano di salute pre e post natale sono molto migliorati e diffusi sul territorio. Ma ad un aumento relativo di offerta di servizi non è seguito un corrispettivo aumento della domanda degli stessi. E’ necessario lavorare in campo di informazione, educazione e formazione igienico sanitaria delle donne e delle comunita’ per ridurre il numero di morti di donne legate al parto.