Il movimento della medicina sociale/salute collettiva latinamericana
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- 15 Novembre 2012
Ilaria Camplone e Simone Tufano
Il movimento della Medicina Sociale/Salute Collettiva latinoamericana, in antitesi all’epistemologia positivista, biomedica e individualista sulla quale si regge la Salute Pubblica occidentale, e avvalendosi dell’apporto teorico-metodologico delle scienze sociali, fonda i propri costrutti teorici sui concetti di determinazione sociale della salute e di collettività.
Dal 4 al 8 novembre 2012 il gota della Medicina Sociale/Salute Collettiva latinoamericana si è riunito per confrontarsi sulla “Crisi, accelerazione e saccheggio nel capitalismo globale: conquiste e passi indietro nella lotta per la salute e l’universalizzazione del diritto”. Si è tenuto infatti a Montevideo, Uruguay, il XII Congresso Latinoamericano di Medicina Sociale, congiuntamente al XVIII Congresso Internazionale di Politiche di Salute e al VI Congresso de la Rete di Attori Locali di Salute. L’evento è stato promosso da ALAMES (Asociación Latinoamericana de Medicina Social), IAPH (International Association of Health Policy) e dall’associazione Red America.
Capitalismo, stato, vita e salute
Il dibattito attuale che l’America Latina deve e vuole affrontare è racchiuso tutto nella domanda che il noto professore ecuadoregno Jaime Breilh pone nella lectio magistralis che apre il congresso: “Che modello di sviluppo vogliamo perseguire?”. Appare subito chiaro, quasi scontato, che da queste parti non esiste alcuna separazione tra politica e salute e che, in un mutato contesto politico, contraddistinto dall’affermazione di governi progressisti – come si autodefiniscono -, il tema della salute è tornato ad essere centrale nelle agende politiche degli stati. Ricollocare il fuoco del dibatto sul modello di sviluppo, e non solamente sulla salute, libera quindi il campo dalla possibile ipocrisia di costruire uno stato sociale sulla base del vecchio modello di sviluppo produttivistico insostenibile. Il discorso del Prof. Breilh è infatti chiaro e tagliente: denuncia l’incompatibilità della salute con uno sviluppo economico basato sulla “crescita per accumulazione monopolistica” e sul paradigma dominante “individuo-antropo-centrico”, indicando in particolare le tre strategie sulle quali il capitalismo dagli anni ’80 ha basato la sua aggressione alla vita e alla salute:
- una rivoluzione tecnologica sui generis ha accelerato la capacità di accumulazione di ricchezza, controllo sociale e sfruttamento delle risorse naturali, provocando da un lato le attuali disuguaglianze economiche e dall’altro una crisi ambientale senza precedenti;
- con mezzi militari o attraverso l’imposizione di trattati commerciali iniqui le regioni del sud del mondo hanno subito e continuano a subire l’espropriazione di risorse vitali e strategiche, come la terra, le sementi, gli alimenti, i minerali, l’acqua e le risorse energetiche, producendo perdita di sovranità alimentare ed energetica e costringendo le popolazioni a migrare[1];
- ha approfittato di shock sociali, economici o ambientali per introdurre drastici cambiamenti a livello socio-economico che mai sarebbero stati accettati in altre condizioni[2].
Storia del movimento medicina sociale/salute collettiva latinoamericano e critica epistemologica
La critica della Medicina Sociale/Salute Collettiva latinoamericana al sistema economico-sociale egemonico ha radici profonde. Il movimento, recuperando la tradizione europea della metà del XIX secolo, si viene a formare come strumento di resistenza alla crisi economica globale degli anni ’70 e a tutto ciò che essa produce in America Latina nei successivi 40 anni: dittature militari, movimenti di resistenza, riforme neoliberiste che trasformano drasticamente la struttura dello Stato e portano alla crisi di indebitamento. Parallelamente, questo periodo coincide con la crisi di efficacia a livello mondiale della Salute Pubblica tradizionale nel far fronte ai problemi generati dalle crescenti disuguaglianze economiche e dalla mercificazione della salute. Tutto questo genera un movimento ampio di revisione del paradigma medico egemonico, che produce una rottura e una differenziazione tra la Salute Pubblica (inclusa la Medicina Preventiva) e la Medicina Sociale.
“Era un momento de múltiples rupturas con las construcciones empíricas de la vieja salud pública: el causalismo positivista de la epidemiología; el funcionalismo y la sociología ingenua sobre el Estado y la práctica; y la epistemología conductista que impregnaba los estudios sobre el saber.” J.Breilh nel discorso di apertura
Il movimento della Medicina Sociale/Salute Collettiva latinoamericana, in antitesi all’epistemologia positivista, biomedica e individualista sulla quale si regge la Salute Pubblica occidentale, e avvalendosi dell’apporto teorico-metodologico delle scienze sociali, fonda i propri costrutti teorici sui concetti di determinazione sociale della salute[6] e di collettività[7]. Definisce infatti la “popolazione” non semplicemente come sommatoria di tanti individui, ma come “popolo”, ovvero insieme complesso di soggetti sociali e individuali, circostanziati in un luogo e in un momento storico, e analizzati nella processualità delle loro relazioni, poteri, storie e interessi.
Nell’elaborazione di nuovi pilastri epistemologici il movimento è persino andato oltre la definizione di salute cara al progressismo occidentale: la salute come status di benessere bio-psico-sociale è infatti vista come “ingenua” e semplicista. Benché all’enunciazione storica dell’OMS[8] venga riconosciuto il merito di aver postulato positivamente il concetto di salute (quindi non solo come assenza di malattia), questo manca -secondo ALAMES- della complessità propria di un processo vitale, fatto di conflitti, storie, dinamiche di potere e dimensione soggettiva.
Il dibattito sulla determinazione sociale, oggi quanto mai attuale, infiamma ancora ed è stato centrale nella conferenza. Il movimento latinoamericano critica aspramente la teoria dei determinanti sociali di salute, così come elaborata dal gruppo guidato da M. Marmot, tacciandola di riduttivismo. Una rieditazione -come dicono in molti- del vecchio paradigma funzionalista dei fattori di rischio: un insieme di condizioni preordinate, con il quale non si va oltre l’idea di una determinazione causale lineare del processo salute/malattia/cura. Un paradigma quindi decontestualizzato dai processi, ma soprattutto incapace di cogliere le soggettività che li plasmano. La scomparsa del Soggetto, o la sterilizzazione che di esso viene fatta, priva l’analisi di qualsiasi forma d’azione. Dimenticando il soggetto, si dimentica che questo è agente di produzione di significato e potenziale di trasformazione.
Al contrario il paradigma di determinazione della salute, mutuando gli strumenti di analisi e le teorie di autori quali Bordieau e Foucault, trascende la lettura della sola struttura e analizza la relazione tra questa e i soggetti sociali che la determinano e che l’hanno determinata storicamente. Il Soggetto è inteso come “essere comune e potente”[9], soggettività – collettiva o singolare – che plasma ed è plasmata dal rapporto dialettico di potere. Il processo di salute/malattia va quindi analizzato con strumenti adeguati ad indagare il contesto in cui il soggetto vive, opera e si ammala, dando spazio alle metodologie qualitative. Questo paradigma implica inoltre che la ricerca sia co-costruita con gli attori medesimi, nonché abbia l’obiettivo di agire la trasformazione (ricercazione).
Conclusione
Dal ricchissimo dibattitto, al contrario di movimenti “fratelli” come il People’s Health Movement, la Medicina Sociale/Salute Collettiva non ne esce con una strategia di mobilitazione – questa è la sua grande pecca – dovuta anche all’impossibilità strutturale di un’associazione organizzata in forma di movimento culturale, più che di movimento politico vero e proprio. Tuttavia il ruolo giocato dal movimento è di straordinaria importanza all’interno della società scientifica mondiale, per la sua continua vigilanza epistemologica e per la qualità del pensiero che produce.
L’obiettivo concreto con il quale si lascia la conferenza è quello di moltiplicare i centri che si occupino di insegnamento, ricerca e praxis in salute, con un chiaro progetto scientifico-politico contro-egemonico. Come redarguisce il maestro Breilh “Non è un pensiero critico emancipatore, quello che si limita alla denuncia morale delle diseguaglianze, mentre tralascia l’analisi e l’azione contro i processi che le generano”. Per costruire spazi e processi salutari e biologicamente sicuri nei luoghi di lavoro, vita e consumo, e nella relazione con la natura è necessario promuovere uno sviluppo alternativo “socio-bio-centrico”, centrato cioè sulla vita della natura tutta (e non soltanto dell’essere umano!), sullo sviluppo sostenibile e sovrano dei territori nella produzione di beni materiali e spirituali, e sul controllo collettivo del potere politico.
Infine, a margine, come pensiero della corrente più radicale e meno coinvolta con i governi neo-progressisti sudamericani, emerge un monito ai colleghi e ai governanti presenti: non siamo più in tempo per rieditare un modello neokeynesiano sviluppista, produttivista e basato sullo sfruttamento della natura. È tempo di mostrare audacia! Non siamo in un momento storico in cui la ricerca “di un compromesso sociale” tra capitale e lavoro costituisca un’alternativa possibile come nel dopoguerra con la socialdemocrazia degli Stati assistenziali. Redistribuire oggi non basta è ora di trovare una strada francamente anticapitalista.
Ilaria Camplone, Centro Salute Internazionale, Università di Bologna. Simone Tufano, Associazione Vag61, Bologna
- Il tema del rapporto con la natura, il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse energetiche, la megamineria, il modello agroesportatore basato sulla monocoltura estensiva con utilizzo di OGM e agrotossici, il land grabbing, la conseguente perdita sovranità alimentare, la convergenza di interessi tra l’industria farmaceutica e quella agroalilmentare, sono temi sentiti di assoluta urgenza nell’approccio ampio alla salute delle popolazioni che vivono in una terra tanto fertile e ricca di risorse, quanto appetibile per il capitale, come l’America Latina.
- Naomi Klein Shock economy, l’ascesa del capitalismo dei disastri. Rizzoli, 2007.
- Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, 2004.
- Il Frente Amplio è una coalizione politica uruguaiana che include cattolici, centristi e socialisti, al governo dal 2005 con Josè Mujica.
- La Fondazione Oswaldo Cruz (in portoghese dalla Fundação Oswaldo Cruz, noto anche come FIOCRUZ) è un istituto scientifico pubblico brasiliano per la ricerca e lo sviluppo nel settore delle scienze mediche. E’ considerato uno dei principali istituti di ricerca in sanità pubblica al mondo.
- Jaime Breilh, Epidemiología: economía política y salud. Quito; Universidad Central, 1979.
- Juan César García, Medicina y sociedad: ideología y filosofía, Salud y política, Santo Domingo, Universidad Autónoma de Santo Domingo, 1979.
- Dalla costituzione dell’OMS, 1948: salute come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.
- Michael Hardt, Antonio Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, 2010.
Grazie Ilaria per la bella relazione che ho letto con molto interesse. Due reazioni, di pancia:
1. finalmente un po’ d’aria fresca!
2. ma anche un po’ d’aria fritta.
Sì perchè, se si guarda, indietro si vede che posizioni simili esistono da tempo (Maccacaro e compagnia, se proprio non si vuole risalire a Virchow). Il problema però è “che fare?”, perchè quando queste posizioni si scontrano con la realtà sembra che debbano giocoforza scendere a compromessi (vedi l’esempio uruguayano che citate, ma è la stessa cosa in Brasile e in Ecuador). Pena l’isolamento in una minoritaria torre d’avorio. E’ nel che fare di questo compromesso che poi si misurano parziali successi o brucianti sconfitte.
Alle considerazioni di Cattaneo aggiungo : e’ provato che almeno la meta’ dei farmaci prescritti dai medici sono inutili, ossia non servono al paziente, potrebbero essere sostituiti da …acqua, consigli e/o follow up/suivi adeguati. Questo nei paesi ricchi e in quelli poveri,tanto piu’ vero se i pazienti sono bambini. Medicalizzazione,interessi economici,mercato, ditte farmaceutiche che promuovono i loro prodotti in paesi con regole/leggi ‘porose’. Illich ne ha scritto in passato. Le famiglie gia’ povere si trovano un carico economico in piu’ da sostenere, i farmaci nei villaggi vengono esauriti in fretta dopo di che….c’e’ il ricorso al privato. Mi chiedo se questo aspetto e’ esteso in Americalatina come lo vedo essere in Africa e se esso rientra nel discorso piu’ ampio di ‘medicina sociale collettiva’.
Massimo Serventi
Pediatra
Dodoma