A Cuba si può
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- 18 Febbraio 2013
I Cubani stanno affrontando i problemi delle malattie croniche in un modo che deriva dalla loro peculiare storia economica e politica, ma il sistema che hanno creato – con un medico per tutti, con il focus sulla prevenzione e una chiara attenzione per la salute comunitaria – può indicare la strada giusta anche agli altri paesi.
“Per un visitatore che viene dagli USA, Cuba “is disorienting”. Auto americane ovunque, ma tutte fabbricate prima degli anni ’60. Le nostre carte di credito, i nostri smartphone non funzionano. L’accesso a internet è pressoché inesistente. E il sistema sanitario sembra quasi irreale. Ci sono troppi dottori. Ogni persona ha un suo medico di famiglia. Ogni cosa è gratuita – completamente gratuita e non c’è bisogno di autorizzazioni per accedere ai servizi e non ci sono ticket da pagare. Il sistema è rigidamente organizzato e la prima priorità è la prevenzione. Sebbene Cuba abbia a disposizione risorse molto limitate, il suo sistema sanitario ha risolto problemi che noi non siamo ancora in grado di gestire. I medici di famiglia, insieme agli infermieri e altri operatori sanitari, hanno la responsabilità di erogare le cure primarie e i servizi preventivi per il gruppo dei loro pazienti – circa 1000 pazienti per medico nelle aree urbane. (…) Tutti i pazienti sono registrati in relazione al loro livello di rischio, da I a IV. (…) Ogni paziente è visitato a domicilio una volta l’anno, e quelli con malattie croniche sono controllati più frequentemente. Quando necessario, i pazienti vengono riferiti al poliambulatorio di distretto (“policlinico”) per la valutazione specialistica, per poi tornare al livello di comunità per il proseguimento delle cure. (..) I tassi di copertura vaccinale sono tra i più alti al mondo. La speranza di vita alla nascita è di 78 anni, identico a quello degli USA. Il tasso di mortalità infantile è crollato dal 80 per mille nati vivi negli anni 50 a meno del 5 per mille, inferiore a quello degli USA, mentre il tasso di mortalità materna rimane ancora molto elevato e in media con il range dei paesi caraibici”.
Ho sopra riportato ampi brani di un articolo pubblicato il 24 gennaio 2013 sul New England Journal of Medicine[1] che mostra il paradosso della sanità cubana: avere con un reddito medio-basso livelli di salute (speranza di vita alla nascita, mortalità infantile) pari a quelli dei paesi più ricchi.
Naturalmente – spiega l’articolo – non c’è niente di romantico nel sistema sanitario cubano, dove le risorse sono veramente scarse. Lo stipendio mensile dei medici, ad esempio, è di 20 dollari (più benefit come l’abitazione e beni di prima necessità). Molti tra i migliori medici cubani sono stati mandati dal governo a lavorare in altri paesi dell’America latina (con stipendi assai più alti): dal 2002, 18 mila medici sono partiti per il Venezuela per realizzare un programma di assistenza sanitaria alle fasce più povere della popolazione in cambio di forniture di petrolio. Le attrezzature ospedaliere sono generalmente desuete e arretrate, sia per mancanza di soldi che a causa dell’embargo imposto dagli USA. Proprio a causa dell’embargo Cuba ha sviluppato una sua industria del farmaco e delle biotecnologie che sta diventando competitiva.
“Ogni visitatore – conclude l’articolo del NEJM – si rende conto che Cuba è arretrata rispetto ai paesi sviluppati nelle infrastrutture di base come strade, case, acquedotti e fognature. Nonostante ciò i Cubani hanno cominciato ad affrontare gli stessi problemi di salute dei paesi sviluppati, con crescenti tassi di incidenza delle malattie coronariche e di obesità (11,7% dei cubani ha oggi più 65 anni di età). Il loro “unusual” sistema sanitario affronta questi problemi in un modo che deriva dalla peculiare storia dell’economia e della politica di Cuba, ma il sistema che hanno creato – con un medico per tutti, con il focus sulla prevenzione e una chiara attenzione per la salute comunitaria – può indicare la strada giusta anche agli altri paesi”.
- Champion EW, Morissey S. A different model – Medical Care in Cuba. NEJM 20013; 368-297-9
Gentile dottor Maciocco, tutto questo non sembra affatto in contrasto con quanto Lei ci ha sempre insegnato relativamente ai determinanti di salute!
Caro Gavino, la lettura del tuo articolo e, prima ancora, dello studio degli studenti di Pisa pubblicato su Saluteinternazionale, sono per un verso molto incoraggianti per quelli di noi che sostengono la validità del sistema sanitario pubblico ed in particolare dello sviluppo del sistema delle cure primarie. Non posso però nasconderti un certo imbarazzo al pensiero che un’analogo alto livello di efficacia e di universalità era rintracciabile anche nei sistemi modello Semashko (su cui ti ci hai edotto nelle tue pubblicazioni) e nel modello in atto nella Reppubblica Popolare Cinese all’epoca di Alma Ata (che ne aveva peraltro, se non sbaglio, tratto indicazioni e suggerimenti da portare a modello per lo svilupopo dei sistemi sanitari nei paesi non industrializzati). Verrebbe quasi da concludere che la salute pubblica è meglio tutelate da regimi meno libertari. Cosa ci puoi dire?
Caro Luciano,
il tuo messaggio mi ha costretto a tirar fuori dallo scaffale un libro prezioso scritto da un collega inglese, Hugh Faulkner (1912-1994), dal titolo “Medicina di base. Due esperienze: Gran Bretagna e Unione Sovietica” (Pensiero Scientifico Editore, 1977). Ho avuto il piacere di conoscere – tramite Luciano Gambassini – Hugh, “general practitoner” londinese, che agli inizi degli anni ’70 si trasferì in Italia, andando ad abitare a Greve in Chianti.
“Sia l’Unione Sovietica che la Gran Bretagna – scrive Faulkner – hanno sviluppato un sistema di assistenza sanitaria totale pianificata. Tutti e due i servizi sono finanziati soprattutto dal governo centrale, sono accessibili a tutta la popolazione e sono praticamente gratuiti al momento del bisogno. Il Servizio di assistenza sanitaria sovietico è stato sviluppato più di un quarto di secolo prima che il NHS britannico apparisse nel 1948”.
Hugh era un medico comunista che ammirava il modello sanitario sovietico (“Negli ultimi 25 anni ho avuto sei volte la fortuna di andare nell’URSS per lo più con delegazioni sindacali e, per sei settimane, ho lavorato all’Istituto Semashko di Mosca su invito del ministro sovietico della sanità”), in quanto precursore dei sistemi sanitari universalistici.
E’ vero anche che la Cina – con la sua capillare organizzazione sanitaria rurale, basata sulla prevenzione – per anni ha rappresentato un modello per i paesi in via di sviluppo e orientato le politiche di Alma Ata (anche se paradossalmente la Cina – a causa del cambio di leadership da Mao Zedong a Deng Xiaoping – fu uno dei pochi paesi a non firmare la Dichiarazione di Alma Ata).
Il modello sovietico e quello cinese hanno – soprattutto nei primi decenni di attività – hanno ottenuto entrambi eccellenti risultati in termini di salute della popolazione e di equità nella salute.
Ora capita che la più nota e diffusa rivista medica americana presenti la sanità cubana come un modello per affrontare l’epidemia globale delle malattie croniche.
Caro Luciano, ho appena finito di recensire il libro di Stiglitz (vedi post “Something is wrong”) e di leggere “Guasto è il mondo” di T. Judt (che ti consiglio di non perdere), e credo sia giusto e onesto guardare alla storia (compresa la storia della sanità) con spirito aperto e laico.
Che orrore l’ideologia che guida i giudizi,è un BIAS che permea molti articoli di questo sito.
Sia che si tratti del neoliberismo del turbocapitalismo folle della scuola di Chicago, sia che si tratti del comunismo,una ideologia orrenda che si è sempre tradotta nel controllo dell’economia e della società nelle mani di pochissime persone o dittatori.
Nel 2013 durante un viaggio “far da se ” mia moglie ha avuto problemi di salute ….
Abbiamo avuto modo di conoscere il Sistema Sanitario Cubano e siamo stati molto soddisfatti !!
pochi mezzi ma GRANDI MEDICI e Sanitari !!
manderei molti nostri imborghesiti professionisti a fare scuola….. soprattutto di UMILTA’