Le bollicine che fanno ingrassare
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- 13 Febbraio 2013
Guglielmo Bonaccorsi e Cristina Taddei
Le bevande gassate e zuccherate sono tra le principali cause dell’epidemia di obesità. Anche in Italia il loro consumo – soprattutto tra i bambini – è in continuo aumento. Tassarle o non tassarle?
Dagli anni 1980 a oggi, la prevalenza di obesi nel mondo è più che raddoppiata. Oggi, in metà dei Paesi OCSE una persona su due è in sovrappeso od obesa [1]. Anche se negli ultimi 10 anni il tasso di obesità è cresciuto meno del previsto e sembra essersi quasi stabilizzato in alcuni Paesi (es. Corea, Svizzera, Italia e Ungheria) in altri è continuato a crescere (es. Irlanda, Canada e USA) e le proiezioni per i prossimi 10 anni indicano che le persone in sovrappeso o obese in alcuni Paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra o l’Australia saranno più di due su tre (Figura 1 e Figura 2).
Figura 1. Tassi di obesità in un campione di Paesi OCSE

Figura 2. Tassi di sovrappeso in un campione di Paesi OCSE – trend e proiezioni

Nel rapporto “Obesity and the Economics of Prevention: Fit not Fat”[2] l’OCSE ci ricorda anche che:
- le persone gravemente obese hanno un’aspettativa di vita inferiore di 8-10 anni;
- nella maggior parte dei Paesi OCSE l’obesità è responsabile dell’1-3% della spesa sanitaria totale (5-10% negli Stati Uniti);
- un’adeguata strategia di prevenzione, in grado di integrare interventi diversi (educazione sanitaria e promozione della salute, informazione da parte dei medici di famiglia e operatori professionali della nutrizione, misure fiscali e regolamentazione del mercato) e coprire diverse fasce di età e gruppi a rischio, permetterebbe di evitare, ogni anno, 155.000 decessi per malattie croniche in Giappone, 75.000 in Italia, 70.000 in Inghilterra, 55.000 in Messico e 40.000 in Canada;
- il costo annuale di questa strategia non ammonterebbe a più di €9 per abitante in Messico, €15 in Giappone e in Inghilterra, €17 in Italia e €24 in Canada, “una quota impercettibile della spesa sanitaria di questi Paesi e solo una piccola parte di quel 3% di spesa sanitaria che in media i Paesi OCSE spendono in prevenzione”.
Tra i diversi interventi analizzati dall’OCSE, la tassazione degli alimenti e bevande non salutari (“unhealthy foods and beverages”) ha sollevato negli ultimi anni un interesse crescente e un acceso dibattito, con posizioni antitetiche assunte dai diversi stakeholder, ivi compresi i governi degli stati membri.
Perché le bevande gassate e zuccherate?
“Sugar-sweetened beverages (soda sweetened with sugar, corn syrup, or other caloric sweeteners and other carbonated and uncarbonated drinks, such as sports and energy drinks) may be the single largest driver of the obesity epidemic”[3].
Analizzando i dati sul consumo di alimenti e bevande con zuccheri aggiunti in 103 e 127 Paesi del mondo nel 1962 e 2000 rispettivamente, Popkin & Nielsen [4] hanno evidenziato come la quota di calorie assunte giornalmente sotto forma di zuccheri aggiunti è aumentata in tutto il mondo anche nei Paesi a basso e medio reddito (Figura 3). In particolare, negli Stati Uniti tra il 1977 e il 1996 la percentuale di energia proveniente da zuccheri aggiunti è passata dal 13,1 al 16% del totale giornaliero e quasi l’81% di questo incremento è risultato dovuto all’aumento nel consumo di bevande gassate e zuccherate (65,1%) e succhi di frutta (15,7%) (Figura 4).
Figura 3. Relazione tra PIL pro-capite (Lowest = 20% paesi più poveri / Highest = 20% paesi più ricchi) e incremento di assunzione di calorie assunte sotto forma di zuccheri – Batte nere: 1962 – Barre bianche: 2000. Popkin & Nielsen 2003

Figura 4. Cambiamenti nell’origine di calorie assunte sotto forma di zuccheri in USA –Barre nere: 1977-1978; Barre bianche: 1989-1991; barre retinate: 1994-1996. Popkin & Nielsen 2003.

Negli ultimi decenni il consumo di bevande gassate e zuccherate è cresciuto diffusamente nel mondo: solo per fare un esempio, in Messico tra il 1999 e il 2006 è addirittura raddoppiato[5]. Consumo che è aumentato anche tra i più giovani, bambini e adolescenti[6]. Negli Stati Uniti a metà degli anni ’90 il consumo di bevande zuccherate nei bambini ha superato quello del latte, e rappresenta oggi circa il 10-15% dell’apporto calorico giornaliero di bambini e adolescenti[7].
Le evidenze di un’associazione tra consumo di bevande zuccherate e aumento del peso corporeo, obesità e diabete si stanno accumulando[7-10]. Non mancano tuttavia anche meta-analisi o studi che affermano il contrario. Studi questi che sono però spesso finanziati dall’industria alimentare[11] e che, quando rianalizzati, si dimostrano talvolta inconsistenti[12].
Perché tassare le bevande gassate e zuccherate?
Le strategie per cercare di ridurne il consumo o quanto meno contrastarne l’aumento sono diverse: normative e regolamentazioni riguardanti la pubblicità, la vendita, la composizione e l’etichettatura; campagne di informazione; interventi nelle scuole e sul posto di lavoro; misure fiscali[13]. L’idea di tassare le bevande gassate e zuccherate è allettante per più motivi.
“Il prezzo è un determinante importante delle scelte alimentari e della dieta”[14].
La teoria economica ci insegna che come il prezzo di un prodotto aumenta, il suo consumo tipicamente si riduce. È l’elasticità del prezzo o “price elasticity”: quanto il consumo di un prodotto cambia in risposta alle variazioni del suo prezzo. Per le bevande gassate e zuccherate questo valore è stimato intorno al – 0,8-1: per ogni aumento del 10% nel prezzo ci si aspetta una riduzione nel consumo dell’8-10%[5]. Aumentare il prezzo delle bevande gassate e zuccherate, attraverso la tassazione, dovrebbe quindi ridurne il consumo con conseguente guadagno in termini di salute e risparmio per il sistema sanitario e la società in senso lato. Ma non è tutto. La tassazione delle bevande gassate e zuccherate genererebbe anche un’entrata che può essere reinvestita in programmi di salute pubblica, per finanziare il sistema sanitario, o per ridurre il prezzo di alimenti salutari come frutta e verdura, incrementando ulteriormente il guadagno in salute della popolazione.
Non mancano ovviamente le critiche. È una tassa regressiva: le persone povere pagano in proporzione una quota maggiore del loro reddito nella tassa rispetto ai ricchi. Ma il guadagno in termini di salute potrebbe essere “progressivo” e potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze in salute. “I poveri sono affetti in misura maggiore dalle malattie correlate ad una alimentazione non salutare […] e una tassa in grado di spostare il consumo dalle bevande zuccherate all’acqua andrebbe a vantaggio dei poveri tanto migliorandone la salute quanto riducendone le spese in bevande”[5]. Altre critiche, sollevate anche dall’industria alimentare, sono: a) la tassa sulle bevande gassate e zuccherate da sola non risolve il problema dell’obesità e b) le bevande sono un genere alimentare (a differenza del fumo di tabacco). Ma se è vero che le bevande gassate e zuccherate sono senza dubbio un genere alimentare è altrettanto vero che non sono necessarie per la sopravvivenza e che alternative (più salutari) esistono e sono spesso, anche se non sempre, a prezzi inferiori: basta pensare all’acqua. È altrettanto vero che la tassazione non è in grado da sola di risolvere l’ “epidemia di obesità”. Ma come ricordano Brownell e Frieden[3] “questo è difficilmente un motivo per non agire”.
Wang et al. [15] hanno calcolato che una tassazione di un penny per oncia sulle bevande zuccherate (circa 12 centesimi per una lattina da 33cl) in tutti gli Stati Uniti consentirebbe di ridurre in un periodo di 10 anni la prevalenza di obesità dell’1,5% (867 000 persone obese in meno), l’incidenza di diabete tipo 2 del 2,6% e di prevenire così 95 000 casi di coronaropatia, 8 000 casi di ictus e 26 000 morti premature, con un risparmio sulle spese sanitarie di circa 17 miliardi di dollari. Una tassa sulle bevande zuccherate di un penny per oncia genererebbe inoltre una entrata fiscale di circa 13 miliardi di dollari l’anno da poter reinvestire nella prevenzione dell’obesità e delle malattie croniche, così come nel finanziamento del sistema sanitario.
Ovviamente si tratta di un modello, con i suoi limiti e assunzioni, e il reale impatto di una simile misura fiscale non può essere conosciuto fino a quando la misura non viene attuata. Ma come ricordano Brownell & Frieden[3], “in tempi di ristrettezza economica, tasse in grado di generare una così grande entrata e allo stesso tempo di promuovere la salute sono opzioni migliori di misure fiscali che possono avere effetti avversi”.
Di questa idea sono stati diversi Paesi che negli ultimi anni hanno introdotto una tassa su alimenti e bevande non salutari.
Nel 2011 la Danimarca ha introdotto una tassa sui prodotti contenenti più del 2,3% di grassi saturi. La tassa è di circa 2,15 euro per kg di grassi saturi, e corrisponde più o meno ad un incremento nel prezzo fino al 30% per il burro, fino all’8% per un pacchetto di patatine e fino al 7% per un litro di olio di oliva. La Danimarca nel 2010 ha inoltre aumentato del 25% le tasse già esistenti su cioccolata, gelato, bevande zuccherate e prodotti confezionati.
Sempre nel 2011 l’Ungheria ha introdotto una tassa sulle bevande gassate e zuccherate e su una selezione di prodotti con alto contenuto di zuccheri aggiunti, sale o caffeina (la tassa non si applica ai prodotti base e interessa solo quei prodotti che hanno una alternativa più salutare).
Nel 2011 la Finlandia ha introdotto una tassa di 0,75 euro/kg sui prodotti di pasticceria o confetteria (con l’esclusione di biscotti, focacce e paste) e allo stesso tempo ha aumentato la tassa già esistente sulle bevande gassate e zuccherate da 4,5 a 7,5 centesimi per litro.
Anche la Francia ha deciso di tassare le bevande gassate e zuccherate. Nel 2012 ha preso effetto una tassa di 0,072 euro/litro (circa 0,024 euro per lattina da 33cl) che interessa tanto le bevande con zuccheri aggiunti quanto quelle con dolcificanti.
Molti altri Paesi stanno valutando l’ipotesi di tassare alimenti e bevande non salutari, tra questi il Belgio, l’Irlanda, la Romania e il Regno Unito.
Come sta andando?
In Danimarca, una prima analisi sul consumo dei prodotti più pesantemente colpiti dalla tassa sui grassi saturi (burro, margarine, olio) mostra che, a tre mesi dall’introduzione della tassa, il consumo di grassi saturi relativo a questi prodotti si è ridotto del 10-20%[16]. Certo, sono dati preliminari, riferiti a un periodo di soli 3 mesi e che considerano solo alcuni prodotti. Senz’altro da prendere con cautela e senza garanzie sul lungo termine. Ma per quanto preliminari sono comunque incoraggianti e consentono di rispondere a un primo dubbio: almeno in Danimarca la tassa si è trasferita in maniera esatta nel prezzo di mercato nei supermercati più cari, mentre il prezzo dei prodotti analizzati è cresciuto in maniera addirittura più alta rispetto alla tassa nei discount più economici. Aumento del prezzo e riduzione delle vendite che ha portato a forti proteste da parte di praticamente tutti i soggetti interessati (e “colpiti”): venditori al dettaglio, industrie alimentari, allevatori, macellai, panettieri e non ultimi i consumatori stessi, che hanno reagito in parte aumentando i loro acquisti in Germania e Svezia.
La crisi economica, l’aumento degli acquisti oltre confine e il rischio di perdere posti di lavoro paventato dalle diverse associazioni di categoria hanno spinto il Parlamento danese ad abrogare la tanto contestata tassa appena un anno dopo la sua introduzione, malgrado le prime evidenze incoraggianti e prima ancora di poter apprezzare i possibili risultati in termini di salute pubblica. Le ragioni economiche hanno avuto la meglio[17-19].
…e in Italia?
In Italia più di quattro adulti su dieci (42%) presentano un eccesso ponderale e uno su dieci è obeso (10,5%). L’eccesso ponderale (sovrappeso e obesità) risulta inoltre più frequente nelle persone con livello di istruzione basso e in quelle che dichiarano maggiori difficoltà economiche (PASSI 2011). Non va meglio tra i più giovani. Sono in sovrappeso o obesi il 20-22% dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni e l’11-14% delle ragazze (HBSC 2009/2010). Nei bambini il quadro è ancora più sconfortante: il 23% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso e l’11% è obeso, con un gradiente Nord-Sud (dal 15% di bambini in eccesso ponderale nella Provincia Autonoma di Bolzano al 48% in Campania) (Okkio alla SALUTE 2010).
Ad agosto il Ministro Balduzzi aveva lanciato l’ipotesi di tassare le bevande gassate e zuccherate di circa 3 centesimi di euro a bottiglia. La proposta non ha però trovato seguito.
Dal 2008-2009 al 2010 il consumo quotidiano di bevande zuccherate e/o gassate nei bambini di 8-9 anni è aumentato dal 41% al 48% (Okkio alla SALUTE 2010).
Perché non ripensarci?
Guglielmo Bonaccorsi, Professore associato di Igiene, Cristina Taddei, Specializzanda in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Firenze
- OECD Obesity Update 2012.
- Sassi F. Obesity and the Economics of Prevention: Fit not Fat. OECD, 2010.
- Brownell KD, Frieden TR. Ounces of Prevention – The Public Policy Case for Taxes on Sugared Beverages. The New England Journal of Medicine 2009; 360(18):1805-8.
- Popkin BM, Nielsen SJ. The Sweetening of the World’s Diet. Obesity Research 2003; 11(11):1325-1332.
- Brownell KD, Farley T, Willett WC, Popkin BM, Chaloupka FJ, et al. The public health and economic benefits of taxing sugar-sweetened beverages. The New England Journal of Medicine 2009; 361(16):1599-605.
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