Screening per le demenze? Dibattito aperto in UK

DementiaLilia Biscaglia

La diagnosi precoce di demenza non presenta – secondo alcuni – maggiori benefici, in termini clinici ed economici, rispetto alla diagnosi tempestiva ovvero la diagnosi effettuata al momento più opportuno per quel paziente.


In una lettera aperta[1] – apparsa su BMJ a fine 2012 – alcuni clinici inglesi esprimono preoccupazione per la proposta di utilizzare strumenti diagnostici per le demenze in tutti i soggetti a rischio, inclusi i pazienti con 75 anni e più. Secondo i firmatari della lettera, la proposta apre la strada a uno screening di massa per le demenze.

La lettera è indirizzata al Responsabile nazionale di Salute Pubblica e al Primo Ministro Cameron, che ha paragonato il problema delle demenze a importanti sfide di sanità pubblica come l’AIDS e il cancro[2]. Nel futuro, l’invecchiamento della popolazione determinerà, infatti, il drammatico aumento del numero di persone con demenza. Secondo stime attendibili[3], a livello mondiale, le persone con demenza erano 35,6 milioni nel 2011 (Figura 1). E si prevede che si arriverà a 65,7 milioni di persone con demenza nel 2030 e a 115,4 milioni nel 2050. Il fenomeno riguarderà da vicino soprattutto i paesi a basso e medio reddito. Per quanto riguarda l’incidenza delle demenze, ogni anno si stimano 7,7 milioni di nuovi casi ovvero un nuovo caso di demenza ogni quattro secondi.

La lettera del BMJ – che ha aperto un ampio dibattito sul sito della rivista – fa riferimento alla proposta di modifica del contratto dei general practitioner avanzata dal Department of Health. Si prospetta l’applicazione di un “case finding scheme” per la diagnosi precoce di demenza. Nel dettaglio si propone l’accertamento iniziale di eventuali problemi di memoria nei soggetti a rischio e – solo se indicato – l’uso di scale di valutazione specifiche come il “General Practitioner Assessment of Cognition”.

Figura 1. Proiezioni del numero di persone con demenza nei paesi ad alto e a basso-medio reddito. Anni 2010-2050.

 

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Fonte: World Health Organization. Dementia: a public health priority. Geneva: WHO Press; 2012.

La principale differenza tra uno screening e il case finding è che lo screening è diretto a persone che non hanno (ancora) sintomi della malattia, mentre il case finding riguarda persone che hanno la malattia, ma che non si sono (ancora) rivolte ai servizi di cura. A differenza dei consueti programmi di screening (es: screening oncologici), i cittadini non sarebbero invitati formalmente, ma verrebbero sottoposti a test diagnostici, senza la possibilità di scegliere e di essere informati sui potenziali benefici e danni di questo tipo di procedura.

Ma cosa indicano le evidenze scientifiche? È possibile oggi effettuare uno screening per le demenze?

Come suggeriscono i firmatari della lettera, al momento non ci sono evidenze a sostegno di uno screening per le demenze condotto su una popolazione asintomatica. Nel giugno 2010 il National Screening Commitee – l’organo tecnico incaricato in UK di valutare i programmi di screening – aveva espresso un parere negativo rispetto alla possibilità di offrire uno screening per l’Alzheimer. Lo screening non risponde, infatti, ai 10 criteri di Wilson-Junger pubblicati dal WHO, e universalmente utilizzati per valutare gli screening. Uno dei primi criteri di Wilson-Junger riguarda la disponibilità di un trattamento riconosciuto e il maggior beneficio derivante dal trattamento precoce. Come ha sottolineato il WHO nel documento “Dementia: A Public Health Priority”[3], ad oggi non esistono trattamenti in grado di curare o anche solo di alterare il decorso della patologia. E mancano evidenze a sostegno di un trattamento precoce della demenza che sia in grado di modificare positivamente il decorso della malattia.

Se lo screening per le demenze non è una strada percorribile, il problema si sposta sulla distinzione tra diagnosi precoce (early diagnosis) e diagnosi tempestiva (timely diagnosis). Secondo i firmatari della lettera, la diagnosi precoce di demenza non presenta maggiori benefici, in termini clinici ed economici, rispetto alla diagnosi tempestiva ovvero la diagnosi effettuata al momento più opportuno per quel paziente. Tuttavia, nel documento “Dementia: A Public Health Priority”[3], il WHO indica la diagnosi precoce tra i principali obiettivi per la cura delle demenze, insieme alla cura della salute fisica, cognitiva e generale della persona, al trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali, e al supporto ai caregivers. Nello stesso documento, il tema della diagnosi precoce è, poi, ripreso nel dettaglio quando si parla del ruolo dei general practitioner. Secondo uno studio pubblicato nel 2010[4], i medici di famiglia possono avere difficoltà a diagnosticare la demenza nella fase iniziale, distinguendo la patologia dal normale processo di invecchiamento. A questi problemi, si aggiungono la difficoltà a comunicare la diagnosi e la paura dello stigma.

Negli UK, come in molti altri Paesi, il general practitioner ha un ruolo cruciale per l’accesso ai servizi di cura. Nella prospettiva di un ulteriore invecchiamento della popolazione e del conseguente aumento delle demenze, è necessario promuovere nei cittadini la consapevolezza del problema, e favorire un’azione più incisiva degli operatori sanitari nel riconoscimento dei sintomi precoci della patologia. Non a caso, la strategia 2009-2014 per le demenze –“Living well with dementia: A National Dementia Strategy” – presenta 17 raccomandazioni che includono due questioni principali: aumentare la consapevolezza e la comprensione del fenomeno delle demenze, e favorire la diagnosi precoce e il supporto ai cittadini con demenza. La diagnosi precoce è anche uno degli “Otto principi chiave per supportare le persone con demenza”, sviluppati dallo stesso Department of Health[5], con il coinvolgimento degli operatori sanitari e delle associazioni di utenti e cargivers.

L’obiettivo di questi principi è quello di aiutare gli operatori sanitari a modificare le loro azioni e la loro comunicazione in modo da rispondere in maniera appropriata ai bisogni delle persone con demenza.
Il primo principio riguarda il riconoscimento dei segni precoci di demenza. Il secondo principio si sofferma ancora sul tema della diagnosi precoce ovvero sulla possibilità da parte dei pazienti di ricevere prima possibile informazioni, supporto e trattamenti per la cura della malattia. Essere consapevoli della malattia nelle sue fasi iniziali, permette infatti di prendere decisioni importanti sulle cure e sulla propria vita, quando la persona ha ancora la capacità di scegliere ed esprimere le proprie preferenze. Di certo, le campagne informative sulle demenze condotte negli UK, hanno aumentato l’attenzione dell’opinione pubblica al problema. Secondo il NHS, la demenza è il problema di salute più temuto dai cittadini inglesi con 55 anni e più. Per questo motivo, ricevere una diagnosi nelle fasi iniziali della malattia è una richiesta sentita dai cittadini e dalle associazioni di utenti e familiari.

All’interno di questo quadro più ampio, si comprende meglio la proposta contestata apertamente nella lettera al BMJ: un tentativo di tradurre in maniera operativa le raccomandazioni che, da più parti, puntano l’attenzione sul tema della early diagnosis. Considerare il contesto nel quale si inserisce un provvedimento, non significa però ignorarne gli effetti. La richiesta dell’opinione pubblica e del governo di diagnosticare la malattia quanto prima possibile, deve fare i conti non solo con l’attitudine degli operatori sanitari e la loro preparazione sull’argomento, ma anche con le ripercussioni in termini sociali, economici e organizzativi di un’iniziativa assimilabile, a torto o a ragione, a uno screening di massa per le demenze. I firmatari della lettera, puntano l’attenzione su due aspetti principali: il costo per la comunità di una valutazione routinaria dei soggetti asintomatici a rischio, e le conseguenze per i cittadini. L’applicazione del case finding scheme per la diagnosi precoce di demenza, potrebbe comportare un numero elevato di casi “falsi positivi”: persone per le quali si è sollevato il sospetto diagnostico, ma che dopo ulteriori accertamenti risultano non avere la patologia. Nella lettera del BMJ si ipotizza inoltre un effetto stigmatizzante di questa operazione: i cittadini potrebbero evitare la visita dal general practitioner per timore di essere sottoposti a test di valutazione e ricevere una diagnosi di demenza. Si tratta di opinioni sulle quali è possibile discutere. Quel che è certo è che il problema delle demenze sarà sempre più presente nel dibattito pubblico. Inoltre, su questo tema più che mai, le evidenze scientifiche e le raccomandazioni vanno ad inserirsi all’interno di culture professionali e rappresentazioni sociali della malattia. Probabilmente da qui a qualche anno, cittadini e operatori sanitari avranno un’altra consapevolezza della malattia, così come è successo ad esempio per l’AIDS. Nel frattempo non ci rimane che ascoltare e seguire con attenzione il dibattito in corso in UK.

 Lilia Biscaglia. Psicologa, Laziosanità – Agenzia di Sanità Pubblica

Risorse

  1. Wilson JMG, Jungner G. Principles and practice of screening for disease [PDF; 7,24 MB]. Geneva: World Health Organization, 1968.
  2. Dementia campaign leaflet [PDF; 505 KB]
    Photo credit: Alzheimer’s Society and the Department of Health, England.
  3. Dementia, NHS Choices: If someone you know has memory loss, encourage them to see a GP.

Bibliografia

  1. Brunet MD, McCartney M, Heath I, et al. There is no evidence base for proposed dementia screening. BMJ 2012;345:e8588.
  2. Kmietowicz Z. Cameron launches challenge to end “national crisis” of poor dementia care. BMJ2012;344:e2347
  3. World Health Organization. Dementia: a public health priority. Geneva: WHO Press; 2012.
  4. Koch T, Iliffe S. Rapid appraisal of barriers to the diagnosis and management of patients with dementia in primary care: a systematic review. BMC Family Practice, 2010, 11 (52): 1–8.
  5. Skills for Care & Skills for Health. Common core principles for supporting people with dementia: a guide to training the social care and health workforce. Leeds: Skills for Care & Skills for Health; 2011.

 

 

 

 

 

 

Un commento

  1. mi piacerebbe conoscere gli eventuali conflitti di interesse dei componenti i gruppi di lavoro del WHO che hanno scritto Dementia: a public health priority.
    Quanti di loro e con quale intensita’ collaborano con l’industria farmaceutica ?
    Ho sfogliato il documento e non ho trovato alcuna dichiarazione.

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