Colera ad Haiti

ArtiboniteFederica Pozzi

Il fatto che ancora oggi  il colera continui ad essere una patologia endemica in più di 50 paesi in via di sviluppo, con una incidenza annuale stimata dall’OMS sui 3-5 milioni di casi, associati a circa 200.000 decessi, è indicativo di un investimento insufficiente da parte della comunità internazionale nell’assicurare l’accesso universale all’acqua e ai servizi sanitari.


La recente storia del colera ad Haiti ha tanto da insegnare. Mentre tutta l’attenzione e le risorse si concentravano sui campi di sfollati nelle zone urbane della capitale, una delle più grandi epidemie a trasmissione oro fecale della storia del paese stava per colpire l’Haiti rurale più lontana dall’epicentro del sisma. I fattori di rischio, tuttavia, erano già tutti presenti ben prima del 12 gennaio 2010. Il colera è allo stesso tempo un sintomo e una malattia. È un sintomo di un investimento insufficiente da parte della comunità internazionale nell’assicurare accesso universale all’acqua e ai servizi sanitari. Dato che la trasmissione oro fecale è la via principale di diffusione, la persistenza del colera nel 21 esimo secolo riflette il fatto che lo stato di sviluppo attuale lascia più di un miliardo di poveri a rischio di ingerire feci con il cibo e l’acqua. Fino a quando i dati resteranno questi, sarà molto difficile, in un’ottica di Sanità Pubblica, essere pienamente soddisfatti della strategia d’urgenza di risposta al colera in Haiti, nonostante l’indubbio successo raggiunto.

Il 19 ottobre 2010, a soli 9 mesi dal devastante terremoto che causò 250.000 morti, 300.000 feriti e lasciò più di  1,3 milioni di abitanti sfollati, il Ministero della Salute Pubblica e della Popolazione (MSPP) di Haiti riceveva la notifica che nell’Artibonite, uno dei dieci dipartimenti amministrativi dell’isola, si stava verificando una improvvisa e sospetta epidemia di diarrea acuta acquosa con grave disidratazione, in alcuni casi mortale.

Il 21 ottobre il laboratorio nazionale di Salute Pubblica di Port au Prince isolava il Vibrio Cholerae 01 (sierotipo Ogawa, biotipo El Tor) dalle feci di numerosi pazienti. Il 19 novembre il colera si era già diffuso a tutti i dieci  dipartimenti di Haiti e alla confinante Repubblica Dominicana[1].

Per i media e la maggior parte dell’opinione pubblica associare l’epidemia alle conseguenze del terremoto fu  un passo logico e scontato, idea peraltro rafforzata dal fatto che negli ultimo cento anni non si erano mai verificati casi di colera ad Haiti e persino l’ultima pandemia dell’America Latina nel 1991 non raggiunse i Caraibi[2].

La preoccupazione diffusa che il contesto post emergenza con la creazione e il  sovraffollamento dei campi per gli IDP (Internally Displaced People) nella capitale fosse  la principale condizione predisponente all’ insorgenza di epidemie aveva portato il CDC  (Centre for Disease Control and prevention) nell’agosto 2010 a creare un sistema di sorveglianza all’interno dei campi per l’individuazione rapida dei casi sospetti[3].

Occorre invece conoscere e analizzare l’andamento geografico e temporale  reale che ebbe l’epidemia di colera in Haiti per trarne alcune importanti riflessioni. Sorprendentemente (ma forse non troppo) il colera  emerse ben lontano dai campi di sfollati e delle zone terremotate, nel piccolo comune di Mirebalais, dipartimento dell’Artibonite, un’area rurale ad alta densità abitativa, estremamente carente in servizi sanitari e acqua potabile. L’epidemia si diffuse velocemente seguendo  il decorso del maggiore fiume della regione; il secondo cluster di diffusione in ordine temporale fu identificato dopo soli dieci  giorni dal primo esordio, intorno al delta del fiume, circa 25 km a valle rispetto al cluster di partenza e fu caratterizzato dall’insorgenza acuta e simultanea di 7159 nuovi casi in 7 diversi comuni su un’area di circa 1500 kmq  che condividevano il corso del fiume.

Figura 1 a. Localizzazione dei centri sanitari che riportarono i primi casi di colera lungo il fiume Artibonite

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Figura 1 b. Localizzazione spazio temporale dei primi clusters di casi di colera in Haiti

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Quello che accadde dopo, la diffusione successiva dell’epidemia verso i dipartimenti più a sud, ebbe un andamento molto più lento e progressivo nel tempo, tanto che a 6 settimane dall’insorgenza del primo cluster in Artibonite i campi sfollati della capitale non registravano ancora casi sospetti.

Posto che l’evento causale della contaminazione massiva del fiume Artibonite non possa essere accertato da studi epidemiologici e che l’individuazione delle esatte responsabilità spetta alle autorità competenti, il fatto che una inchiesta realizzata nei primi tre giorni dell’insorgenza dell’epidemia rivelò che il 63% della popolazione nei comuni interessati utilizzava l’acqua del fiume per bere, offre già alcuni dati significativi[4].

Il colera è una patologia a trasmissione oro fecale, riflette cioè l’unico vero fattore di rischio per una popolazione, quello di ingerire feci con il cibo e con l’acqua. In Haiti questo fattore di rischio era presente ben prima del 12 gennaio 2010, se già nel 2002 il paese si classificava all’ultimo posto su 147 paesi nel mondo nel Water Poverty Index[5].

Con una densità abitativa di 380 abitanti/kmq, ad Haiti i livelli di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici (Water and Sanitation) sono i più bassi di tutta l’America Latina e dei Caraibi. (Tabella 1)

Tabella 1. Accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di base (World Health Organization/UNICEF Joint Monitoring Programme for Water Supply and Sanitation. 2012 update)

 

Haiti

 

 

Rep. Dominicana

 

Cuba

 

Water

 

63%

86%

93%

 

Sanitation

 

17% (26% nel 1990)

83%

80%

 

 

Nonostante un miglioramento negli ultimi dieci anni, ad oggi solo il  63% della popolazione ha accesso all’acqua potabile. La situazione è invece drammatica per i servizi igienici di base, a cui ha accesso solo il 17% della popolazione, dato che pone Haiti fra gli ultimi 12 paesi del mondo. Inoltre, è uno dei pochissimi paesi in cui lo sviluppo dei servizi igienici ha avuto un trend in netto peggioramento (-3% dal 1995) negli ultimi anni.

I soli dati nazionali, per quanto già significativi, mascherano la reale distribuzione delle disuguaglianze nell’accesso all’acqua e ai servizi igienici. Disaggregando i dati sulla base delle aree geografiche, emergono infatti variazioni significative fra la popolazione urbana e rurale per accesso all’acqua potabile (51% rurale vs 85% urbana) e soprattutto per disponibilità di servizi igienici (10% rurale vs 24% urbana).

Figura 2.  Disuguaglianze nell’ accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di base in Haiti

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Fonte: World Health Organization/UNICEF Joint Monitoring Programme for Water Supply and Sanitation. 2012 update

Inoltre, nel post terremoto, più di 180.000 persone si spostarono dalla capitale verso le aree rurali del paese, aggiungendo ulteriore pressione su piccole comunità con sistemi di acqua potabile e latrine già insufficienti. I dati delle aree rurali, dove si concentra il  53%  della popolazione del paese sono ancora più scoraggianti se si considera che il 21% della popolazione utilizza acqua di superficie (4% in area urbana) e il 49% pratica la defecazione all’aperto (9% in area urbana). Se consideriamo per esempio il subcontinente Asiatico, a parità di condizioni di sviluppo, il tasso di defecazione all’aperto in area rurale è altrettanto alto (55%), ma al contrario l’utilizzo dell’acqua di superficie è nettamente inferiore (2%)[6]. Si deduce facilmente quindi che in Haiti la combinazione di utilizzo di acqua di superficie e di defecazione all’aperto che si osserva in area rurale rende il rischio di patologie a trasmissione oro fecale molto più elevato.

Questa situazione si riflette nei dati di mortalità infantile  più alti di tutto l’emisfero occidentale, con  una U5M di 87 per 1000 nati vivi e la diarrea che da sola raggiunge il 20% delle cause di mortalità nei bambini. Vedi precedente post su Haiti.

Figura 3. Casi di colera dal 20 ottobre 2010 al 20 ottobre 2012 e case fatality rate cumulativa

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Fonte: Ezra j. et al. Cholera Surveillance during the Haiti epidemic, the first 2 years. NEJM January 9, 2013

Un’epidemia che potrebbe durare anni

A tre anni dal terremoto e a 28 mesi dai primi casi di colera, per Haiti è il momento di affrontare alcune scelte.

Il National Cholera Surveillance System (NCSS) creato tempestivamente dal Ministero della Salute con il supporto della PAHO (Panamerican Health Organisation), al 6 di dicembre 2012 aveva  identificato 621 660 casi di infezioni e 7759  morti, con un  incremento periodico durante la stagione delle piogge e dopo il passaggio di uragani.

Oggi i dati in nostro possesso suggeriscono che l’epidemia di  colera in Haiti potrebbe durare anni.

L’identificazione del Vibrio Colherae El Tor 01, uno strain identico a quello predominante nelle regioni asiatiche del Bangladesh, ha suggerito l’ipotesi che l’epidemia sia iniziata con l’introduzione per via umana nel paese di una variante derivante da una zona geografica differente[7].

L’apparente maggiore fitness, il vantaggio di sopravvivenza ambientale, la capacità di manifestarsi nel tempo con ondate di virulenza successive e l’elevata resistenza antibiotica di questa variante, oltre alla capacità di causare manifestazioni cliniche gravi, fanno ipotizzare che potrebbe diventare prevalente rispetto all’attuale strain presente in America Latina, continuando a colpire una popolazione priva di immunità specifica acquisita da precedenti esposizioni e già affetta da una prevalenza elevata di malnutrizione cronica[8].

Se da un lato è doveroso ricordare che una delle  lezioni apprese dal colera in Haiti è stata l’efficacia di una  iposta di urgenza basata sulla diagnosi precoce del caso sospetto, l’uso della terapia antibiotica anche per i casi di disidratazione moderata[9], la reidratazione orale o parenterale aggressiva, il vaccino e il sistema capillare di sorveglianza e raccolta dati, una strategia integrata che ha permesso di mantenere il case fatality rate stabile intorno all’1.2% , è altrettanto necessario chiedersi se questa sia la sola strada da percorrere[10].

La storia ci insegna che il miglior intervento per il controllo a lungo termine del colera e della maggior parte delle altre patologie a trasmissione oro fecale è la strategia utilizzata negli Stati Uniti e in Europa già a partire dal 1800, ben prima della scoperta di antibiotici e vaccini: lo sviluppo e il mantenimento di sistemi di approvvigionamento idrico e di fognature, che separino gli scarichi contaminati  dall’acqua potabile, dai cibi e in generale dall’ambiente esterno.

Il fatto che ancora oggi  il colera, pur senza raggiungere l’attenzione delle recenti grandi epidemie (dal 1994 nei campi profughi ruandesi nell’attuale Repubblica Democratica del Congo al  2008 in Zimbawe) resti una patologia endemica in più di 50 paesi in via di sviluppo, con un’incidenza annuale stimata dall’OMS sui 3-5 milioni di casi, associati a circa 200.000 decessi, è indicativo di un investimento insufficiente da parte della comunità internazionale nell’assicurare l’accesso universale all’acqua e ai servizi sanitari[11].

In effetti con solo il 63% della popolazione nei paesi in via di sviluppo che dispone di acqua potabile  e il 15% della popolazione mondiale (più di un miliardo di persone) che non hanno servizi igienici, la strada per raggiungere l’equità è ancora lunga.

Assicurare acqua potabile e servizi igienici sicuri è sicuramente un obiettivo difficile, soprattutto nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo, dove alle difficoltà tecniche di costruzione e alla capacità di manutenzione delle opere si aggiungono i costi elevati[12].

Si stima infatti che la spesa per il miglioramento e la manutenzione delle infrastrutture idrauliche necessaria per raggiungere il MDG 7 potrebbe arrivare a circa 50 miliardi di dollari all’anno. L’OMS ritiene però che questi investimenti avrebbero un importante impatto su scala mondiale[13].

Per giustificare davvero  una spesa simile servirebbe un’analisi corretta costo-beneficio che prenda in considerazione i benefici diretti come la riduzione delle patologie diarroiche e la relativa mortalità e altri benefici indiretti come il miglioramento dello stato nutrizionale dei bambini[14].

Per Haiti raggiungere questo obiettivo oggi significherebbe garantire l’accesso all’acqua sicura a 250.000 famiglie e fornire servizi igienici di base a circa un milione. L’Inter American Developement Bank (IADB)  stimò nel 2008 che per  questo target sarebbero serviti circa 750 milioni di dollari[15]. Con gli oltre 6 miliardi di dollari  raccolti per la ricostruzione, un piano a lungo termine per Water and Sanitation sarebbe stato realizzabile con le risorse già disponibili.

Conclusioni

Haiti è un esempio di come anche le responsabilità personali, della comunità e la volontà politica nazionale siano fattori determinanti, più della reale disponibilità delle risorse economiche e idriche del paese.

Haiti e la Repubblica Dominicana condividono il territorio dell’isola di Hispaniola ed hanno la stessa disponibilità di risorse idriche, tuttavia la repubblica Dominicana nel Water Poverty Index si localizza ben più in alto, al 64 esimo posto.  Scomponendo l’indice globale nei diversi indicatori si osserva che il divario è soprattutto legato alla capacity che misura il livello di educazione e di consapevolezza globale della popolazione.

L’atteggiamento dei singoli e delle famiglie verso l’utilizzo di sistemi di acqua e di servizi igienici sicuri dipende da strategie efficaci di comunicazione per il cambiamento delle abitudini; in Haiti pratiche culturali inveterate nel tempo e spesso la mancanza di educazione della popolazione sono problemi reali difficili da superare.

Anche la volontà politica a livello nazionale deve essere  sviluppata esercitata e mantenuta. In Haiti l’ultima legge governativa sull’Assainissement risale al 1963 e solo nel 2009 il settore pubblico ha avuto una ripresa positiva con la creazione di un nuovo ministero, la Direction Nationale de l’Eau et de l’Assainissement (DINEPA) con i relativi uffici regionali (OREPA).

Tuttavia, fattori quali i limiti tecnologici, i costi, le abitudini comportamentali, la mancanza di educazione e la debole volontà politica dovrebbero oggi essere considerati problemi da risolvere piuttosto che barriere assolute, di fronte all’imperativo categorico di fornire a tutti e non solo ad alcuni acqua potabile, servizi igienici e cibo non contaminato dalle feci[16].

La speranza è che la storia del colera in Haiti possa  rinforzare alcune importanti lezioni sui corretti approcci di Salute Pubblica di fronte alle epidemie a trasmissione oro fecale nei paesi a basso reddito. Se infatti è indubbio che l’obbiettivo principale della risposta immediata debba essere centrato su prevenzione e cura, questa strategia dovrebbe essere associata fin dall’inizio ad interventi duraturi per il miglioramento dell’accesso all’acqua potabile a servizi sanitari, per non vanificare nel lungo termine i risultati raggiunti[17].

Federica Pozzi, specialista in medicina interna, cooperante in Haiti

Bibliografia

  1. Cholera outbreak — Haiti, October 2010. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2010;59:1411.
  2. Jenson D, Szabo V. Haiti Humanities Laboratory Student Research Team. Cholera in Haiti and other Caribbean regions, 19th century. Emerg Infect Dis 2011;17:2130-5
  3. Tappero JW, Tauxe RV. Lessons learned during public health response to cholera epidemic in Haiti and the Dominican Republic. Emerg Infect Dis 2011;17:2399.
  4. Piarroux R. Understanding the Cholera Epidemic, Haiti Emerg Infect Dis 2011; 17(7)
  5. Sullivan CA, Meigh JR, Giacomello AM. The Water Poverty Index: development and application at the community scale. Nat Resour Forum 2003;27:189-99.
  6. World Health Organization/UNICEF Joint Monitoring Programme for Water Supply and Sanitation. 2012 update
  7. Chin CS et al . The origin of the Haitian cholera outbreak Strain. NEJM 2010.
  8. Siddique AK, Nair GB, Alam M, et al. El Tor cholera with severe disease: a new threat to Asia and beyond. Epidemiol Infect 2010;138:347-52.
  9. Nelson EJ. Antibiotics for both moderate and severe cholera, NEJM 2010
  10. Ivers LC, Farmer P, Almazor CP, Leandre F. Five complimentary interventions to slow cholera: Haiti. Lancet 2010;376:2048‐51.
  11. Cholera, 2011. Wkly Epidemiol Rec 2012;87:289-304.
  12. United Nations Development Programme. Human development report. Beyond scarcity: power, poverty and the global water crisis
  13. Hutton G, Bartram J. Global costs of attaining the Millennium Development Goal for water supply and sanitation. Bull World Health Organ 2008;86:13-9.
  14. Mintz E, Bartram J, Lochery P, Wegelin M. Not just a drop in the bucket: expanding access to point-of-use water treatment systems. Am J Public Health 2001;91:1565-70
  15. Inter-American Development Bank, Water and Sanitation Initiative. Drinking water, sanitation, and the Millennium Development Goals in Latin America and the Caribbean. Washington: The Bank; 2010. p. 10
  16. Guerrant RL, Carneiro-Filho BA, Dillingham RA. Cholera, diarrhea, and oral rehydration therapy: triumph and indictment. Clin Infect Dis 2003;37:398-405
  17. Ronald J.Waldman The cure for Cholera –improving Access to Safe Water and sanitation-NEJM January 10 2013

 

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