Task shifting. L’arte (e la necessità) della delega

Grungy Staff DoorEnrico Tagliaferri

Fare di necessità virtù, dice un vecchio adagio. La virtù è quella di trovare soluzioni vincenti per risolvere i problemi dovuti alla scarsità di risorse, superando i rigidi confini delle competenze e distribuendo i carichi delle responsabilità. Quasi sempre con successo.  


Nei paesi poveri, dove di solito il personale sanitario è insufficiente e scarsamente qualificato rispetto ai paesi ricchi, e i bisogni di sanità sono enormi, da sempre l’infermiere, o figure meno qualificate,  formulano diagnosi e prescrivono terapie, svolgono funzioni manageriali e di sanità pubblica, insomma quello che nei paesi ricchi fanno di solito medici  e manager.

In un contesto dove la popolazione è dispersa su ampi territori, le strade sono dissestate e mancano i mezzi di trasporto, il sistema sanitario è decentralizzato in dispensari dove i malati trovano una prima risposta alla maggior parte dei problemi di salute più comuni.

Ovviamente questo è reso possibile da protocolli schematici, linee guida, come quelle utilizzate per la gestione delle malattie più comuni del bambino (Integrated Management of Childhood Illness, IMCI) o la cura della tubercolosi, che richiede una terapia prolungata e un attento follow up.

Di necessità si deve far virtù, potrebbe dire qualcuno abituato al nostro sistema: mancano i medici, ci accontentiamo degli infermieri o quel che c’è. Ma non è così. Esiste già una corposa letteratura che dimostra come nei paesi a medio e basso reddito la gestione, da parte di infermieri o figure ancor meno qualificate, di servizi considerati nei paesi occidentali di pertinenza medica è efficace e cost-effective [1].

Recentemente è stato dimostrato che anche la terapia antiretrovirale (HAART) può essere gestita dagli infermieri altrettanto bene che dai medici. Lo studio è stato condotto in Sud Africa su più di 15.000 pazienti in 31 centri. Nei pazienti che all’arruolamento non erano in terapia è stata considerata la mortalità, nei pazienti già in trattamento all’inizio dello studio è stata considerata la soppressione della viremia. Questi due indicatori sono risultati praticamente sovrapponibili nei pazienti trattati da infermieri e da medici. Anzi, in un sottogruppo di pazienti la mortalità è risultata leggermente minore in quelli trattati dagli infermieri. La diagnosi di tubercolosi, l’aderenza al trattamento e il livello di linfociti CD4 al termine del follow up sono risultati più elevati nei pazienti trattati dagli infermieri[2].

Si potrebbe obiettare che il sistema sanitario del Sud Africa è più solido rispetto a quello di molti altri paesi dell’Africa Sub-Sahariana, ma il messaggio è chiaro: affidare la HAART, fino a pochi anni fa ritenuta troppo complessa e delicata per essere introdotto in Africa su larga scala, agli infermieri, è sicuro ed efficace. E in un contesto di alta endemia, dove ancora troppi pazienti non hanno accesso alle cure, non è poca cosa.

Inoltre quello descritto è solo l’ultimo e forse più significativo di una serie di studi che hanno dimostrato come sia sicuro ed efficace coinvolgere in varia misura infermieri e personale meno qualificato nella gestione dell’infezione da HIV [3].

Naturalmente il medico conserva un ruolo importante in termini di formazione, supervisione, gestione dei casi più complicati, ad esempio pazienti che hanno bisogno di una terapia di seconda linea per fallimento o per tossicità.

Il punto è che per alcuni servizi o livelli di assistenza, la performance dell’infermiere non differisce da quella del medico.

In un recente post su questo blog viene descritta un’esperienza condotta in Sud Sudan dal 2005 al 2010: non sono state evidenziate differenze significative in termini di morbosità e mortalità tra gli interventi chirurgici condotti dal personale espatriato e il personale locale, non qualificato ma addestrato sul campo[4].

Affidare un compito alla persona meno qualificata in grado di svolgerlo correttamente è uno dei criteri di efficienza della strategia Primary Health Care, indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il modello da seguire per la salute globale[5]. Un esempio estremo è quello dei Village Health Workers: membri della comunità coinvolti nella terapia domiciliare della malaria nei bambini, il trattamento di massa dell’oncocercosi e delle elmintiasi, le campagne vaccinali, la distribuzione delle zanzariere, l’educazione sanitaria e altro ancora[6]. Ad esempio, uno studio recente condotto in India ha dimostrato che membri della comunità sottoposti ad un corso di formazione sulle più comuni patologie psichiatriche, non soltanto ottenevano risultati clinici migliori dei medici, ma permettevano un notevole risparmio economico[7]. Probabilmente nell’ambito delle patologie psichiatriche la vicinanza con il paziente gioca un ruolo importante e in questo senso un membro della stessa comunità può essere avvantaggiato.

Un’esperienza originale è quella dei family health teams creati in Brasile negli anni ’90, nell’ambito del Programa de Sáude da Família, e composti da un medico, un infermiere, un nurse assistant e quattro volontari membri della comunità, cui venivano affidati numerosi servizi sanitari per una specifica zona[8].

Naturalmente il task shifting non può essere considerato una panacea per tutti i mali dei sistemi sanitari né come un modo per abbattere i costi, tentazione forte in tempi di crisi. Il task shifting per i paesi poveri non è alternativo alla formazione di nuovo personale, incluso personale medico e specializzato. E comunque richiede formazione, supervisione, aggiornamento, e deve far parte di un sistema articolato su più livelli dove ogni necessità possa trovare una risposta.

 

Bibliografia

  1. WHO The world health report 2006: working together for health. Geneva: World Health Organzation; 2006.
  2. Fairall L et al. Task shifting of antiretroviral treatment from doctors to primary-care nurses in South Africa (STRETCH): a pragmatic, parallel, cluster-randomised trial. Lancet 2012; 380: 889–98.
  3. Callaghan M, Ford N and Schneider H. RA systematic review of task- shifting for HIV treatment and care in Africa. Human Resources for Health 2010, 8:8.
  4. Meo G. Chirurgia e task-shifting in Sud Sudan. Salute Internazionale, 14.09.2012.
  5. The World Health Report 2008 – Primary Health Care (Now More Than Ever). Geneva: World Health Organization, 2008.
  6. Tagliaferri E. Village health workers: il ruolo delle comunità locali nei programmi sanitari dei paesi poveri. Salute Internazionale, 26.08.2009.
  7. Buttorff C, Hock RS, Weiss HA, Naik S, Araya R, Kirkwood BR, Chisholm D, Patel V. Economic evaluation of a task-shifting intervention for common mental disorders in India. Bull World Health Organ. 2012;90(11):813-21.
  8. Lehmann U, Van Damme W, Barten F, Sanders D. Task shifting: the answer to the human resources crisis in Africa? Hum Resour Health 2009;7:49.

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