Il caso Glivec. Davide contro Golia. India vs Novartis

novartisAlice Fabbri e Cristiano Alicino

La sentenza della Corte Suprema indiana segnerà davvero uno spartiacque nell’applicazione degli accordi internazionali sui diritti di proprietà intellettuale, o piuttosto si tratta del “canto del cigno” del diritto all’accesso ai farmaci per i Paesi a risorse limitate?


Lunedì 1 Aprile 2013, dopo una battaglia legale durata sette anni, la Corte Suprema Indiana ha respinto il ricorso del colosso farmaceutico svizzero Novartis per il riconoscimento del brevetto di una forma modificata del farmaco oncologico Imatinib mesilato (commercializzato con il nome Glivec)[1]. La Corte ha giustificato la sua decisione affermando che non si tratta di un nuovo farmaco, ma di una versione modificata di un composto già noto, pratica che in termini tecnici prende il nome di “evergreening”. Tale strategia viene utilizzata dalle multinazionali del farmaco per “rinverdire” un prodotto già esistente e ottenere un nuovo brevetto, continuando così a commercializzare il farmaco in regime di monopolio[2].

Per comprendere meglio la portata e le conseguenze di questa decisione, è necessario ricostruire brevemente la storia del Glivec e le tappe che hanno condotto a questa sentenza storica. Il Glivec ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel trattamento dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica e la sua scoperta è stata celebrata con toni trionfalistici in un libro pubblicato nel 2003 dall’allora amministratore delegato di Novartis, Daniel Vasella [3].

Approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 2001 come farmaco orfano(a) – a causa della rarità della patologia onco-ematologica per cui è stato autorizzato) -, in breve è diventato il fiore all’occhiello del colosso svizzero. È stato brevettato in 40 Paesi e solo nel 2012 ha garantito all’azienda un fatturato di 4,6 miliardi di dollari. Tuttavia, è interessante ricordare, come sottolineava già nel 2006 Marcia Angell, ex direttrice del New England Journal of Medicine, che Novartis in realtà non è stata l’unico motore di questa scoperta. Tutta la ricerca di base su Imatinib mesilato infatti è stata effettuata in istituzioni accademiche grazie a finanziamenti prevalentemente pubblici, mentre Novartis – titolare del brevetto sulla molecola dal 1993 – ha giocato un ruolo importante nelle fasi più avanzate di sviluppo del farmaco, quando erano già stati ottenuti dati molto promettenti sulla sua efficacia clinica[4].

Ma torniamo ora alla questione più recente di cui il Glivec è protagonista, ripercorrendo le tappe salienti di una vicenda che è stata definita uno “scontro tra Davide e Golia” sul tema della proprietà intellettuale, dell’accesso ai farmaci e più in generale del diritto alla salute.

La legge sui brevetti è stata adottata dall’India nel 2005 come parte del processo di adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). Essa prevede la tutela brevettuale per i farmaci innovativi, ma definisce criteri piuttosto restrittivi per brevettare nuove versioni di farmaci già esistenti, stabilendo – all’interno della ormai famosa Sezione 3(d)- che il composto modificato deve dimostrare una maggiore efficacia terapeutica. La domanda di protezione brevettuale per il Glivec era stata respinta già nel 2006, quando l’ufficio brevetti indiano aveva stabilito che il principio attivo, Imatinib mesilato, era un composto già noto dagli anni Novanta, ben prima dello sviluppo del Glivec. Tuttavia, Novartis ha presentato una richiesta di brevetto per la più recente forma beta-cristallina del farmaco sostenendo che tale versione presenti migliori caratteristiche farmacocinetiche. Dopo una causa durata sette anni, lunedì scorso la Corte Suprema indiana ha bocciato la richiesta della multinazionale svizzera affermando che, anche se la forma beta-cristallina ha proprietà fisico-chimiche migliori rispetto a Imatinib mesilato, nessuna di queste caratteristiche comporta una maggiore efficacia terapeutica[5].

La prima conseguenza di questa sentenza è che l’equivalente generico, già in commercio da alcuni anni, rimarrà sul mercato a un prezzo di 175 dollari al mese a fronte dei 2600 dollari del Glivec, ma le ripercussioni saranno in realtà molto maggiori[1]. Come molti hanno sottolineato, si tratta di una decisione storica! Provocatoriamente ci si potrebbe chiedere se il movente primario di una simile sentenza sia stata la difesa dell’industria locale di generici – un settore così in crescita che è valso all’India il nome di “farmacia dei Paesi poveri”- oppure la tutela del più ampio diritto di accesso ai farmaci. Tuttavia, anche se il reale movente fosse il primo, la decisione della Corte Suprema indiana potrebbe realmente fare la differenza per milioni di persone in tutto il mondo.  Tale  sentenza potrebbe infatti stabilire un importante precedente anche per prossime dispute sulla proprietà intellettuale e rappresentare un deterrente per futuri abusi da parte dell’industria farmaceutica, le cui reazioni naturalmente non si sono fatte attendere.

Novartis ha infatti commentato la sentenza utilizzando la solita e aggressiva retorica adottata da Big Pharma ogni qualvolta governi o tribunali non piegano le loro leggi ai “capricci” del mercato. Scoraggia la futura innovazione, negando alle aziende un’equa ricompensa necessaria per poter investire sui farmaci del futuro”, si legge nel comunicato ufficiale diffuso da Novartis dopo la sentenza. Mentre Rnajit Shahani, vice presidente e direttore generale di Novartis India, ha dichiarato che “la decisione della Corte Suprema ostacolerà il progresso scientifico per trovare una cura a quelle malattie per cui attualmente non esiste un’efficace opzione terapeutica”.
Alle accuse rivolte alla Corte Suprema di ostacolare ricerca e progresso, si aggiungono le minacce al Governo indiano di diminuire gli investimenti nel Paese.  Paul Herrling, presidente dell’Istituto di malattie tropicali fondato da Novartis a Singapore, ha affermato che la sentenza renderà il mercato indiano meno attraente per le aziende farmaceutiche che non saranno incoraggiate a commerciare le loro innovazioni in India, dal momento che versioni generiche più economiche saranno rapidamente rese disponibili. L’India non sarà nemmeno la nostra prima scelta come centro di ricerca per l’innovazione, dal momento che garantisce minore protezione rispetto alla maggior parte degli altri Paesi del mondo”[6].

Occorre tuttavia ricordare che gli investimenti stranieri nell’industria farmaceutica indiana ammontano a meno del 2% del totale, per cui difficilmente il governo indiano si lascerà intimidire da queste minacce[7].

Ma davvero i diritti di proprietà intellettuale su Imatinib mesilato, con la conseguente possibilità di decidere il prezzo del farmaco in un regime di monopolio, rappresentano la giusta ricompensa per gli sforzi profusi dall’azienda? E i brevetti sui farmaci rappresentano realmente un incentivo alla futura innovazione? Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda, abbiamo già raccontato come la storia del Glivec si fondi principalmente sulla tenacia di alcuni ricercatori i cui studi sono stati finanziati prevalentemente da fondi pubblici. Anche la risposta alla seconda domanda, analizzando i dati forniti da FDA relativamente all’approvazione dei nuovi farmaci, sembrerebbe essere negativa. Dal 1990 ad oggi l’ente regolatorio statunitense ha autorizzato 1986 nuovi farmaci. Di questi 660 erano nuove entità molecolari e solo 250 hanno goduto della procedura di analisi privilegiata che FDA riserva alle reali innovazioni da un punto di vista terapeutico, con un tasso di innovazione medio pari al 12,6%[8].

Nel corso dei 23 anni considerati, nonostante le tutele offerte dai diritti di proprietà intellettuale e i “celebrati” investimenti nel settore “Ricerca e Sviluppo”, il grado di innovatività si è ridotto progressivamente. Al dato quantitativo aggiungiamo anche un’analisi qualitativa. Tra i farmaci annoverati quali reali innovazioni farmacologiche troviamo Vioxx, Avandia, Tamiflu e altri le cui vicende sono tristemente note e che a distanza di anni potremmo difficilmente considerare dei virtuosi modelli di progresso terapeutico. Inoltre la possibilità di sfruttare, dal punto di vista economico, i risultati delle proprie ricerche non ha sortito praticamente alcun effetto nell’orientare le priorità di ricerca e svilluppo verso le patologie prevalenti nei Paesi a risorse limitate che, di fatto, continuano a non rappresentare un mercato appetibile per Big Pharma.

Di ben diverso tenore sono state le reazioni alla sentenza di Medici Senza Frontiere (MSF), organizzazione che in questi anni ha lanciato e sostenuto la campagna internazionale “Drop the case!”(b) per fare pressioni su Novartis affinchè ritirasse la causa intentata contro il governo indiano.“Questo è un enorme sollievo per i milioni di pazienti e medici dei Paesi in Via di Sviluppo che dipendono dai farmaci a basso costo provenienti dall’India”, ha affermato entusiasticamente Unni Karunakara, Presidente di MSF. Karunakara ha ricordato inoltre come attualmente l’innovazione farmaceutica è finanziata attraverso i prezzi elevati dei farmaci coperti da brevetti. Questo sistema fa pagare costi elevatissimi (in termini di salute) ai pazienti e ai governi dei Paesi in Via di Sviluppo che non possono sostenere queste spese”.

Quello che emerge dalle riflessioni del presidente di MSF è che una vicenda combattuta per sette anni all’interno dei tribunali a colpi di clausole di accordi internazionali e leggi nazionali, in realtà nasconde un quesito etico molto più profondo. Anche considerando un medicinale dai sorprendenti benefici clinici come il Glivec, si può parlare di vera e reale innovazione se questo farmaco è disponibile solo per poche persone e non è accessibile a tutti coloro che ne avrebbero bisogno?

È stato ampiamente dimostrato come le attuali regole internazionali, proteggendo i diritti di proprietà intellettuale, garantiscano il profitto delle aziende a scapito del diritto alla salute e alla vita di miliardi di persone nel mondo. A fronte delle ben note evidenze sul fallimento dei sistemi attualmente in vigore, la sentenza di lunedì scorso potrebbe essere dunque l’occasione per domandarci, parafrasando Einstein, se è possibile risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato. Interessanti in questo senso sono, ancora una volta, le parole del presidente di MSF che chiama in causa le responsabilità sia di Big Pharma sia dei governi: “piuttosto che pretendere di poter abusare del sistema dei brevetti piegando le regole alle proprie esigenze e reclamando protezioni brevettuali sempre più lunghe su vecchie medicine, l’industria del farmaco dovrebbe concentrarsi su reali innovazioni e i governi dovrebbero sviluppare un sistema di regole che consenta alle medicine di essere sviluppate in modo da favorire un loro equo accesso”.

Tuttavia, non sembra essere questa la direzione in cui ci si sta muovendo. Il caso Glivec ha rappresentanto un’importante vittoria, ma come sottolinea Brook Baker, docente presso la Northeastern University di Boston,  la legge indiana sui brevetti con le sue stringenti clausole è ancora sotto attacco soprattutto in un periodo in cui Stati Uniti ed Europa stanno premendo per ulteriori restrizioni in termini di protezione brevettuale ratificate nell’ambito dei Free Trade Agreements (FTA), o Accordi di Libero Commercio[9]. Proprio in queste settimane si stanno infatti intensificando le trattative tra Europa e India per siglare -probabilmente entro fine Aprile- un FTA tra i due Paesi.

La sentenza della Corte Suprema indiana segnerà davvero uno spartiacque nell’applicazione degli accordi internazionali sui diritti di proprietà intellettuale, come dichiarato da alcuni osservatori, o piuttosto si tratta del “canto del cigno” del diritto all’accesso ai farmaci per i Paesi a risorse limitate?

 

Alice Fabbri, medico in formazione specialistica in Igiene e Medicina Preventiva, Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale, Università di Bologna

Cristiano Alicino, medico in formazione specialistica in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Genova

 

Bibliografia

  1. Arie S. Indian Supreme Court rejects Novartis’s appeal on drug patent. BMJ 2013; 346: f2099
  2. Cattaneo A. Far diventare i farmaci evergreen, come alcune canzoni. Saluteinternazionale.info, 27.03.2013.
  3. Vasella D, Slater R. Magic Cancer Bullet: How a Tiny Orange Pill Is Rewriting Medical History, 2003.
  4. Angell M. Farma&Co. Il Saggiatore, 2006.
  5. Il testo della decisione della Corte Suprema Indiana
  6. Padma TV. Indian court rejects Novartis patent. Nature, 01.04.2013.
  7. Soutik B. Is Novartis ruling a watershed? BBC News, 01.04.2013.
  8. FDA: Data on Drugs
  9. Kardas-Nelson M. Impoverished cancer patients benefit from rejected drug patent. Mail&Guardian, 05.04.2013.

Nota

a) I farmaci orfani sono quei medicinali efficaci nel trattamento di alcune malattie che non vengono prodotti o immessi sul mercato a causa della domanda insufficiente a coprire i costi di produzione e fornitura.(Definizione tratta da Wikipedia)

b) Novartis, Drop the Case! 

 

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.