Sanità toscana: alto rischio di sbandata

cavalloditroiaLorenzo Roti

Il “super-ticket” è stato usato come “cavallo di troia” per fare strada alla privatizzazione dei servizi.  In Toscana è a rischio l’universalismo?


Le politiche di compartecipazione alla spesa (copayment) hanno subito una forte accelerazione negli ultimi anni quando si è dovuto affrontare con crescente criticità il tema del sottofinanziamento del Servizio sanitario nazionale.

Il ticket nella sua definizione originaria avrebbe dovuto rappresentare una forma di compartecipazione alla spesa funzionale a gestire, limitandolo,  il fenomeno di rischio morale (moral hazard) per il quale in un sistema  a copertura totale (universalistico) si corre il rischio di un eccessivo ricorso alle prestazioni e servizi sanitari, pur in presenza della  mediazione assicurata da prescrizione medica.

Il rischio morale si concretizza quando il cittadino (assicurato) adotta comportamenti di difficile governo e aumenta la propria domanda verso livelli ad alto rischio di inappropriatezza e di difficile sostenibilità economica.

La natura “educativa” del ticket è però mutata sostanzialmente con la Finanziaria 2007 che ha previsto, in aggiunta alla quota massimale sull’assistenza specialistica di € 36,15 a ricetta, una quota fissa di 10 euro per ricetta a carico dei soggetti non esenti. Da allora il ticket ha assunto le sembianze di un vero e proprio strumento di finanziamento del SSN [1]. Tale disposizione (conosciuta come “superticket¨ sulla specialistica) è stata soppressa fino al 2011 da successive leggi finanziarie, ma è stata riportata in vigore dal DL 98/11.

Alcune regioni (Lazio, Liguria, Calabria, Puglia, Sicilia, Campania, Friuli Venezia Giulia, Marche e Molise) hanno applicato il ticket da 10 euro subito e senza modifiche, altre (Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Trento e Bolzano) hanno scelto di non applicare il nuovo ticket, altre ancora (Lombardia, Piemonte e Basilicata) hanno scelto di proporzionare il ticket in base al valore delle prestazioni e, infine, alcune regioni, la regione Toscana come capofila e con essa Emilia Romagna e Umbria,  hanno modulato i ticket per le prestazioni di specialistica in base al reddito familiare.

Il presidente Rossi motivò così tale scelta: “Il governo ci ha tagliato 66 milioni sulla sanità e ci ha imposto di introdurre il ticket, dieci euro uguali per tutti. Noi non ci stiamo, perché crediamo con Don Milani che non c’é nulla di più ingiusto che far parti uguali tra diseguali, e quindi abbiamo modulato l’intervento in base al reddito dei cittadini… La strada che abbiamo imboccato ci sembra più giusta e una migliore tutela per la famiglia e per le fasce più deboli”[2].

Preso atto del diffuso problema dell’evasione fiscale Regione Toscana decise allora di introdurre in prima battuta anche l’ISEE come strumento certificativo della condizione economica familiare, riconoscendo tutti i limiti dello strumento del reddito familiare fiscale (“ L’Isee non è un toccasana, ma è uno strumento per fare maggiore equità perché si avvicina di più alla effettiva situazione familiare)[3]. Fu deciso allora che ai fini di compartecipazione il cittadino toscano avrebbe potuto ricorrere anche all’ISEE, prendendo a riferimento le stesse fasce economiche del reddito familiare fiscale (Tabella 1)  come documento unico nell’accesso ai servizi sanitari ai fini della compartecipazione[4].

Tabella 1: Ticket aggiuntivo sulle ricette

Fasce economiche reddito familiare fisca)le (ER) o Isee (EI

Specialistica ambulatoriale
escluso le prestazione in dettaglio

RMN e TAC

Prestazione a cicli

Pacchetti ambulatoriali complessi di medicina fisica e riabilitazione

Chirurgia ambulatoriale e diagnostica per immagini
(Pet e scintigrafie)

fino a
€ 36.151,98

 € 0

€ 0

€ 0

€ 0

€ 0

da € 36.151,99
a € 70.000

€ 10

€ 10

€ 10

€ 32

€ 15

da € 70.001
a € 100.000

€ 20

€ 24

€ 24

€ 52

€ 30

oltre € 100.000

€ 30

€ 34

€ 34

€ 82

€ 40

I risultati del primo anno di applicazione non hanno però prodotto quanto ci si aspettasse sia in termini di ritorno economico che di equità. Due i motivi principali:

  1. Le fasce economiche individuate in prima battuta non sono state modificate in attesa di una introduzione di una nuova ISEE mai venuta; per questo motivo oggi circa il 70% delle prestazioni è erogata a soggetti esenti.
  2. Nella speranza di aumentare i ricavi (da ticket) si sono aumentati i prezzi, consegnando però alla ”concorrenza” privata una parte dei propri assistiti, spingendo di fatto i non esenti fuori dal Servizio sanitario nazionale; peraltro proprio per quelle prestazioni maggiormente convenienti per il privato (un esempio – settore diagnostica radiologica tradizionale: una radiografia tradizionale nel pubblico per un cittadino in seconda fascia – reddito familiare fiscale o ISEE tra €36.151,99 e € 70.000 –  costa circa 46 euro risultato della somma di: €26,00 tariffa nomenclatore tariffario + € 10 ticket aggiuntivo per fascia di reddito + € 10 contributo di digitalizzazione[*]; la medesima radiografia nei laboratori privati  in regime privato, costa in media 26 euro).

Il rapporto OASI 2012[5] ci ricorda che anche i ticket sui farmaci sono  aumentati del 40 per cento, più di un cittadino su due paga di tasca propria visite ed esami per evitare le file della sanità pubblica e perché, tra ticket e superticket, spesso il privato costa meno.

La conseguenza è stata quella di una drastica riduzione di visite specialistiche, esami di laboratorio e accertamenti radiologici effettuate all’interno del Servizio sanitario regionale, per l’anno 2012, stimata in 5 milioni di prestazioni in meno. Se, infatti, fino al 2011 in media le prestazioni ambulatoriali in Regione Toscana aumentavano intorno al 5% annuo, nel 2012 si è registrata una riduzione media dell’8% (nella diagnostica per immagini, ad esempio, si arriva al 10%)[6].

La “fuga” dal servizio pubblico in Toscana è destinata ad allargarsi a seguito dell’intenzione della ASL di Firenze (circa 1/3 degli assistiti regionali) di indirizzare – tramite CUP aziendale – pazienti non-esenti con ricetta rossa verso strutture private che adottino tariffe calmierate concordate con la ASL [7]. La motivazione formale è quella di creare un canale  che contribuisca a ridurre le liste di attesa della diagnostica per immagini. Il risultato finale è pertanto  la creazione due canali di accesso paralleli: il cittadino esente viene prenotato, accettato e “trattato” in ASL, il cittadino “non esente” viene prenotato da CUP  aziendale ma inviato ad accettazione e “trattamento” presso strutture sanitarie in regime “privato-privato”. Firenze sarà la sede sperimentale di un modello che potrà  diventare regionale, come auspica l’Associazione Italiana Ospedalità Privata (Aiop)?

L’idea di un doppio binario per le attività diagnostiche e specialistiche era  già stata evocata nei mesi scorsi dallo stesso Presidente Enrico Rossi in interviste alla stampa: “In questo senso non è escluso che si arrivi a chiedere un contributo responsabile a chi può pagare, in rapporto al reddito. E che si possa pensare che certe categorie di lavoratori possano fare un’assicurazione privata finalizzata a garantirsi specialistica e diagnostica. Servizi che ormai si trovano nel privato allo stesso prezzo del pubblico con i suoi ticket… “,  e ancora, “… vanno create assicurazioni mutualistiche per diagnostica e specialistica, ormai la rete del privato sociale offre prestazioni a prezzi concorrenziali con il servizio sanitario nazionale per chi non è esentato dal ticket. Mentre ospedali e medicina del territorio devono rimanere pubblici, questo è un principio irrinunciabile[8].

Va detto che le indicazioni del Presidente Rossi non hanno trovato finora riscontro negli atti della programmazione sanitaria regionale, e neppure nelle dichiarazioni dell’assessore alla sanità Luigi Marroni.  Tuttavia, il crescente interesse e attivismo del settore privato for-profit e non-profit (Misericordie e Pubbliche Assistenze) nel campo delle attività specialistiche e diagnostiche potrebbe preludere a qualche ricaduta rilevante nelle politiche sanitarie regionali.

Se ciò avvenisse, se si creasse cioè un libero mercato nell’assicurazione e nella produzione di prestazioni specialistiche e diagnostiche, sostitutivo/alternativo al servizio pubblico, ci troveremmo di fronte a un radicale ridisegno del nostro servizio sanitario regionale, con l’affossamento dell’universalismo. Già oggi il settore della diagnostica e della specialistica è quello più esposto ai rischi degli sprechi e dell’inappropriatezza. Con l’ingresso delle assicurazioni/mutue private – con l’inevitabile aumento del “moral hazard” e  la conseguente perdita di controllo della domanda da parte dei medici di famiglia  – questi rischi sarebbero destinati a dilatarsi a dismisura come insegna l’esperienza americana e il conto (salato) alla fine lo pagherebbero i cittadini e, indirettamente, anche il Servizio sanitario regionale.

Data l’altissima posta in gioco, per rispetto dei cittadini e degli operatori del Servizio Sanitario regionale di tutto ciò si dovrebbe discutere apertamente e pubblicamente.  Non è ammessa la  politica del “fatto compiuto”.

Lorenzo Roti, Responsabile Unità Funzionale Programmazione sanitaria e clinical governance, Azienda Usl 4 Prato.

Nota

* Da settembre 2012 è stato introdotto  un contributo di 10 euro per la digitalizzazione delle procedure diagnostiche per immagini (produzione, archiviazione, trasmissione dell’immagine), fino a un massimo di 30 euro per anno solare.

Bibliografia

  1. Dirindin N. La tutela della salute. lavoce.info 13.11.12
  2. Cressati S. Ticket in base al reddito, Rossi: “Una rivoluzione culturale per una maggiore giustizia”. Toscana.notizie.it, 22.08.2011
  3. Manovra bis: Rossi, finanziaria Toscana sarà per equità e sviluppo. Toscana.oggi.it 06.09.2011
  4. Regione Toscana. Ticket aggiuntivo per le prestazioni di specialistica ambulatoriale
  5. Rapporto OASI 2012. L’aziendalizzazione della Sanità in Italia
  6. Bocci M. Esami e visite, fuga dal pubblico 5 milioni di prestazioni in meno. La Repubblica, 04.01.2013
  7. Cervone G. Asl-privati, l’accordo anti attese. Corrierefiorentino.corriere.it, 13.03.2013
  8. Maciocco G. SSN. Allarme rosso. Saluteinternazionale.info, 28.11.2012

 

 

 

13 commenti

  1. Intervento assolutamente pertinente e condisibile. Per chi ha(anche poca) dimestichezza con i numeri l’effetto del superticket sull’orientare la domanda verso un’offerta privata è fin troppo evidente.

    Il ticket correlato al reddito è’ una manovra insidiosa: sembra introdotto per una maggiore equità ma genera effetti perversi sia nel medio che nel lungo periodo. Ed è anche una delle vie per spazzare via l’universalismo.

    Complimenti all’autore.

  2. porre il ticket è una mascalzonata bella e buona. paghi due e prendi meno di uno (ricevi danno). attribuire ai cittadini la richiesta di interventi diagnostico-terapeutici inutili o inappropriati (sempre anche dannosi, con effetti iatrogeni) quando anche l’eventuale richiesta spontanea (assolutamente minoritaria) deriva da un orientamento sostenuto da informazioni mediatiche esplicitamente o implicitamente veicolate da “professionisti” che si fanno beffe delle prove scientifiche, è espressione di biasimo delle vittime. ci vuole molta disonestà intellettuale e disonestà generale per non riconoscere le colpe dei “professionisti” che si propongono come taumaturghi, pertanto irresponsabili. e si mangia sul corpo delle vittime. si mangia sul corpo delle donne con la medicalizzazione della nascita, oscenità assoluta. si mangia con l’inappropriatezza direttamente o indirettamente con i conflitti di interesse. e i politici colludono con i tecnici che si propongono come grandi elettori e procuratori di clientele in cambio di carriere e possibilità di mangiare a quattro ganasce. l’inappropriatezza si mangia più del 30% delle risorse e scava la fossa al servizio sanitario nazionale oltre che alla professionalità.

  3. Dell’intervento di Lorenzo Roti commento la frase finale, che mi sembra fondamentale in merito a quanto non rischia, ma è ormai prassi consolidata, nella nostra regione e in particolare nel suo capoluogo.
    Il rispetto dei cittadini e degli operatori del Servizio Sanitario regionale, è ormai venuto meno e non solo in questa occasione.
    La politica del fatto compiuto è prassi quotidiana; si spostano servizi, si abbandonano strategie (su cui si era investito) a seconda dei cambi direzionali e tutto ciò in assenza di un quadro di riferimento discusso e valutato.
    Non si interrogano gli stakeolders, ma neanche le forze politiche e le altre istituzioni, a fronte di scelte (ad esempio l’allocazione di servizi) che hanno anche valenza urbanistica. La sanità è un ambito tipico su cui sviluppare programmazione e confronto, al fine di attivare processi di democrazia deliberativa. Il coinvolgimento degli operatori (la clinical governace è anche questo!) nelle scelte, anche di carattere finanziario – fiscale, come i ticket, per le loro ricadute in termini di organizzazione, consumi, appropriatezza, non è più in atto.
    Si tratta, in sostanza, di uno dei sintomi di separatezza (forse è più corretto dire solco, baratro) fra la politica e la… “gente”.

  4. A. Ridurre le ASL a 4 .
    B. Ridurre le Estav ad una sola regionale
    C. Chiudere tutti i piccoli ospedali residui e convertirli in strutture sanitarie diurne
    D. Mettere gli ospedali per acuti e per intensita’ delle cure in rete
    E. Introdurre nelle professioni sanitarie merito e competizione
    F. Introdurre la value base medicine ( valore = outcome / costi) , il triple aim project
    G. Introdurre le unita’ di cure primarie con il team multiprofessionale
    H. Depoliticizzare e desindacalizzare la Sanita’
    I. Introdurre il privato profit e no profit nella rete, governato , controllato e verificato

    1. I punti G e H, senza togliere dignità agli altri, credo siano centrali e vadano affrontati con argomentazioni che vanno oltre l’economizzazione e l’appropriatezza

  5. Articolo molto interessante.
    Aggiungo una considerazione relativa solo al cosiddetto “contributo sulla digitalizzazione”. Tale aspetto viene gabellato, visto il termine “contributo”, come legato ad un aumento di spesa proprio della nuova tecnologia di: produzione, trasmissione, conservazione e consegna del referto. Ciò è chiaramente FALSO perché la digitalizzazione è stata introdotta proprio perché CHIARAMENTE molto più economica del sistema precedente, basta pensare al costo delle pellicole radiografiche ed al loro fabbisogno numerico in funzione della tipologia di indagine. In realtà c’era l’esigenza di recuperare la grossa (enorme?) somma SPARITA nei meandri della ASL di Massa e forse anche di Siena per motivi ancora ignoti.
    Su tutte le restanti considerazioni mi sento in profonda sintonia.

  6. Complimenti a Lorenzo Roti per la lucida analisi della situazione reale, creata a arte dai nostri amministratori ottusi della Regione Toscana. Il nocciolo della questione, a mio modesto parere, sta nella doppia imposizione, pubblica e privata, che i cittadini a reddito “maggiore” (si fa per dire, vista l’imposizione fiscale che riduce il reddito lordo di oltre il 60%)subiscono: da una parte con la fiscalità generale e soprattutto con tasse assurde come l’IRAP contribuiscono al finanziamento del SSN e del SSR, dall’altra, se devono fruire di prestazioni diagnostiche e/o farmaceutiche, ecco che a loro conviene pagare di tasca propria, in quanto il ticket sarebbe superiore all’importo della prestazione o del farmaco. Credo che prima o poi qualcuno si sveglierà e vorrà indietro quanto versato alle casse dello stato o regionali per poi non ottenere le prestazioni promesse dalla 833 e dalle leggi successive. Addio universalismo e equalitarismo! Quindi due sistemi sanitari: uno pubblico per indigenti, sottofinanziato e probabilmente (speriamo di no) di bassa qualità, e uno privato, non finanziato ma di maggior qualità! Quindi Medicare e Medicaid assieme alla sanità privata, proprio come negli U.S.A.!! Mala tempora currunt … ma soprattutto ringraziamo i sublimi “pensatori” (si fa per dire …) di tutto questo malaffare.

  7. Condivido i contenuti dell’intervento di Lorenzo introducendo altre due criticità 1) la qualità delle prestazioni erogate, si accreditano strutture ma chi controlla la qualità delle prestazioni erogate dai singoli professionisti ? 2) la continuità assistenziale,per esempio un cittadino che fa una colonscopia in una struttura privata che risulta positiva per una patologia di competenza chirurgica una volta indirizzato all’ospedale per l’intervento deve ripetere lo stesso esame

  8. Apprezzo soprattutto il coraggio di palesare verità che sono sotto gli occhi di tutti,
    La conclusione di questo percorso è un sistema a più pilastri , CHE TUTTI prevediamo DA TEMPO , nel quale tuttavia si utilizzerà l’universalismo per coprire il razionamento implicito invece di applicare politiche ragionevoli di razionamento delle risorse e di prioritarizzazione con forte coinvolgimento degli operatori nella valutazione degli outcomes di ogni intervento di cura E NEL PAYMENT FOR PERFORMANCE .
    Come al solito non ci arriveremo per ragionamento politico ma per DEF e decretazione d’urgenza

  9. Condivido l’intervento di Lorenzo Roti, che mi dà lo spunto per sottolineare come sul tema delle prestazioni diagnostiche/visite specialistiche si stia perdendo un’occasione storica. “Grazie” alla crisi sarebbe tempo di provare a governare il fenomeno allargando lo sguardo a tutta la filiera, dunque a chi/come/perché genera una domanda di prestazioni diagnostiche e a cosa accade dopo l’erogazione delle stesse. Sarebbe l’ora di spostarci dalla “prestazione”, dal “prodotto”, al processo, alle ragioni che lo mettono in moto ed agli esiti che produce. Finché l’atteggiamento con cui ci accostiamo è quello meramente contabile, che riduce a consumo di merce un fenomeno che sappiamo essere ben altro, non potremo che registrare ciò che Roti descrive. Ci vuole ben altro, per migliorare lo stato di salute dei cittadini ed anche per “risparmiare”, che spostare certe voci di spesa da un portafoglio all’altro, senza incidere radicalmente su tutto ciò che non deve essere fatto, o che deve essere fatto in una precisa fase del processo diagnostico-clinico, e che va comunque fatto in nodo tale da generare esiti favorevoli per il caso specifico e dunque per tutto il sistema. Altrimenti rischiamo la vittoria di Pirro sotto almeno due prospettive. La prima, è che ancora non mi sembra sia stato dimostrato che quei milioni di prestazioni in meno segnalate da Roti fossero tutte non necessarie o inappropriate – e allora, quali esiti in termini di salute? La seconda, che quella voce di spesa che facciamo uscire dalla finestra spostando il pagamento di una prestazione diagnostica sulle tasche dei cittadini – senza altra forma di governo del processo decisionale clinico – può rientrare dalla porta, magari maggiorata, a causa di ulteriori bisogni indotti proprio da quella prestazione! I tempi per un Choosing Wisely anche da noi mi sembrano ancora lontani.

  10. Assolutamente d’accordo con quanto scrive Lorenzo Roti e sui successivi commenti.
    Riconfermo che escludere dal SSN le prestazioni per le quali esiste una concorrenza da parte del privato low cost in presenza di ticket sempre più alti invece di scoraggiare l’esecuzione di quanto non risulta appropriato finisce per minare alla base i principi di un Servizio Sanitario come il nostro.
    Bisogna però non perdere di vista che l’esecuzione di test diagnostici non appropriati comporta spesso la spinta ad eseguire altri test, a ricoveri ospedalieri, all’uso di farmaci che ricadono sul servizio pubblico. E così, come spesso succede, un momentaneo “risparmio” si risolve in maggiori spese senza una ricaduta di miglioramento dello stato di salute.
    Esempio classici sono l’uso della ecografia mammaria come test di screening per il tumore mammario o l’uso della TAC spirale per la diagnosi precoce della neoplasia polmonare.

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