Comorbosità fisica e mentale: un bisogno complesso e sottovalutato
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- 23 Maggio 2013
Spesso i medici si concentrano su sintomi e segni d’organo sottostimando l’importanza di disturbi psichici o psichiatrici. Sull’altro versante gli psichiatri sono scarsamente inclini a rilevare patologie fisiche in pazienti seguiti per una malattia mentale. Le malattie fisiche e mentali si influenzano reciprocamente in una rete complessa di interazioni e condividono fattori di rischio comuni con effetti non solo additivi ma anche sinergici.
Nell’ormai consueta modalità di rappresentare con la figura di una piramide la successione degli strati cui, dalla base fino all’apice, corrispondono livelli progressivamente crescenti di malattia o disabilità, la coesistenza di malattie fisiche, per lo più croniche, con la patologia mentale rappresenta senza dubbio una condizione a localizzazione apicale, ad alto impatto sul sistema sanitario e, soprattutto, sulla qualità di vita dei pazienti (Figura 1).
Figura 1

Se è vero che la multimorbosità rappresenta in generale un’eventualità complessa per i suoi numerosi risvolti clinici e socio-ambientali, ciò è particolarmente vero quando una delle patologie rischia di essere sottovalutata, come di frequente capita nel caso della malattia mentale associata a una o più patologie fisiche. Spesso infatti i medici, anche specialisti, si concentrano su sintomi e segni d’organo sottostimando l’importanza di disturbi psichici o psichiatrici, soprattutto quando, come nel caso della depressione o dell’ansia, essi accompagnano una malattia grave, ad es. il cancro. Ciò in gran parte nella convinzione che essi, considerati come semplici corollari della malattia principale, siano destinati a scomparire con il miglioramento della malattia di base. Sull’altro versante gli psichiatri sono scarsamente inclini a rilevare patologie fisiche in pazienti seguiti per una malattia mentale, arrivando talvolta ad interpretare in chiave psicosomatica l’emergere di sintomi e segni che sono invece spia di una patologia fisica. Inoltre, a causa dello stigma legato all’appartenenza alla categoria dei pazienti psichiatrici, gli stessi pazienti omettono di sottolineare con la giusta enfasi il proprio malessere psichico ai propri medici di famiglia o specialisti i quali, a loro volta, non vogliono sentirsi responsabili di indurre nei pazienti stessi la sensazione di appartenere alla suddetta categoria.
Da tutto ciò emerge un pesante fardello di morbosità, caratterizzato da aspetti mutuamente connessi gli uni agli altri e da rapporti causa-effetto spesso inafferrabili, che, nell’attuale scenario di contrazione di tempi e risorse, è fortemente esposto al rischio di insufficienti standard di qualità assistenziale.
Ma quanto è frequente la comorbosità fisica e mentale e come si connota dal punto di vista epidemiologico? I dati dell’Australian Institute of Health and Welfare, agenzia governativa che pubblica periodicamente statistiche sul monitoraggio dello stato di salute e del benessere della popolazione australiana, indicano (Figura 2) come circa il 12% delle persone in età adulta affette da una patologia cronica presenti contemporaneamente un disturbo della sfera mentale[1]. Altre informazioni derivano da alcune survey statunitensi che mostrano un valore di tale associazione pari a circa il doppio (25%), scarto questo in parte spiegabile con l’alta prevalenza di fattori di rischio e malattie croniche presenti negli USA[2].
Figura 2

Fonte: National Survey of Mental Health and Wellbeing, 2007, Australia
A sostegno della più attenta considerazione che la comorbosità fisica e mentale meriterebbe una mole consistente di letteratura ne sottolinea la rilevanza epidemiologica, la frequenza degli esiti sfavorevoli di salute e il relativo consistente consumo di risorse ad essa collegato[3]. In particolare, i pazienti affetti da malattie mentali sono più a rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie ed alcuni tipi di tumore rispetto alla popolazione generale. D’altro canto lo stato di salute di coloro che soffrono di una malattia fisica è ulteriormente deteriorato dalla compresenza di una patologia mentale, e disturbi come depressione o sindrome ansiosa sono particolarmente frequenti in persone con diabete e cancro [4,5]. Inoltre questo quadro peggiora ulteriormente nei gruppi di popolazione socio-economicamente svantaggiati con impatto negativo in termini di gravità dei quadri clinici, di incidenza di disabilità e di aumento della mortalità[6]. Gli elevati costi dipendono non solo dall’uso intensivo di visite e prestazioni, ma anche dalla perdita di produttività legata all’assenza dal lavoro per malattia, con particolare riferimento ai disturbi depressivi che contribuiscono più di ogni altra condizione al computo delle giornate di lavoro perse. Infine, l’aspetto forse più incisivo fra tutti è l’impatto negativo sulla qualità di vita di queste persone, che il documento australiano, prima citato, ha ben evidenziato attraverso l’uso di specifiche scale capaci di misurare il distress psicologico e il grado di difficoltà nello svolgimento delle abituali attività, anche lavorative.
Come già accennato prima, le malattie fisiche e mentali si influenzano reciprocamente in una rete complessa di interazioni, molte delle quali, peraltro, ancora sconosciute, e condividono fattori di rischio comuni con effetti non solo additivi ma anche sinergici (Figura 3). Ad es. i pazienti con disturbi mentali sono più inclini all’abitudine al fumo al consumo di alcool e in generale a stili di vita scorretti, senza contare gli effetti collaterali attribuibili alle prolungate terapie con farmaci psicotropi. Le sindromi dolorose croniche (tipo emicrania o mal di schiena) possono causare depressione e, parallelamente la depressione maggiore sembra essere un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari. Tuttavia permane ancora una certa difficoltà a trarre solide conclusioni sulla reale entità del fenomeno della comorbosità medico-psichiatrica a causa delle notevoli differenze fra le stime riportate in letteratura.
Figura 3

Fonte: modificato da Katon WJ, 2003 [7]
Preso atto che la comorbosità fisica e mentale rappresenta in ogni caso un prodotto dell’evoluzione degli attuali scenari di salute pubblica, quali strategie possono essere efficacemente adottate per far fronte a tale bisogno complesso?
In maniera molto schematica si possono distinguere interventi su 3 livelli che, utilizzando un’espressione sintetica, possiamo denominare le 3 P: Policy, Practice, Patient.
Innanzitutto, per quel che concerne le strategie di politica sanitaria (Policy), vanno rivolti ai decisori un paio di messaggi: 1) è urgente che gli intenti delle politiche comincino a concentrarsi sui sottogruppi di popolazione a più alto rischio, portatori di bisogni multipli e complessi e, come tali, maggiormente esposti a livelli di cura inadeguati, oltre che consumatori della quota più consistente di spesa sanitaria; 2) occorre che si faccia strada anche nel nostro panorama nazionale il concetto del “no health without mental health” (non c’è salute senza salute mentale), oggetto di una particolare enfasi da parte del Department of Health inglese come parte integrante di una globale strategia di governance a tutela del benessere della comunità[8]. A livello dell’organizzazione dei servizi (Practice) il pilastro portante è quello delle cure primarie, il cui ruolo in quest’ambito specifico è stato sottolineato con decisione dall’OMS già più di 10 anni fa[9]: promuovere l’integrazione fra competenze specialistiche (nella fattispecie psichiatriche) e servizi sanitari di base nel rispetto dei valori del paziente. I medici di medicina generale possono, infatti, contribuire enormemente alla gestione efficace di questi pazienti, ponendo attenzione ai problemi di salute mentale nelle persone affette da patologie croniche, specialmente se invalidanti. Il NICE (National Institute of Clinical Excellence) inglese raccomanda l’uso di modelli di cura fortemente “collaborativi” che utilizzano l’approccio proattivo e una sistematica comunicazione interprofessionale e interdisciplinare, sistemi questi che si sono dimostrati efficaci nel mitigare i sintomi di depressione in persone con problemi cronico-degenerativi complessi[10]. Gli stessi pazienti (Patient), per quanto portatori di una condizione di fragilità, possono partecipare attivamente alla gestione della propria condizione: a tale proposito risultati incoraggianti derivano dall’applicazione, nei processi di cura, delle tecniche di coping, insieme di strumenti utilizzati nel processo di adattamento a situazioni stressanti in grado di agire positivamente sulle modalità con cui una persona affronta la sua malattia[11]. L’impiego di questi strumenti in ambito clinico ha permesso di rilevare come essi influenzino significativamente il benessere psicofisico. In particolare è stato evidenziato che l’essere attivi, il pensare positivo e l’esprimere le proprie emozioni siano correlati a livelli di funzionalità significativamente più alti, con punteggi migliori negli indici di malattia e con maggiori livelli di adattamento psicologico alla condizione di base.
Un punto cruciale è poi quello della ricerca di evidenze di efficacia degli interventi messi in campo principalmente nella primary care per migliorare l’impatto sulla salute fisica e psico-sociale nelle persone affette da comorbosità. Si tratta di un settore in larga parte inesplorato in letteratura, anche a causa della difficoltà nel rispetto dei limiti rigorosi dell’evidence based medicine nella produzione di evidenze. Una revisione sistematica sull’argomento, da poco pubblicata su BMJ[13], ha rilevato, all’interno di più di 20.000 titoli di studi potenzialmente eleggibili, solo 10 trial randomizzati controllati (RCT), quasi tutti molto recenti; ciò denota come la ricerca nel campo della multimorbosità sia un’area di interesse concettualmente molto giovane che necessita di ulteriori sviluppi.
Infine un aspetto che, pur avendo a che fare con la frequenza del fenomeno, non può essere ricondotto alla mera prospettiva epidemiologica per le implicazioni strategiche che esso implica, è la dimensione mondiale del problema. Un’ampia survey inglese che ha raccolto dati provenienti da ben 17 paesi[13] riporta fra i risultati più significativi il riscontro di prevalenze di comorbosità fisica e mentale in gran parte sovrapponibili fra paesi occidentali e paesi in via di sviluppo, ponendo ancora una volta l’accento sul fatto che le problematiche di salute si configurano ormai in una dimensione globale sotto tutti i punti di vista.
Carla Perria, Medico, Laziosanità-Agenzia di Sanità Pubblica, Roma
- Australian Government. Comorbidity of mental disorders and physical conditions, 2007. Australian Institute of Health and Welfare, 2011.
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- Vogell C et al. Multiple chronic conditions: prevalence, health consequences and implications for quality care management and costs. J Gen Intern Med 2007; 22(Suppl 3): 391-395.
- Katon W et al. Depression and diabetes. Chichester: UK. Wiley-Blackwell, 2010.
- Kissane DW et al. Depression and cancer. Chichester: UK. Wiley-Blackwell, 2011.
- De Hert M et al. Physical illness in patients with severe medical disorders. I. Prevalence, impact of medications and disparities in health care. World Psychiatry 2011; 10: 52-77.
- Katon WJ. Clinical and health services relationships between major depression, depressive symptoms and general medical illness. Biological Psychiatry 2003; 53(3).
- Department of Health. No health without mental health: a cross-government mental health outcomes strategy for people of all ages. Department of Health 2011.
- World Health Organization. The World Health Report, WHO 2001.
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- Barton C et al. Coping as a mediator of psychosocial impediments to optimal management and control of asthma. Respir Med 2003; 97 (7): 747-761.
- Smith SM et al. Managing patients with multimorbidity: a systematic review of interventions in primary care and community settings. BMJ 2012; 345:e5205 doi: 10.1136/bmj.e5205.
- Von Korff MR et al (eds). Global perspectives on mental-physical comorbidity in the WHO mental health surveys. Cambridge, United Kingdom, Cambridge University Press 2009.