La salute delle donne conta

genderFulvia Signani

Il “paradosso donna”. Le anziane del terzo millennio vivono sì più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, sono costrette ad usare di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute.


La salute delle donne conta” era il titolo della Conferenza  sulla salute delle donne in Europa Centrale ed Orientale, che l’OMS tenne a Vienna nel 1994. La Conferenza produsse la famosa Dichiarazione di Vienna e decretò l’avvio dell’iniziativa “Investire nella Salute delle Donne”, ma risulta importante anche per altri significativi aspetti. Punti fondanti del programma erano: l’uguale riconoscimento dei diritti umani a uomini e donne, oltre che pari investimenti sulla salute; l’empowerment delle donne; la promozione di servizi adatti alle donne e l’attenzione alle relazioni fra uomini e donne, nonché la prospettiva ‘life course’ , la salute legata alle varie fasi della vita, tema che merita un approfondimento.

Anche se era noto da tempo che le esperienze dei primi anni di vita condizionano la vita adulta, l’attenzione alla prospettiva life course applicata alla salute si affermò in modo significativo solo intorno agli anni Ottanta del secolo scorso grazie agli studi epidemiologici (WHO, 2000; 2002). Infatti, in base ai dati emersi da studi longitudinali e di coorti storiche, per esempio il Bogalusa Heart Study (Bao et al, 1994), che comprendevano anche le prime età della vita, veniva confermato il fatto che una buona parte delle patologie dell’età adulta ha origine nell’infanzia e adolescenza, per esempio la sotto-nutrizione durante la vita intrauterina e i primi anni dopo la nascita, aumentano notevolmente, più avanti nell’età, il rischio di patologie, come dimostrò il  Caerphilly Study (Frankel et al., 1996)  o che il cancro al polmone e il rischio coronarico risultano l’effetto accumulo del comportamento tabagistico (Figura 1).

Figura 1. L’approccio life course alla prevenzione delle patologie non infettive

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Si trattava di un sostanziale cambiamento di prospettiva rispetto al modello utilizzato fino a quel momento, che aveva interpretato le patologie dell’adulto come derivanti solamente dallo ‘stile di vita da adulto’, modo di pensare molto diffuso. A causa di questa errata interpretazione,  le politiche di salute si sono concentrate per decenni solo sui fattori di rischio dell’età adulta. In base alle nuove evidenze, invece, si è andata affermando la necessità di cercare le origini delle patologie nelle prime età della vita, identificando anche scientificamente, ciò che si sperimenta empiricamente: nella vita esistono periodi critici di maggiore vulnerabilità, durante i quali essere esposti a rischi risulta determinante per la salute.

Il nuovo modello della prospettiva life course e salute si focalizza sulle patologie croniche, che sappiamo le più onerose per diversi aspetti, sia per l’individuo sia per l’economia sanitaria. Considera i rischi fisici, sociali e i conseguenti processi biologici, comportamentali e psicosociali, che interagiscono in ogni fase della vita e che intervengono a modificare o determinare i rischi di malattia.  I ‘quattro modelli della prospettiva life course’ (WHO, 2000:5) rappresentano gli altrettanti approcci concettuali che hanno progressivamente costruito il modello e  possono essere così semplificati: 1. il modello del periodo critico; 2. il modello del periodo critico con effetti modificati nel tempo, per esempio studi hanno dimostrato che la relazione tra patologie coronariche, pressione arteriosa alta ed insulino-resistenza con basso peso alla nascita, sono particolarmente compromettenti per chi è sovrappeso in età adulta; 3. l’accumulazione di rischio con conseguenze indipendenti e scollegate, che comunque ha portato i ricercatori a valutare gli effetti dell’accumulazione graduale;  4.  l’accumulazione di rischio con conseguenze dipendenti e l’interpretazione di catene di rischi, che ha consentito di individuare veri e propri cluster di pattern sociali . Per esempio l’ infanzia vissuta in avverse situazioni sociali viene a configurarsi come più incisiva del solo basso peso alla nascita e si è ormai acquisito come invece vadano valutati ‘a catena’ gli effetti di essere esposti ad un regime di denutrizione, ad infezioni contratte nell’infanzia ed il fumo passivo (WHO, 2000). Nel valutare gli effetti di accumulazione delle esposizioni, si è trovata inoltre conferma al fatto che le conseguenze sulla salute non si riscontrano solo sulla vita del singolo individuo, ma hanno ripercussioni anche sulle sue generazioni future, in particolare per ciò che riguarda le patologie cardiovascolari (Sterne et al., 2001; Davey Smith et al., 2000).

Il primo Congresso di esperti di life course che si tenne in Giappone nel 2001, definì le patologie croniche come patologie sia sociali che fisiche, determinate dai conseguenti processi biologici comportamentali e psicosociali che operano lungo tutte le fasi della vita e causano o modificano rischi di malattia. È diventato ben evidente che il fenomeno ha effetti diversi su uomini e donne.
Non si può  quindi ignorare quel fattore genere che, andando oltre il ‘sesso’  biologico, rappresenta quanto l’essere donna o uomo abbia conseguenze diverse su : identità, ruolo, compiti e responsabilità sociali, collegati a tradizioni e cultura, con un impatto su benessere e salute diverso per maschio e femmina.
Nel  1998  nel Programma OMS/WHO Health for All in the 21th  Century alla sezione ‘Health Equity’ interna all’elenco dei Global Health Targets, viene riconosciuta per la prima volta l’importanza di  tener conto del genere quando si lavora sulla salute. Da questo è derivata la consapevolezza che una medicina attenta al genere comporta un cambiamento culturale di approccio e prospettiva che, per raggiungere risultati tangibili, necessita anni di preparazione e applicazione(a).
Collegato a questa considerazione, troviamo il cosiddetto paradosso donna: forse proprio anche a causa della scarsa considerazione delle differenze biologiche e sociali tra uomo e donna, le anziane del terzo millennio vivono sì più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, sono costrette ad usare di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute.

L’approccio life course usato in buona parte anche nella ricerca delle diseguaglianze sociali di salute, per analizzare come esperienze ed esposizioni si accumulino nei diversi stadi di vita e creino le diseguaglianze sociali sia in morbosità che mortalità, nell’età di mezzo ed anziana, sta mettendo progressivamente in evidenza anche le diseguaglianze di genere, che creano quel fenomeno identificato come gender bias(b).

Il tema  life course e salute è stato ripreso in anni più recenti dall’OMS/WHO che nel 2005 ha intitolato “Preventing chronic diseases: a vital investment” il Rapporto Annuale di Salute Globale dove viene messo in evidenza che circa l’ottanta per cento delle patologie croniche potrebbe essere prevenuto eliminando alcuni fattori di rischio. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) con  “Health at a glance 2009”  si è soffermata sul tema delle patologie croniche, mentre, nello stesso anno 2009, usciva in Italia il Libro Bianco sul futuro del modello sociale: “La vita buona nella società attiva”, che ha contribuito a mettere in luce come i pazienti cronici rappresentino il 25 per cento della popolazione e assorbano il 75 per cento della spesa.

Il ‘Documento conclusivo approvato dalla commissione sull’indagine conoscitiva sulle malattie ad andamento degenerativo di particolare rilevanza sociale’ approvato dal Senato italiano nel 2012 è stata la tappa finale di un’indagine anche statistica che ha visto il coinvolgimento dell’Istituto Superiore della Sanità. Il Libro bianco della Commissione Europea “Un impegno comune per la salute: Approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013” sottolinea la necessità di promuovere la salute durante l’intera vita di una persona.

Margaret Chan Direttrice Generale dell’OMS/WHO, nel discorso di lancio della Giornata mondiale della Salute 2012 ha affermato che un approccio life course aiuta a scoprire lungo l’arco dell’esistenza molti punti critici, utili da identificare, sia collegamenti tra le varie tappe della vita, che i necessari interventi preventivi. La prospettiva life course, infatti trova nella politica di sanità pubblica lo strumento più adatto alla prevenzione delle malattie, in particolare nell’infanzia e nell’adolescenza, con specifica attenzione ai Paesi emergenti. Più si studia ed approfondisce l’origine delle malattie, più si trovano elementi che connettono lo stato di salute a fattori come l’urbanizzazione, l’occidentalizzazione (molto legata al consumismo), le situazioni culturali, economiche, sociali nelle quali emergono i rischi, e ci si sorprende nel constatare come queste situazioni non solo risultino specifiche per ogni Paese, ma anche strettamente correlate al diverso stadio di sviluppo economico del Paese stesso.

Vale la pena aggiungere all’interesse sia concettuale che metodologico dell’approccio life course, recenti considerazioni sulla de-standardizzazione dei percorsi di vita, proposte in particolare da Widmer e Richard che individuano negli anni Sessanta del secolo scorso il periodo in cui le traiettorie di vita e lavoro delle persone, fino a quel momento caratterizzate da una certa omogeneità e standardizzazione, sono andate de-standardizzandosi, con una grande complessità e diversità dei percorsi sia occupazionali, che famigliari.  Questi processi rendono difficile l’individuazione di metodologie adatte allo studio della prospettiva life course. Esistono infatti evidenze che dimostrano come, a fronte di una tendenza generale che tocca uniformemente individui e ogni situazione di vita, il fenomeno della de-strutturazione si stia connotando con proprie specificità in ogni Paese, ma anche con accrescimento del gender bias. In questo scenario frammentato e liquido, come lo definisce notoriamente Bauman, si stanno insediando nuovi tipi di diseguaglianze di genere, mentre sia le istituzioni che le norme sociali del post- modernismo reagiscono continuando a definire la famiglia come l’area di maggiore responsabilità della donna, mentre il lavoro è dell’uomo.

Stein e Moritz (1999) da ultimo, propongono alcuni provvedimenti tuttora in buona parte inattuati per ridurre il gender gap anche nella prospettiva life course: promuovere la ricerca sui fattori di rischio e le cause di malattia per capire meglio in che cosa consistono le differenze di genere e  prevedere banche dati che incrocino le informazioni sia sulle cause di morte che di malattia; promuovere politiche a favore della salute delle donne, per esempio agire sull’incremento della scolarizzazione delle donne, promuovere I percorsi di carriera delle donne e ridurre la differenza stipendiale tra maschi e femmine a pari qualifica; promuovere l’accesso a cure adeguate per le donne, assicurando anche loro anche ambienti di lavoro e domestici sicuri.

Fulvia Signani, psicologa e sociologa della salute, Università di Ferrara. Dal suo libro  (2013) ‘La salute su misura. Medicina di genere non è medicina delle donne’ Este Edition, è tratto l’approfondimento qui proposto.

 

Note

a) È a queste risultanze che si ispira l’approccio della medicina di genere sulla quale ci potremo soffermare in un approfondimento mirato.

b) Il concetto di Gender bias  è stato introdotto per la prima volta nel Rapporto del 1994.“Women and Health Research”, dell’Istituto di Medicina degli Stati Uniti, in famoso IOM. In questo studio venivano descritte le potenziali distorsioni nel disegno e nella conduzione degli studi clinici, che non tenevano nella dovuta considerazione gli effetti specifici di sesso e/o di genere, nonché le evidenti ripercussioni di tale distorsione sulla gestione della salute nelle donne. Da quel momento ha assunto un significato più generale di ‘errori o pregiudizi’ dati dal fatto di non tener conto del genere.

Bibliografia

  1. Bao W, Srinivasan SR, Wattigney WA, Berenson GS. Persistence of Multiple Cardiovascular Risk Clustering Related to Syndrome X from Childhood to Young Adulthood: the Bogalusa Heart Study. Arch Intern Med 2004; 154: 1842–7.
  2. Davey Smith G, Harding S, Rosato M. Relation Between Infants’ Birth Weight and Mothers’ Mortality: Prospective Observational Study. BMJ 2000; 320: 839–40
  3. Frankel et al. Birth weight, Body Mass Index in middle age and incidence of coronary heart disease. The Lancet 1996; 348: 1478-80.
  4. Senato della Repubblica Italiana (2012). Documento conclusivo approvato dalla commissione sull’indagine conoscitiva sulle malattie ad andamento degenerativo di particolare rilevanza sociale, con specifico riguardo al tumore della mammella, alle malattie reumatiche croniche ed alla sindrome HIV [PDF: 1,2 Mb]
  5. Signani F. La salute su misura. Medicina di genere non è medicina delle donne. Ferrara: Este Edition, 2013
  6. Stein C, Moritz I. A life course perspective of maintaining independence in older age, WHO Ageing and Health. Geneva: WHO/HSC/AHE/99.2, 1999.
  7. Sterne JAC, Davey Smith G, Leon DA, Tynelius P, Rasmussen F. Fetal Growth is Associated with Parents’ Cardiovascular Mortality: Record Linkage Study. Pediatric Research Supplement 2001; Abstract FC9/4.
  8. WHO, 2002. Life course perspectives on coronary heart disease, stroke and diabetes. The evidence  and implications for policy and research [PDF: 906 Kb]. Geneva: WHO, 2002.
  9. WHO, 2000. A Life Course Approach to Health. The implications for training of embracing, WHO/NMH/HPS/00.2
  10. Widmer ED, Richard G. The de-standardization of the life course: Are men and women equal?. Advances in life Course Research 2009;14:28-39.
  11. Consiglio d’Europa 2012. Invecchiamento in buona salute per tutto il corso della vita. GUUE (2012/C 396/02)
  12. WHO, 2005. Preventing Chronic Diseases: a Vital Investment. WHO Global Report.  Geneva: WHO, 2005
  13. Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Libro Bianco sul futuro del modello sociale. La vita buona nella società attiva. Roma: s.i.p., 2009.

3 commenti

  1. “La prospettiva life course, infatti trova nella politica di sanità pubblica lo strumento più adatto alla prevenzione delle malattie, in particolare nell’infanzia e nell’adolescenza”.
    Ho estrapolato questa frase dal testo che mi sembra esprima in estrema sintesi il messaggio. La questione della salute delle donne viene considerata perché si ipotizza che i fattori di esposizione (bio-psico-sociale) agiscano differentemente in relazione al genere.
    Dal che troverebbe un fondamento la legittimità di un capitolo dell’agenda salute intitolato alla “tutela” della salute delle donne e all’età evolutiva. Il fatto che tale capitolo si trovi usualmente sotto il più grande capitolo intitolato ai soggetti deboli evidenzia un modello epistemologico di salute risalente alla definizione del 1948 come “non solo assenza di malattia ma completo benessere psico-fisico”. Ma anche a un modello epistemologico di sanità pubblica paternalistico direttivo che, in particolare per i soggetti deboli, si configura come tutela svolta da tutori sapienti e taumaturghi.
    C’è anche una evidente trascuratezza sulle responsabilità delle concrete politiche di sanità,non solo privata ma anche pubblica, come fattori di rischio che agiscono long life.
    Basterebbe citare l’ostacolo all’avvio corretto dell’allattamento al seno per promuovere quello industriale, ostacolo rappresentato dall’oscena medicalizzazione della nascita, lo svezzamento industriale imposto dai sapienti taumaturghi contro l’autosvezzamento, esautorando le competenze della madre e della persona nata, in entrambi i casi. Inoltre, sono ormai costantemente all’ordine del giorno gli interventi diagnostico-terapeutici, sopratutto in età avanzata, totalmente inutili e dannosi, che rappresentano uno spreco di risorse pubbliche e private ben oltre il 30% della spesa sanitaria totale. E anche differentemente per uomini e donne, speculando sulla specificità di genere.
    Se si cambia prospettiva, assumendo il modello dinamico di salute, che emerge dalla Carta di Ottawa del 1978, come capacità di controllo del proprio stato delle persone e delle comunità, vanno in secondo piano (pur rimanendo essenziali) i professionisti della salute ed emerge in tutta la sua importanza la necessità di far emergere, promuovere, valorizzare, sostenere e proteggere le competenze delle persone e delle comunità. Ma ciò implica lo smantellamento del modello paternalistico direttivo e l’assunzione di un modello di sanità pubblica basato sulla partecipazione e sull’empowerment.
    Promuovere la salute, quindi. E come? I cambiamenti possono proficuamente avvenire quando le persone e le comunità sono stimolate con l’arte socratica della maieutica a ripensare i vissuti e la memoria storica su cui fondano competenze e consapevolezze. Le competenze professionali divengono essenziali nel fornire le “evidenze” scientifiche con i loro margini di errore (se fossero verità senza errori non sarebbero scientifiche) utili per permettere rimettere in discussione le “certezze precedenti” e avviare il processo decisionale da parte della persona, unica titolata a dare peso alle diverse alternative in gioco.
    Ma chi è disposto al cambiamento? Non credo che ci siano dubbi sulla affermazione che le donne e l’età evolutiva siano i soggetti “forti” (altro che deboli!). Le donne, pilastri delle famiglie, in continua ricerca di soluzioni di “benessere” per i propri cari a cui prevalentemente provvedono nella vita quotidiana, sulla base delle informazioni che ricevono e che trovano. L’età evolutiva, coinvolta nel processo di formazione e sperimentante il cambiamento continuo.
    Le donne nel percorso nascita sono in assoluto le più disponibili al cambiamento parchè, affrontando un’avventura così straordinaria, vogliono assicurarsi di avere i migliori esiti. Per questo la speculazione sul desiderio di migliore qualità e sicurezza è particolarmente ignobile. Per esempio, le donne che fumano, e non smettono leggendo più volte al giorno i messaggi sul pacchetto di sigarette, però smettono di fumare quando entrano in gravidanza (dalle mie indagini il 70%, chi non smette di fumare riduce del 70% in numero di sigarette fumate) e non riprendono se allattano al seno e più allattano al seno più si astengono dalla ripresa e molte si astengono definitivamente. Pertanto, la promozione dell’allattamento al seno permette di prendere “con una fava una miriade di piccioni”. Cercano di migliorare l’alimentazione e quella più adeguata in gravidanza è anche la migliore in tutte le fasi della vita e per tutte e per tutti. Investire sulla promozione della competenza delle donne ha un valore aggiunto enorme, anche grazie al ruolo delle donne quali pilastri delle famiglie e con responsabilità di cura sopratutto nelle prime fasi dell’età evolutiva. Attivare il processo di acquisizione di competenze nell’età evolutiva, valorizzando l’esperienza di formazione che mette a disposizione strumenti straordinari, dovrebbe dar luogo a fenomeni molto interessanti dei “giovani” che insegnano agli adulti, se i prodotti delle loro ricerche ed elaborazioni, anche sotto forma di drammatizzazioni, vengono proposti adeguatamente nella comunità. La scuola, infatti, offre una prospettiva molto interessante, se si vuole, di connettere i vissuti e la memoria storica locale con la memoria storica globale prossima e remota.
    In conclusione, la sanità pubblica è sostenibile se si evitano gli sprechi per interventi inutili e/o inappropriati. Persone e comunità competenti resistono alle lusinghe delle magnifiche sorti e progressive degli sviluppi biotecnologici (ben vengano quando efficaci ed appropriati). Le donne e l’età evolutiva sono le sezioni di popolazione da cui partire per un investimento “life course”
    Michele Grandolfo

  2. il modello dei consultori italiani è estremamente moderno in tal senso, ma la cultura sanitaria è ancora molto lontana!

    1. è proprio così
      riporto una mia nota pubblicata su noidonne
      Il movimento delle donne negli anni settanta ha promosso una rivoluzione copernicana nella sanità pubblica. Affermando il principio dell’autodeterminazione, la persona è posta al centro del sistema con la sua irriducibile individualità nel contesto delle relazioni sociali e, quindi, con la sua autonomia nella relazione con le altre persone, Si apriva la prospettiva della liberazione dagli stereotipi maschili e femminili conseguenti i modelli paternalistici basati su relazioni di dominio tra i generi.
      Veniva rivendicato un nuovo approccio alla salute, anticipando di un decennio la Carta di Ottawa (1986), con attenzione ai determinanti sociali, riconosciuti come cause dietro le cause biologiche, nella prospettiva della promozione delle competenze e delle consapevolezze al fine di una migliore capacità di controllo sul proprio stato di salute. Con i consultori femministi autogestiti si concretava l’idea geniale di servizi innovativi, con competenze multidisciplinari, attenti alla promozione della salute e al punto di vista di genere. Le conseguenze legislative furono di tutto rilievo: la legge 405 del 1975 istituiva i consultori familiari, espressione dell’integrazione socio sanitaria, dediti, con approccio non direttivo o paternalistico, alla promozione della salute intesa come processo di “empowerment”. La legge 194/78 legalizzava l’aborto e riconosceva alla donna il diritto all’ultima parola. La legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, raccoglieva le istanze dei movimenti degli anni 70 che rivendicavano l’autonomia e l’autodeterminazione della persona contro il potere paternalistico dei tecnici, tanto da trasferire l’autorità sanitaria dall’Ufficiale Sanitario al Sindaco, quale rappresentante istituzionale più prossimo alla comunità. La legge di riforma riconosceva la promozione della salute come la chiave di volta della sanità pubblica. Che i consultori familiari privilegiassero la salute della donna e dell’età evolutiva è apparso erroneamente come una scelta settoriale e marginalizzante. Questa interpretazione sarebbe stata legittima nell’ipotesi di considerare le donne e l’età evolutiva soggetti deboli da mettere sotto tutela. In realtà nelle strategie di promozione della salute si possono ottenere i migliori risultati investendo le risorse nelle sezioni di popolazione potenzialmente più disponibili a rimettersi in discussione: le donne come pilastri delle famiglie hanno certamente maggiore attenzione concreta alla salute dei propri cari e ne è esempio paradigmatico l’esperienza che si decide di vivere mettendo al mondo una nuova vita, occasione di ripensamento e di cambiamento con la finalità del miglior successo in tale avventura; l’età evolutiva è coinvolta nel processo della formazione e costruisce il futuro. Sono quindi da considerare i settori forti della popolazione. In entrambi i casi la promozione della salute, se condotta con le strategie delineate nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (2000), si irradia all’intera comunità. Oggi la sanità pubblica è sotto attacco a causa della mercantilizzazione della salute (la medicalizzazione della nascita ne è esempio paradigmatico) con conseguente sviluppo dell’inappropriatezza, anche strumentalizzando le magnifiche sorti e progressive delle biotecnologie, tutte da dimostrare nella loro efficacia nella pratica. Ma saranno di nuovo le donne a salvarla, se lo vorranno, rivendicando con prospettive più avanzate la libertà di scelta e l’autonomia del controllo sul proprio stato di salute. Hanno già dimostrato di averne la forza.

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