Fumo di Londra

cigarettesAdriano Cattaneo

Sembra buona l’idea di imporre il plain packaging a Big Tobacco, come misura per ridurre il marketing delle sigarette, e quindi il consumo di tabacco, e quindi le malattie e le morti causate dallo stesso, responsabile nel 2010 di oltre il 6% del carico globale di malattia.


Nell’estate del 1981, dopo un anno passato a Londra e prima di rientrare a lavorare in Mozambico, decisi di passare due settimane a Uppsala, Svezia, con dei cari amici con i quali avevo convissuto a Lichinga e a Quelimane, Mozambico, negli anni precedenti. Un giorno li accompagnai a fare la spesa. Entrammo nel loro supermercato di quartiere; insegna gialla, due parole in svedese che non capivo. All’interno tutti i prodotti condividevano la stessa confezione, gialla con scritte nere. Non esistevano prodotti a marchio. I vari prodotti si distinguevano solo per la scritta: spaghetti, aringa, carta igienica. Nessun nome di marca o di fantasia. Quella è stata la mia prima esperienza di “plain package”, prodotti confezionati senza che il packaging funga anche da marketing (ricordo ai lettori non abituati a questo linguaggio che il marketing è solitamente canalizzato attraverso 4 P: price, packaging, placement e publicity). Sono passati circa 30 anni prima che io riuscissi a sperimentare per la seconda volta il plain package; al supermercato Coop del mio rione sono da qualche anno in vendita prodotti confezionati come quelli del supermercato svedese; i colori sono il bianco e il giallo, anche in questo caso il nome del prodotto è quello generico, i prezzi sono inferiori rispetto allo stesso prodotto di marca, la qualità probabilmente non è diversa. Non so a voi, ma a me l’idea sembra buona.

Come mi sembra buona l’idea di imporre il plain packaging a Big Tobacco, come misura per ridurre il marketing delle sigarette, e quindi il consumo di tabacco, e quindi le malattie e le morti causate dallo stesso, responsabile nel 2010 di oltre il 6% del carico globale di malattia[1].
Molti paesi, Italia inclusa, proibiscono da anni la pubblicità delle sigarette. Ma i potenti uffici di marketing di Big Tobacco inventano sempre nuovi modi per promuovere i loro prodotti sfruttando le rimanenti 3 P. Da cui il fiorire di altre iniziative.
In Nuova Zelanda, da luglio 2012, è entrata in vigore una legge che vieta di esporre prodotti di tabacco nei luoghi di vendita e l’indicazione stessa che vi si vendono[2]. La Finlandia ha dal 2010, con entrata in vigore il 1 gennaio 2012, un programma di Smoke Zero entro il 2040 che prevede, oltre a regole più rigorose per la pubblicità e limitazioni nei punti vendita simili a quelle della Nuova Zelanda, interventi sul packaging[3]. Ma il primo e finora unico paese che ha imposto a Big Tobacco il plain packaging è l’Australia. La legge, annunciata nel 2010, approvata il 21 novembre 2011 ed entrata in vigore il 1 dicembre 2012, prescrive che i pacchetti di sigarette siano monocolore, privi di richiami al marchio, senza diciture di nessun tipo e con la maggior parte delle superfici occupate da messaggi informativi sui danni alla salute[4].

Big Tobacco, ovviamente, non è rimasta a guardare. Lascio ai lettori immaginare tutte le azioni di lobby preventiva mirante a bloccare, o per lo meno ad ammorbidire, la legge; compresa una richiesta di verifica di costituzionalità alla Corte Suprema australiana, respinta. L’attacco peggiore, però, è arrivato a posteriori, pur essendo stato pianificato prima dell’entrata in vigore della legge[5].
Philip Morris Asia, che ha sede a Hong Kong e che nel febbraio 2011 ha prudenzialmente acquisito il controllo della consorella australiana, ha impugnato la sentenza di costituzionalità della Suprema Corte non in base alla legge australiana, ma a un trattato tra Australia e Hong Kong, l’Investor State Dispute Settlement, un trattato per il libero commercio firmato sotto l’egida della World Trade Organization che privilegia gli interessi delle multinazionali rispetto a quelli dei ministeri della salute. Non si sa come andrà a finire (la Philip Morris Asia potrebbe perdere la causa proprio per avere acquistato la consorella australiana a giochi fatti), ma si teme che questa sia la strada che le multinazionali seguiranno in futuro per parare i colpi. Spaventati dalla possibilità di impelagarsi in dispute annose e costosissime, molti paesi, e in particolare quelli più poveri, potrebbero esitare, o rinunciare, a introdurre leggi per limitare il marketing del tabacco e, in futuro, di altre merci non salutari (Big Alcohol, Big Food, Big Drink).

A parte la Finlandia, nessun paese dell’Unione Europea ha finora fatto dei passi in direzione del plain packaging. La prima a muoversi avrebbe potuto essere la Gran Bretagna, il cui National Health Service ha già un programma chiamato Smoke Free, che include un’iniziativa per un mese, ottobre, senza fumo[6]. Nell’aprile 2012 il parlamento britannico aveva iniziato delle consultazioni sul plain packaging ed era girata la voce che il tema sarebbe stato incluso nelle proposte di legge per il 2013-14. Ma il 7 maggio 2013 un portavoce del governo chiariva che questa ipotesi non sarebbe stata presa in considerazione. L’annuncio ha sollevato le proteste di associazioni professionali e non, e di esperti di sanità pubblica. Tutti chiedono che sia il parlamento a decidere, non il governo, e che siano trasparentemente resi pubblici tutti i documenti delle consultazioni sul plain packaging. Tutti fanno poi notare come alcuni personaggi coinvolti nella decisione del governo abbiano dei conflitti d’interesse. In particolare, Lynton Crosby, un consigliere del primo ministro David Cameron, è a capo di una ditta di pubbliche relazioni legata a Big Tobacco (e a Big Alcohol, visto che è riuscito a bloccare anche una proposta su un prezzo minimo per le bevande alcoliche), e soprattutto Kenneth Clarke, ministro della giustizia nel governo Cameron, che è stato vicepresidente della multinazionale British American Tobacco (BAT)[7,8].

Quali argomenti usa Big Tobacco per cercare di ostacolare l’avanzata del plain packaging? Dicono che costituisce una limitazione della libertà; vero, ma molte altre misure di salute pubblica limitano la libertà senza che la maggioranza dei cittadini vi si oppongano. Dicono che non è possibile mettere in atto rapidamente una tale legge; falso, l’Australia c’è riuscita senza problemi. Dicono che favorirà il contrabbando e il commercio illegale, con relative mafie; può darsi, ma questo succede anche senza plain packaging. Dicono che i rivenditori di sigarette andranno sul lastrico; possibile, bisognerà trovare delle compensazioni, ma non mi sembra un argomento che possa fermare un’azione positiva per la salute pubblica. Dicono che causerà lunghe file e confusione nei punti vendita, con aumento dei tempi d’acquisto. A questo proposito, studi finanziati da Big Tobacco in Australia e Gran Bretagna mostrano che il tabaccaio impiegherebbe 15-45 secondi in più a cliente, in media, con un 5-25% di errore per la marca e un aumento del costo del lavoro di circa 43 milioni di euro l’anno[9-11]. Ma una ricerca indipendente che ha simulato 5200 acquisti di sigarette suggerisce che la confezione generica potrebbe accelerare le operazioni con un guadagno di circa 3 secondi a cliente e una riduzione degli errori di marca di circa l’1% e relative riduzioni dei costi[12]. E gli autori di una lettera al British Medica Journal (BMJ) riferiscono di aver misurato, tra ottobre 2012 e gennaio 2013, i tempi di 100 acquisti di 17 diverse marche di sigarette, randomizzandone l’ordine, in supermercati, rivendite di giornali, stazioni di servizio e tabaccai di 16 quartieri di Perth, Australia[13]. Usando cronometri nascosti, hanno appurato che dopo il 1 dicembre 2012 vi sono state più diminuzioni che aumenti del tempo di consegna (da 8.94 a 7.39 secondi in media; P<0.05) con una riduzione degli errori dal 3% al 2% (P non significativa). Sempre sul BMJ, si suggerisce che un beneficio importante del plain packaging potrebbe essere la riduzione della dipendenza da nicotina, se la legge prescrivesse che sulla confezione ci fosse l’avvertenza che fumare sigarette causa questa dipendenza, avvertenza attualmente non obbligatoria secondo la legge britannica, ma anche per la legge italiana, probabilmente perché contrastata dalla lobby di Big Tobacco in fase di elaborazione delle leggi[14]. L’ultimo argomento usato dalla lobby di Big Tobacco è che non c’è dimostrazione di efficacia per il plain packaging. Argomento che non ha senso perché obiettivo della legge è riuscire ad avere, nel futuro, generazioni di bambini che crescono senza aver mai visto una bella confezione colorata contenente 60 carcinogeni, non certo avere effetti immediati sulla prevalenza del fumo[8].

E in Italia? L’ultimo atto nella lotta al tabagismo risale al governo Monti, allorché il ministro Balduzzi propose l’inasprimento delle multe ai tabaccai che vendono a minori di 18 anni e l’adeguamento delle macchine distributrici di sigarette al riconoscimento dell’età del cliente. Niente a confronto delle misure australiane e neozelandesi. La debolezza delle misure proposte da Balduzzi è confermata dall’assenza di reazioni da parte di Big Tobacco, rispetto alle reazioni contro il plain packaging e a quelle, storiche, descritte in letteratura contro tutte le misure di sanità pubblica miranti a ridurre i danni da fumo[15,16]. Forse la lobby italiana di Big Tobacco agisce in maniera preventiva, facendo pressione perché nessun partito presenti in parlamento proposte pericolose. Un recente articolo de L’Espresso documenta la presenza di questa lobby; e non solo, anche vino, petrolio, acciaio, cemento, telefoni, tv, auto, gomme, assicurazioni, banche, finanza, energia, compagnie elettriche, cliniche, medicinali e armamenti vanno forte[17]. Philips Morris e BAT sono tra i finanziatori di Italianieuropei, la fondazione di Massimo D’Alema e Giuliano Amato. La BAT sembra essere molto attiva; finanzia anche Formiche, la fondazione di Marco Follini, e Magna Carta, del senatore Gaetano Quagliariello, il cui presidente è stato anche amministratore delegato di BAT. Le fondazioni non hanno l’obbligo di rendere pubblici bilanci e fonti di finanziamento, per cui non si sa esattamente chi finanzi cosa e con quanto denaro. Difficile tuttavia pensare che si tratti di versamenti a fondo perduto.

Adriano Cattaneo. IRCCS Burlo Garofolo, Trieste.
Osservatorio Italiano Salute Globale (OISG)

Bibliografia

  1. Lim SS, Vos T, Flaxman AD. A comparative risk assessment of burden of disease and injury attributable to 67 risk factors and risk factor clusters in 21 regions, 1990–2010: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2010. Lancet 2012;380:2224-60
  2. Ministry of Health. Guidelines for Implementing the Prohibition on the
    Display of Tobacco Products 2012: Information for sellers of tobacco products and
    Smoke-free Enforcement Officers
    . [PDF: 214 Kb] Wellington: Ministry of Health, 2012.
  3. TOBACCO ACT [PDF: 92 Kb].Unofficial translation, legally binding only in Finnish and Swedish. Ministry of Social Affairs and health, Finland. No. 693/1976 (This Amended Act enters into force on 1 October 2010)
  4. Tobacco. Plain packaging of tobacco products.  Australian Government Department of Health and Ageing
  5. Gleeson D, Friel S. Emerging threats to public health from regional trade agreements. Lancet 2013;381:1507-9
  6. Smokefree.nhs.uk/, Smokefree.nhs.uk/stoptober/
  7. Limb M. Government has lost “credibility on public health” for inaction on cigarettes and alcohol, campaigners say. BMJ 2013;346:f3024
  8. Daube M, Chapman S. Cameron’s cave-in on plain packaging is a boost to industry. BMJ 2013;346:f3069
  9. Alliance of Australian Retailers. Potential impact on retailers from the introduction of plain tobacco packaging [PDF: 167 Kb]. Deloitte, 2011
  10. Rural Shops Alliance. The effects of standardised tobacco packaging on retail service in the UK [PDF: 1.8 Mb]. 2012
  11. Plain tobacco packaging will cost convenience stores £37m a year, says report. Talking Retail 2012
  12. Carter O, Mills B, Phan T, Bremner J. Measuring the effect of cigarette plain packaging on transaction times and selection errors in a simulation experiment.Tob Control 2012;21:572-7
  13. Letter. Plain packaging for cigarettes improves retail transaction times. BMJ 2013;346:f1063
  14. Brewer C. Plain cigarette packets could reduce nicotine addiction. BMJ 2013;346:f3105
  15. Brandt AM. Inventing conflicts of interest: a history of tobacco industry tactics. Am J Public Health 2012;102:63-71.
  16. Rochel de Camargo Jr K. How to identify science being bent: the tobacco industry’s fight to deny second-hand smoking health hazards as an example. Social Science and Medicine 2012;75:1230-5
  17. Di Nicola P. L’oro delle fondazioni. Il boom dei think tank. L’Espresso, 12.11.2009

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