OMS. Agenda 2013

WHA66Marianna Parisotto e Alice Fabbri

Si è conclusa la settimana scorsa la 66ma Assemblea Mondiale della Sanità (World Health Assembly, WHA), l’incontro annuale in cui i 194 Stati Membri dell’OMS si riuniscono a Ginevra per fornire la direzione strategica per il lavoro dell’Organizzazione.


L’agenda dell’Assemblea era piuttosto densa con importanti decisioni da prendere su tematiche di rilievo quali la riforma dell’OMS, la copertura sanitaria universale e il piano d’azione globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili.

Anche in quest’occasione, la diretta partecipazione di attivisti provenienti da diversi continenti è stata possibile grazie al progetto WHO Watch promosso dal People’s Health Movement (PHM). I watcher hanno seguito tutte le sessioni di lavoro e di seguito sono riportati gli esiti di alcune delle discussioni avvenute. Rapporti più dettagliati sono disponibili sul sito Global Health Watch.

La riforma dell’OMS

I watcher stanno seguendo da ormai tre anni il processo di riforma intrapreso dall’OMS nelle seguenti aree: definizione di priorità e programmazione, governance e management.

L’aspetto più delicato resta sicuramente la riforma dei meccanismi di finanziamento dell’OMS. In assenza di una reale volontà da parte degli Stati Membri di aumentare i loro contributi obbligatori (la cui scarsità è una delle cause fondamentali della crisi dell’OMS), il Segretariato ha proposto un nuovo meccanismo di finanziamento – il cosiddetto financing dialogue – approvato proprio durante quest’ultima Assemblea. Il primo passo è stato l’adozione da parte della WHA dell’intero budget per il biennio 2014-2015; in altre parole il budget è stato approvato, anche se i finanziamenti necessari alla sua implementazione devono ancora essere assicurati. A tale scopo, il 24 Giugno si svolgerà il primo incontro del financing dialogue al quale parteciperanno tutti i Paesi Membri e i maggiori donatori dell’OMS(a). Questo primo meeting avrà come obiettivo quello di illustrare le risorse necessarie per l’implementazione del budget e offrire una panoramica delle risorse già disponibili; a questo punto gli Stati e gli altri donatori espliciteranno i loro impegni di finanziamento. Durante il secondo incontro, che si svolgerà a Novembre, il Segretariato aggiornerà i partecipanti sullo stato dei finanziamenti per il budget 2014-2015 e sui gap ancora presenti. Tuttavia, sembra improbabile che, solo grazie a questo nuovo meccanismo e alla sua maggiore trasparenza, i donatori saranno improvvisamente disponibili a riorientare le loro priorità e a sostenere quei programmi che finora sono stati sottofinanziati (vedi i determinanti sociali di salute). Inoltre, una volta che le “lacune” finanziarie diventeranno evidenti, come verranno colmate?

Sempre nell’ampio capitolo della riforma, interessante è stato il dibattito svoltosi durante il Consiglio Esecutivo per definire i principi che dovrebbero regolamentare l’interazione dell’OMS con gli attori non statali (società civile, filantropia non profit, settore commerciale privato). L’approccio finora adottato dal Segretariato sembra essere quello di focalizzarsi più sulle tipologie di interazione che – come sarebbe invece auspicabile – sulle tipologie di rischio che tali interazioni comportano per l’Organizzazione. Si è invece ancora una volta evitato di affrontare il delicato tema del ruolo che l’OMS dovrebbe giocare nella governance della salute globale. Come già avvenuto a Gennaio, tale discussione non ha avuto luogo forse proprio per evitare forti attriti ideologici e politici. Questo sembra dare ulteriore adito all’analisi secondo cui l’OMS è in qualche modo soffocata e “priva di ogni autonomia istituzionale, dal momento che la maggior parte dei suoi fondi sono forniti attraverso contributi volontari volti a servire gli interessi di particolari Stati o donatori privati”[1]. Anche il financing dialogue in realtà non farà altro che portare a un’ulteriore istituzionalizzazione di quello che in termini tecnici viene chiamato “multi-bi financing”. Si tratta di un fenomeno sempre più diffuso nel campo della salute globale che riflette la crescente tendenza dei donatori (siano essi statali o non statali) a controllare le priorità di lavoro delle agenzie multilaterali attraverso l’utilizzo di finanziamenti volontari earmarked, stanziati quindi per specifici settori, temi, o Paesi[2].

Interessanti in questo senso anche le conclusioni di un documento prodotto dalla Chatham House nel febbraio 2013 in cui si afferma che “il processo di riforma in corso non si pone domande fondamentali sul ruolo dell’OMS nel sistema internazionale per come si è ora evoluto, né si chiede se i sistemi di governance, gestione e finanziamento dell’OMS necessitano di un cambiamento più radicale rispetto a quello attualmente previsto. Non è quindi chiaro se i più recenti sforzi di riforma saranno sufficienti per consentire all’Organizzazione di realizzare appieno il suo potenziale”[3].

La copertura sanitaria universale (UHC)

Sembra confermare le analisi appena illustrate la presenza della Banca Mondiale all’ Assemblea appena conclusasi. Il fatto che l’ospite invitato sia stato proprio il Dott. Jim Yong Kim, neopresidente della Banca Mondiale, palesa il riemergere di un vecchio nemico-amico dell’OMS come attore centrale nella governance della salute globale. Il Dott. Kim ha infiammato l’uditorio affermando che noi siamo la generazione che può porre fine alla povertà e alle disuguaglianze, quasi lanciando un implicito richiamo al rapporto “Closing the Gap in a generation”. E la strategia vincente per quest’obiettivo, a detta di Jim Kim, altro non è che la copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHC), perché se sono passati 35 anni dalla dichiarazione di Alma Ata “ora, a differenza di allora, abbiamo gli strumenti per assicurare piani concreti e sistemi di monitoraggio efficienti, e questo ci permette di tradurre in pratica le potenti basi morali e filosofiche del nostro lavoro rivolto allo sviluppo nello spirito della giustizia sociale”[4]. E infatti la UHC è stato uno dei temi più gettonati di tutta l’Assemblea ed è stata identificata come principio guida per la definizione dell’agenda post 2015. Da un lato, come sostengono molti Paesi, la UHC può rappresentare lo strumento fondamentale per l’equità e lo sviluppo basato sui diritti piuttosto che sulla produttività; dall’altro lato sono soprattutto i Paesi africani ed europei a sostenere come essa si possa realizzare solo se contestualizzata in un rafforzamento dei sistemi sanitari a livello nazionale, cosa che richiede una chiara volontà politica volta all’inclusione e all’equità. Di diverso orientamento gli interventi di Paesi come Cina, Libano e Repubblica di Corea che aprono invece al settore privato e accolgono la collaborazione della Banca Mondiale nel suggerire strategie di implementazione della UHC. Probabilmente quello che sfugge ad alcuni Stati Membri, alla Direzione Generale dell’OMS e al Dott. Kim stesso sono gli ultimi trent’anni di storia, a partire dall’inversione di marcia dalla “comprehensive primary health care” alla “selective primary health care”, passando per il rapporto “Investing in Health”, per il Global Fund[5], per arrivare infine al World Health Report del 2010, dedicato alla UHC, ma non certo incentrato sull’accesso alle cure quanto sul finanziamento dei servizi[6]. Come se Universal Health Coverage fosse uno slogan mascherato da universalismo in nome del quale, al fine di raggiungere la “coverage” e non la “care”, appunto, è concesso raggruppare varie istituzioni, ognuna con un’interpretazione diversa di UHC. E non è casuale che tra queste istituzioni ritroviamo alcuni dei donatori dell’OMS che nel tempo hanno contribuito, e contribuiscono tuttora, alla frammentazione dei sistemi sanitari.

 

Le malattie non trasmissibili     

Un altro grande capitolo di quest’Assemblea è stato quello delle malattie non trasmissibili (noncommunicable diseases, NCDs). Il primo giorno dell’Assemblea, USA e Libano hanno presentato la bozza del piano di azione per la prevenzione e il controllo di tali patologie e la bozza del framework globale per il loro monitoraggio. È stata proposta fin da subito l’istituzione di un drafting group presieduto dagli USA che ha lavorato a porte chiuse durante i giorni dell’Assemblea per finalizzare i due documenti. Il dibattito non è stato riaperto fino a quando il lavoro del drafting group non è terminato, cosa che è avvenuta solo nell’ultimo giorno di Assemblea. Solo a quel punto la società civile ha potuto prendere la parola, consapevole però del fatto che la considerazione a essa riservata è stata praticamente nulla. Gli USA hanno riportato l’esito del lavoro svolto dal drafting group in cui è stato raggiunto il consenso sui due documenti. Nonostante il lavoro sulle NCDs sia in continua evoluzione, il piano d’azione persevera nel focalizzarsi principalmente su quattro categorie di patologie (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, diabete e tumori) accomunate da quattro fattori di rischio comportamentali (consumo di tabacco, dieta insalubre, abuso di alcool  e inattività fisica): tale quadro teorico riproduce ancora una volta un approccio verticale con un focus sui fattori di rischio comportamentali, ignorando l’azione dei determinanti politici, sociali, economici e ambientali nel modellare il rischio e la vulnerabilità.

 

Farmaci: ricerca, sviluppo e brevetti

La discussione riguardante la ricerca e sviluppo (R&S) di prodotti medici indirizzati al trattamento di patologie che affliggono i Paesi più poveri era uno degli argomenti più attesi di quest’Assemblea. L’anno scorso durante la WHA era stato presentato il rapporto del Consultative Expert Working Group on Research and Development (CEWG) contenente una serie di importanti raccomandazioni tra cui la creazione di uno strumento legalmente vincolante per garantire finanziamenti per la R&S. Lo scorso Novembre a Ginevra si è quindi svolto un incontro degli Stati Membri per discutere in dettaglio la reale possibilità di implementare le raccomandazioni del CEWG. In realtà la stessa legittimità della risoluzione prodotta al termine del meeting di Novembre – e discussa durante quest’ultima Assemblea – è stata oggetto di forti polemiche. Solo 81 dei 194 Stati Membri hanno infatti preso parte alla riunione di Novembre e alla stesura del testo della risoluzione hanno partecipato solo 20 Paesi. Sicuramente bisogna riconoscere che la risoluzione propone alcune azioni concrete, tra cui l’istituzione di un osservatorio sulla R&S e l’attuazione di alcuni progetti pilota, ma non contiene tuttavia nessun accenno alla creazione di uno strumento legalmente vincolante – come suggerito dal CEWG – e inoltre rinvia al 2016 future discussioni in merito.

In realtà durante il dibattito in Assemblea, sorprendendo molti dei partecipanti, gli Stati Uniti hanno preso la parola sfidando in qualche modo gli altri Stati Membri. “Per essere molto diretti, se gli Stati Membri non possono iniziare a investire subito nei progetti pilota, dovremmo ridimensionare le nostre ambizioni. Chiediamo quindi a tutti gli Stati Membri di passare dalle parole ai fatti” ha affermato il delegato statunitense, chiedendo inoltre di accelerare i tempi e di convocare entro il 2013 una riunione di consultazione tecnica per facilitare l’identificazione dei progetti pilota. Ci si chiede se si sia verificato un cambiamento nella politica degli Stati Uniti viste le posizioni che finora avevano sostenuto. Come afferma James Love, direttore di Knowledge Ecology International, gli Stati Uniti sono arrivati all’Assemblea affermando che la risoluzione non poteva essere cambiata nemmeno di una virgola e invece poi sono stati i primi a proporre importanti cambiamenti[7].

Numerose sono le tesi che cercano di spiegare questo cambiamento di rotta: l’industria farmaceutica statunitense sta cercando nuove modalità di stimolare l’innovazione e si aspetta che i progetti pilota possano fornire interessanti input in questo senso? Oppure il Governo statunitense è genuinamente preoccupato per gli alti costi dei farmaci che i propri cittadini devono pagare? Qualunque sia la spiegazione, sarà interessante seguire il processo che nei prossimi mesi porterà alla riunione di consultazione tecnica richiesta dagli Stati Uniti e approvata dall’Assemblea. Dal testo della risoluzione, non risulta però chiaro se tale meeting sarà aperto anche alla società civile.

Al termine dell’Assemblea è iniziata la 133esima sessione del Consiglio Esecutivo. Essa si è aperta con un acceso dibattito sull’approvazione dell’agenda che ha bloccato i lavori per più di mezza giornata. Al centro della disputa, il punto all’ordine del giorno dedicato al miglioramento della salute e del benessere delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT). I Paesi della regione Africana e del Mediterraneo Orientale si sono irremovibilmente opposti a trattare tale tema. Inizialmente si sono appellati a presunte irregolarità nelle procedure di inserimento di questo punto nell’agenda, cosa che è stata subito confutata dal consulente legale. A tal punto l’argomentazione sostenuta da questi Paesi, non priva di toni discriminatori, si è snodata sul fatto che questo tema non è di competenza di un organismo tecnico come l’OMS ma dovrebbe essere lasciato alla sfera dei diritti umani. A sostenere la posizione opposta l’Unione Europea, il Canada, gli USA, la Thailandia, i Paesi sudamericani con il Brasile in testa, e l’Australia. Ad un certo punto della discussione si è persino valutata la possibilità di porre la questione ai voti, fatto del tutto inusuale al Consiglio Esecutivo e che avrebbe rappresentato un grave precedente, nonché il fallimento del metodo del consenso su cui si basa il lavoro dell’ Organizzazione. Il compromesso, più che il consenso, è stato raggiunto dopo ore di dibattito con la decisione di rimandare la discussione sul tema al prossimo Consiglio Esecutivo. La decisione è stata accettata con amarezza in particolare da parte dei Paesi dell’Unione Europea che, pur riconoscendo che si tratta di un tema spinoso, hanno condannato il linguaggio discriminatorio utilizzato da alcuni delegati e hanno denunciato come una tale stigmatizzazione non possa che che tradursi in ulteriori disuguaglianze in salute.

Ringraziamenti: Ringraziamo per l’intenso e prezioso lavoro di gruppo tutto il team del WHO watch: Susanna Barria, Anneleen de Keukelaere, Leigh Haynes, Jo Kreysler, Gopa Kumar, David Legge, Amit Sengupta, Hani Serag e Abby Speller.

Marianna Parisotto e Alice Fabbri. Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale, Università di Bologna.

 

Bibliografia

  1. Van de Pas R. The 66th World Health Assembly: Re-enforcing WHO’s role in global health?
  2. Sridhar D. Who Sets the Global Health Research Agenda? The Challenge of Multi-Bi Financing. Plos Medicine 2012; 9.
  3. Chatam House The Role of the World Health Organization in the International System. February 2013.
  4. Il testo del discorso [PDF: 56 Kb] del Dr Jim Yong Kim alla 66ma Assemblea Mondiale della Sanità
  5. Italian Global Health Watch. From Alma Ata to the Global Fund: The History of International Health Policy [PDF: 651 Kb]. Social Medicine 2008; 3(1) :36-48.
  6. The World Health Report. Health systems financing: the path to universal coverage [PDF: 2,7 Mb]. Geneva: WHO, 2010.
  7. Hermann RM. World Health Assembly: As Members Approve Health R&D Decisions, US Says Time To “Put Our Money Where Our Mouth Is”. Intellectual Property Watch, 27 Maggio 2013

Nota

(a) Più precisamente, saranno invitati al financing dialogue i donatori che contribuiscono con più di 1 milione di dollari.

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