Recovery. Una nuova frontiera per il concetto di salute mentale
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- 27 Giugno 2013
La Recovery non è qualcosa da raggiungere quanto soprattutto un viaggio, un processo complesso e non lineare, di cambiamento, una esperienza di crescita oltre la malattia. È un processo irripetibile per ogni persona. La sensazione è che “il peggio è passato”: un modo di vivere in cui si riguadagna fiducia in sé e si sviluppano aspettative positive.
Se si analizza l’evoluzione del concetto di Salute Mentale non si può evitare di arrivare a pensarlo come concetto/limite e orizzonte i cui contorni vengono sempre spostati dall’azione umana in relazione alle vicende politiche, sociali e culturali di un’epoca.
Prima che in Europa si affermasse pienamente la moderna società di massa, nel periodo di massima egemonia del modello manicomiale, il sistema appariva rigido e dualistico: la Salute da una parte, la Malattia dall’altra parte. La Salute Mentale coincideva con la totale assenza di malattia. In questa concezione l’unica guarigione possibile era quella con restitutio ad integrum: la guarigione con difetto non era una vera guarigione, non ripristinava affatto la salute e si limitava a registrare la cronicizzazione della malattia.
Negli anni della de-istituzionalizzazione progressista alcune importanti ricerche (Bleuler, Ciompi e Muller in Svizzera; Huber in Germania; Tsuang, Harding, e De Sisto negli USA) dimostrarono che la percentuale di pazienti schizofrenici che, a distanza di 20-40 anni, anche se con sintomi psicotici attivi, presentavano un buon adattamento sociale, era così rilevante da non poter essere taciuta.
Il concetto di Guarigione Sociale che ne originò, ambiguo in quanto inscritto ancora nell’antico lessico della malattia, finiva tuttavia per introdurre idee nuove: che ciò che contava era la Qualità della vita, che lo scopo della terapia doveva essere il benessere delle persone, che la Salute non era sempre sinonimo di Normalità, non era Tutto o Niente, ma soprattutto Vulnerabilità sottoposta alle leggi della probabilità.
Nel trentennio compreso tra la fine della II Guerra e l’inizio della crisi fiscale dello Stato, questo combaciava perfettamente col concetto (WHO) di Salute come completo benessere ed era in sintonia con il trionfante Welfare State e con gli ideali della Società Aperta.
Negli anni successivi, di ritirata dello Stato e di avanzata del neoliberalismo, il concetto di Empowerment e la riscoperta della reti informali della Comunità, furono l’apertura della stagione delle responsabilità a cui doveva essere richiamato il cittadino. Se il Welfare aveva insistito sui fattori di rischio che la Società avrebbe dovuto contrastare, il nuovo corso scopriva il valore della Resilienza, della competenza di azione e di fronteggiamento insita nella quotidiana lotta della Persona per la difesa della propria Salute Mentale.
A un certo punto però hanno cominciato a parlare i diretti interessati e quando i soggetti portatori del problema riescono a farsi sentire si ha che il problema viene ridefinito. Recovery è un concetto elaborato dal movimento dei diritti e per la vita indipendente dei disabili che guarda alla salute come Autodeterminazione ed inclusione sociale. E’ la nuova fase trasformativa del concetto di Salute Mentale, la fase in cui gli utenti prendono la parola.
Non si tratta del nuovo termine alla moda per continuare a parlare di Remissione, Guarigione sociale o esito personalizzato. A meno di confondere “Recovery con” e “Recovery da”. Negli ultimi 20 anni l’esperienza della malattia è diventata sempre più parte della vita stessa: quando la malattia da evento diventa condizione le cose cambiano e la questione del senso soggettivo dell’esperienza non si esaurisce nel giudizio di benessere, ma penetra nella malattia stessa in quanto richiede al malato un lavoro di integrazione e di riformulazione della propria immagine ed identità.
Se il concetto di Recovery ridà valore alla soggettività lo fa in maniera diversa dalla Età d’Oro del Welfare, lo fa recuperando in modo originale la questione della responsabilità, ma in modi diversissimi dal neoliberismo, mettendo a fuoco sia la singola responsabilità all’azione che la responsabilità collettiva del cambiamento.
La Salute Mentale diventa qualcosa che non si può né comprare sul mercato né pretendere dallo Stato: diventa un bene comune che si può produrre responsabilmente ma solo facendolo insieme: una speranza di superamento di ogni forma più o meno liberale di paternalismo medico.
La Recovery non è perciò tanto qualcosa da raggiungere quanto soprattutto un viaggio, un processo complesso e non lineare, di cambiamento, una esperienza di crescita oltre la malattia. I resoconti dei pazienti tendono a valorizzare il fatto che siano gli utenti stessi a decidere di riprendersi. Anche se è opinione condivisa che a lungo andare la Recovery finisca per incidere anche sulla durata e frequenza dei sintomi, essa non è contraddetta dal verificarsi di episodi di riacutizzazione in quanto l’essere guariti non è posto in contraddizione con l’essere stati malati. La Recovery è un processo irripetibile per ogni persona. La sensazione è che “il peggio è passato”: un modo di vivere in cui si riguadagna fiducia in sé e si sviluppano aspettative positive. Si riorganizza il senso di sé: stima di sé, efficacia personale e luogo interno di controllo.
Per quanto sia un processo continuo si possono evidenziare anche delle fasi della Recovery: dello shock, della passività, in cui si subisce, della rabbia e della lotta contro la disabilità dell’accettazione e dell’empowerment, in cui si valorizzano elementi della propria esperienza.
La letteratura sulla Recovery incomincia ad essere abbondante. Sono stati identificati diversi elementi comuni ai vari percorsi: la ripresa di aspettative sul futuro, il superamento della negazione della malattia, l’accettazione della nuova condizione, il coinvolgimento, l’atteggiamento attivo, la rivendicazione di un senso di sé positivo (insieme di supporto e di partnership)
Quali sono i segni che permettono di identificare l’inizio di un processo di Recovery? Alcuni segni sono soggettivamente percepiti dagli utenti: la esistenza di progetti di vita, la fiducia nelle proprie capacità di iniziativa, l’organizzazione piacevole del tempo libero, l’armonia con l’ambiente, la sensazione di benessere vitale, la stima di se stessi, la percezione del futuro, la riduzione dello stigma interno.
Altri segni sono più oggettivabili: il ricoprire un ruolo valido e soddisfacente, la realizzazione di relazioni significative, la riduzione e/o il controllo dei sintomi, il miglioramento della salute fisica.
Cosa è che facilita la Recovery?
Il Sentirsi come una persona: autoefficacia, assunzione di responsabilità.
La speranza, significato esistenziale e prospettiva: lo stabilire obiettivi, il coltivare aspettative positive, il sentire il rispetto e la fiducia.
La possibilità di compiere scelte: la varietà di opzioni per soddisfare i propri bisogni, la presenza di supporti.
L’autonomia: l’attribuire importanza all’esperienza degli utenti, l’autodeterminazione, le relazioni in termini di partnership, il riconoscimento dei propri diritti e dell’unicità della propria persona.
Le relazioni sociali: le reti sociali estese, l’esistenza di almeno un legame significativo, il supporto reciproco familiare, programmi mirati all’assunzione sociale di ruolo, il rispetto per le preferenze dell’utente, le facilitazioni negli ambienti sociali.
Il supporto dei pari: i modelli diversi di supporto del gruppo, l’identificazione con modelli positivi, i servizi gestiti da utenti, gli utenti inseriti come operatori nell’interno dei servizi.
Il sistema dei servizi: i bisogni degli utenti al centro del progetto, la presenza di facilitazioni integrate, il sapere che le opinioni degli utenti contano, la tolleranza per la diversità. La responsabilità sulle cure, la ospedalizzazione come ultima ratio, un rapporto di partnership tra gli operatori e gli utenti, l’integrazione con programmi individualizzati, programmi informativi per utenti e loro familiari, interventi tempestivi e proattivi.
Il personale dei servizi : le relazioni caratterizzate da continuità, disponibilità, comprensione, affidabilità, onestà, apertura e convincimento della possibilità di ripresa, l’ascolto, la credibilità, autenticità, rispetto, supporto, interesse, responsività, umiltà. L’attenzione alle differenze culturali, l’incoraggiamento all’autonomia e all’empowerment, la formazione e aggiornamento continui, il coinvolgimento degli utenti nei programmi formativi degli operatori
Mario Serrano, direttore del Dipartimento di salute mentale, ASL 6 di Livorno