Le nuove piramidi. Le morti degli operai nepalesi in Qatar

qatar3Domitilla Di Thiene

Gli stadi per i mondiali di calcio in Qatar del 2022 costeranno la vita di 4.000 lavoratori, per lo più provenienti dal Nepal. È questo l’allarme lanciato da un’inchiesta del Guardian di quest’estate e ripreso da una recente inchiesta di Amnesty International che denunciano le continue morti per le condizioni di lavoro schiavistiche cui gli immigrati nepalesi sono costretti.


Decine di immigrati nepalesi sono morti nelle ultime settimane in Qatar e a migliaia continuano a lavorare in condizioni durissime secondo un’inchiesta di Amnesty International[1] su fatti già denunciati a settembre del quotidiano inglese The Guardian[2] in base a un rapporto dell’Human Rights Watch 2012[3] e che solleva domande sulle preparazione dei Mondiali di calcio del 2022.

Il piccolo Stato del Qatar ha vinto nel 2010 l’ambiziosa candidatura ad ospitare i Mondiali di calcio del 2022 e si trova ora a dover affrontare immani lavori in vista dell’evento. In base ad alcune stime spenderà 100 miliardi di dollari per i progetti di infrastrutture. Lo Stato ha commissionato 20 miliardi di dollari per nuove strade, 4 miliardi per un collegamento, il ponte più lungo mai costruito, tra il Qatar e il Barhein, 24 miliardi per una rete ferroviaria ad alta velocità, 55.000 camere d’albergo per accogliere i tifosi e un aeroporto nuovo. La popolazione del Qatar, per il bisogno di manodopera, aumenta di 20 persone all’ora: 20 persone provenienti quasi sempre dall’Asia meridionale.

Quest’estate sono morti almeno un lavoratore al giorno, quasi tutti giovani per infarto. In base ai documenti ottenuti dall’Ambasciata nepalese a Doha, almeno 44 lavoratori sono morti tra il 4 giugno e l’8 agosto 2013, per problemi cardiaci e incidenti sul lavoro. Il sistema della kafala, tradotto come sponsorship dagli anglosassoni, intrappola ad oggi oltre un milione di lavoratori stranieri, vincolandoli al proprio datore di lavoro e privandoli di ogni diritto fondamentale.

Human Rights Watch ha intervistato 73 immigrati e tutti hanno riferito di aver pagato dalle 450 alle 2.270 sterline, con interessi spesso esorbitanti. Vengono dal Nepal ma anche dalle Filippine o dal Bangladesh. Una volta assunti, sono privati del proprio passaporto e di ogni diritto fondamentale: senza il permesso del proprio sponsor non possono licenziarsi, lasciare il Paese o sporgere denuncia in caso di abusi; pena l’arresto o la deportazione.

Dall’inchiesta emergono le terribili condizioni di lavoro a cui sono sottoposti gli operai:

  • I lavoratori nepalesi accusano di non essere stati pagati per mesi, il loro stipendio viene trattenuto per evitare che scappino. Quasi tutti i lavoratori hanno grossi debiti da rifondere in Nepal che hanno fatto per pagare le persone che gli hanno trovato lavoro. Schiacciati da questi debiti e dal sostentamento alle famiglie rimaste in patria si trovano nell’impossibilità di lasciare il posto di lavoro nonostante le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti.
  • Altre accuse raccolte si riferiscono al ritiro da parte dei datori di lavoro dei documenti di identità. I passaporti verrebbero confiscati dai datori di lavoro che si rifiuterebbero anche di dare documenti d’identità previsti per la legge del paese in quanto lavoratori. Senza una documentazione ufficiale vengono ridotti allo stato di clandestini, quindi senza la possibilità di lasciare il posto di lavoro per la paura di essere arrestati e rimandati a casa.
  • Sarebbe stato negato l’accesso all’acqua potabile durante il lavoro nel caldo torrido (con punte di 50 Cº) del deserto. La maggior parte dei decessi riguardano ragazzi molto giovani, che muoiono principalmente per arresti cardiaci dovuti alla disidratazione.

Per queste motivazioni alcuni si sarebbero rifugiati nell’ambasciata nepalese di Doha.

Conferma la difficile situazione il rapporto di Amnesty International, dall’eloquente titolo The dark side of migration, che durante due visite in Qatar nell’ottobre 2012 e nel marzo 2013, ha intervistato circa 210 lavoratori migranti del settore delle costruzioni, 101 dei quali individualmente. L’organizzazione ha avuto contatti – mediante incontri, conversazioni telefoniche e scambio di corrispondenza – con 22 imprese di costruzione. Vi sono stati inoltre almeno 14 incontri con rappresentanti del governo del Qatar, compresi funzionari dei ministeri degli Affari esteri, dell’Interno e del Lavoro. Le ricerche di Amnesty International hanno rivelato come alcuni dei lavoratori che avevano subito abusi erano stati assunti da imprese che avevano preso subappalti da compagnie globali come Qatar Petroleum, Hyundai E&C e OHL Construction. Il rapporto sottolinea inoltre il mancato utilizzo di misure di sicurezza

L’immagine che deriva da questi resoconti è quella di una delle nazioni più ricche del mondo che sfrutta una delle più povere per arrivare in tempo all’evento sportivo di portata mondiale. Se messe insieme le accuse dei mancati stipendi, della confisca dei documenti e dell’impossibilità di lasciare il posto di lavoro prefigurano una condizione di lavoro forzato, la dicitura per intendere un’antica condizione: la schiavitù. Gli Emirati si configurano per i nostri connazionali come delle prigioni all’aperto, ha dichiarato l’ambasciatore nepalese in Qatar, Maya Kumari Sharma.

Il Qatar ha il rapporto più alto di lavoratori migranti rispetto alla popolazione generale: 1,2 su 1,7 milioni di residenti e la nazione si aspetta di assumere un milione e mezzo di lavoratori per costruire stadi, strade e alberghi in vista dei Mondiali e di questi il 40% provengono dal Nepal. Si calcola che solo l’anno scorso più di 100.000 nepalesi abbiano lasciato il loro paese per gli Emirati.

In Qatar, riferisce il rapporto dell’Human Rights Watch, una legge del 2004 fornisce protezione ai lavoratori, stabilendo un massimo di ore per settimana e il pagamento del salario puntuale ogni mese. Inoltre proibisce al datore di lavoro di confiscare il passaporto, di lavorare durante le ore centrali della giornate nei mesi estivi e definisce anche le condizione abitative dei lavoratori. A fronte però di questo e la partecipazione del governo al protocollo contro il traffico umano c’è un rispetto inadeguato delle norme e una relativa impunità dei datori di lavoro. L’inchiesta del Guardian riferisce anche numerose connivenze tra gli appaltatori delle imprese e elementi governativi di controllo. Hassan al-Thawadi, a capo dei lavori per la preparazione dei Mondiali di calcio, ha assicurato che l’evento non sarà costruito sul sangue degli innocenti ma anzi potrà essere un’occasione per aumentare i diritti dei lavoratori migranti nei paesi del Golfo. Lo ha dichiarato durante un incontro della FIFA che doveva in realtà concentrarsi sullo spostamento delle partite durante l’inverno proprio per evitare il caldo, ma la pressione sul tema delle condizioni di lavoro ha costretto a un cambio di argomento.

“Andrò in Qatar a controllare che si assumano le loro responsabilità” ha assicurato Sepp Blatter, potente presidente della FIFA, aggiungendo che ci sono ancora 9 anni di lavori e dunque ancora molto tempo. Nicholas McGeehan, dell’Human Rights Watch, che ha riferito riguardo gli abusi a Doha, è rimasto sconcertato da queste parole, “l’asserzione di Blatter sull’essere pieni di tempo fa capire che o ignora quello che sta succedendo o ne è indifferente”.

Non è la prima volta che il “gioco” più famoso del mondo entra in conflitto con i diritti umani, se si ricorda il precedente dei palloni di cuoio cuciti a mano dai bambini pakistani per 6 centesimi all’ora, come svelò un servizio della rivista Life nel 1996.

Domitilla Di Thiene, psichiatra, Dipartimento di Sanità Pubblica e malattie Infettive della Sapienza Università di Roma

Nota

*L’immagine di copertina del post è tratta dal video Qatar: the migrant workers forced to work for no pay in World Cup host country, The Guardian, 25.09.2013

 

Bibliografia

  1. Pattisson Pete. Qatar’s World Cup ‘slaves’. Abuse and exploitation of migrant workers preparing emirate for 2022. The Guardian, 25.09.2013
  2. Building a Better World Cup Protecting Migrant Workers in Qatar Ahead of FIFA 2022. Human Rights Watch, 12.06.2012
  3. Amnesty International. The Dark Side of Migration – Spotlight on Qatar’s Construction Sector ahead of the World Cup. Middle East & North Africa, 18.11.2013

 

 

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