Attività fisica e prevenzione delle cadute negli anziani

anzianiCarla Perria

Tutti gli studi considerati evidenziano l’efficacia di interventi basati sull’attività fisica nel ridurre le conseguenze delle cadute, con un gradiente che documenta valori maggiori di efficacia proprio nella prevenzione degli esiti più seri (traumi gravi e fratture): l’effetto protettivo in queste ultime situazioni varia infatti dal 40 al 60%.


Con l’aumento dell’aspettativa di vita, quale frutto del miglioramento delle condizioni di vita e dell’efficacia delle prestazioni sanitarie, è notevolmente aumentato il rischio di eventi sfavorevoli ai quali la popolazione anziana è particolarmente vulnerabile. Tra questi  le cadute rappresentano un evento senza dubbio molto frequente, sono causa di incidenti di gravità variabile e spesso rappresentano per l’anziano, fino a quel momento in condizioni di relativo equilibrio, il primo passo verso una spirale in discesa che conduce  alla perdita dell’autonomia funzionale e può portare progressivamente alla totale dipendenza fisica[1]. Le cadute sono fonte di un aumentato ricorso ai servizi sanitari[2], ma incidono sensibilmente anche sulle economie familiari inducendo bisogni assistenziali capaci, a volte, di mettere a dura prova interi nuclei familiari. Anche nei casi favorevoli esse comportano periodi più o meno lunghi di riabilitazione e incidono sfavorevolmente sul decorso delle principali malattie croniche. Per non parlare delle conseguenze psicologiche dell’impedimento fisico, caratterizzate da diminuzione della fiducia in sé stessi, tendenza alla limitazione delle attività e isolamento sociale.

Se è ormai ampiamente dimostrata l’efficacia dell’attività fisica nel prevenire le cadute nell’anziano[3] non altrettanto può dirsi riguardo alla capacità dell’esercizio fisico di prevenire le conseguenze delle cadute in termini di gravità del danno subito, variabile dalle semplici contusioni o abrasioni, richiedenti solo cure domiciliari, alle ferite con necessità di sutura chirurgica fino alle fratture o al trauma cranico.

Una recente revisione sistematica, pubblicata a fine ottobre sul BMJ da una equipe di ricercatori francesi[4], si propone di colmare questa lacuna attraverso l’applicazione di una rigorosa metodologia nella scrematura di un migliaio di titoli e la successiva analisi di ben 200 lavori, per approdare infine alla selezione definitiva di 17 trials, corrispondenti a un totale di circa 4300 soggetti esaminati aventi un’età media di 76 anni.

I risultati essenziali si evincono dall’associata metanalisi, che riassume con tecnica statistica gli esiti dei singoli studi: nell’insieme tutti gli studi considerati evidenziano l’efficacia di interventi basati sull’attività fisica nel ridurre le conseguenze delle cadute, con un gradiente che documenta valori maggiori di efficacia proprio nella prevenzione degli esiti più seri (traumi gravi e fratture): l’effetto protettivo in queste ultime situazioni varia infatti dal 40 al 60%. Tutti i programmi di attività fisica, pur comprendendo diverse e combinate tipologie di esercizio fisico, si sono dimostrati efficaci a prescindere dalla loro composizione; una menzione particolare è riservata agli esercizi mirati a rinforzare il senso dell’equilibrio, riconosciuto anche da altri lavori come un fattore protettivo molto rilevante nei confronti delle cadute e dei rispettivi danni, unitamente ad altre caratteristiche importanti come l’elasticità, l’allungamento e la resistenza muscolari[5]. Il miglioramento in toto della risposta difensiva, che risulta dalla combinazione dei vari programmi  potrebbe spiegare anche come mai l’effetto protettivo dell’esercizio fisico risulti più marcato nei confronti dei danni fisici più gravi.

I risultati della metanalisi mettono chiaramente in evidenza che è possibile ottenere un effetto protettivo importante utilizzando risorse individuali su una larga fetta di popolazione anziana, cosiddetta a “rischio moderato”, indicata come quella maggiormente esposta, statisticamente parlando, al rischio di frattura. Questo riscontro, confermato da numerosi studi epidemiologici[6], può avere un impatto non trascurabile in termini assistenziali e di assorbimento di risorse, in quanto potrebbe ad es. contribuire a limitare l’uso dei farmaci  anti-osteoporosi, oggi largamente e non sempre appropriatamente impiegati, a quella parte di anziani gravemente osteopenici, riservando invece interventi non farmacologici, presumibilmente meno costosi, a fette più consistenti di popolazione.

Permangono ancora carenti, afferma lo studio nella sua parte conclusiva, le evidenze riguardanti l’effetto protettivo dell’attività fisica negli anziani su altri importanti outcome, come la funzione cognitiva, il benessere psicologico e, in generale, la qualità di vita.

I risultati di questo lavoro hanno alcune rilevanti implicazioni che è  importante sottolineare:

  1. Implicazioni per la sanità pubblica in tema di prevenzione: l’impronta multifattoriale degli interventi di prevenzione si conferma efficace quando la valutazione interessa larghe fasce di popolazione: la pratica dell’esercizio fisico, inoltre, è l’espressione di un’attenzione  più generale a uno stile di vita sano, comprendente una sana alimentazione e la sospensione di abitudini scorrette, come il fumo o l’eccesso di bevande alcoliche; si dimostra quindi, ancora una volta, ciò che nel campo della prevenzione è patrimonio ormai acquisito, ovverossia l’effetto moltiplicativo dell’introduzione di una pratica salutare in un ambito di vita in termini di ricadute benefiche anche su altri versanti.
  2. Implicazioni per la ricerca sul versante metodologico: questo lavoro affronta con determinazione il problema della valutazione di efficacia degli interventi di prevenzione primaria su base di popolazione, come è noto difficilmente indagabili a causa dell’intreccio di fattori di rischio/protettivi e degli ancor più incerti rapporti causa-effetto che si estrinsecano tra i vari fattori e l’ospite. Esso dimostra come sia possibile ottenere stime robuste e valide utilizzando, ad es., tecniche di sub-classificazione e stratificando in sottogruppi più omogenei la popolazione target. L’affinamento di queste e altre tecniche e l’utilizzo di strumenti capaci di valutare più precisamente la qualità dei singoli contributi permetterà di dare risposte sempre più mirate ai numerosi quesiti ancora aperti, soprattutto nel campo della prevenzione.
  3. Implicazioni sul fronte della responsabilità sociale nei livelli di salute: la dimostrazione di efficacia di pratiche salutari a livello di popolazione comporta la necessità di un’assunzione di responsabilità da parte della comunità civile, a sostegno del fatto che la salute è un bene della collettività e dalla collettività deve essere tutelato nei suoi molteplici risvolti, e non soltanto custodito dal singolo individuo. Molta enfasi è stata dedicata alla moderna concezione che considera la comunità in quanto tale una leva importante dell’innalzamento degli standard di vita collettiva, capace di esercitare una profonda influenza sul livello di salute generale attraverso l’impegno congiunto dei propri membri ai diversi livelli della gerarchia sociale; tra le numerose iniziative globali tese a formalizzare questo ruolo cruciale si colloca ad esempio il decalogo delle 8 raccomandazioni stilate dal National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion dei CDC, che ha stilato un vero e proprio elenco di ambiti sui quali è necessario intervenire per consolidare l’impegno della comunità nella promozione del benessere collettivo, inclusi lo sviluppo di una ricerca partecipata e una più idonea articolazione degli investimenti economici[7].

Nella sua prospettiva ideale lo studio francese rappresenta un importante tassello di un universo di conoscenze, in gran parte ancora da scoprire, che mira a  far chiarezza sul formidabile intreccio di fattori, cause ed effetti che appartengono alle mille sfaccettature del pianeta salute, inteso come equilibrio psico-fisico, sociale e, più in generale, come qualità di vita.

Per questo è necessario sostenere con tutti i mezzi la ricerca nei settori nevralgici della prevenzione e della promozione della salute, affinché si moltiplichino i contributi scientifici atti a far luce sugli aspetti ancora oscuri delle dinamiche salute-malattia;  identificare con precisione i  fattori sui quali è possibile applicare strategie di intervento, facendo perno sulle risorse della comunità e arginando la medicalizzazione derivante dall’avvento di nuove miracolose molecole, può veramente rappresentare una strategia sostenibile ed equa.

Bibliografia

  1. Hartholt KA et al. Societal consequences of fall in the older population: injuries, healthcare costs and long-term reduced quality of life. J Trauma 2011; 71: 748-753.
  2. Davis JC et al. International comparison of costs of falls in older adults living in the community: a systematic review. Osteoporos Int 2010; 21: 1295-1306.
  3. Gillespie LD et al. Interventions for preventing fall in older people living in the community. Cochrane  Database Syst Rev 2012; (9): CD007146.
  4. El-Khoury F et al. The effect of fall prevention exercise programmes on fall induced injuries in community dwelling older adults: systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. BMJ 2013; 347: f6234 doi: 10.1136/bmj f6234.
  5. Howe TE et al. Exercise for improving balance in older people. Cochrane Database Syst Rev 2007; (4): CD004963.
  6. Stone KL et al. BMD at multiple sites and risk of fracture of multiple types: long-term results from the study of osteoporotic fractures. J Bone Miner Res 2003; 18: 1947-1954.
  7. Navarro AM et al. Charting the future of community health promotion: recommendations from the National Expert Panel on Community Health Promotion. Prev Chron Disease 2007.

 

Un commento

  1. Ottimo lavoro che come fisiatra e direttore di struttura riabilitativa confermo e farò in parte mio in una prossima pubblicazione gratuita per gli anziani

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